Depositphotos

DI MICHELE VALENSISE

Quanto tempo ancora durerà questa spaventosa carneficina? Chi può avere interesse a protrarre la guerra e il suo già lunghissimo elenco di vittime, rifugiati, distruzioni? Aggrediti da Putin con inaudita ferocia, gli ucraini continuano a resistere con coraggio, adesso non è a loro che si può chiedere di deporre le armi. Nessuno più di loro vuole la pace, nessuno più di loro respinge la resa. Le vere intenzioni russe restano indecifrabili, come i contorni nebulosi della nuova fase della guerra, col dubbio se il ripiegamento sia effettivo o solo cosmetico. Né è chiaro per chi lavori il fattore tempo, certo non per l’Ucraina martoriata e sfregiata ogni giorno più pesantemente, ma neanche per la Russia provata dai rovesci più recenti, dalle sanzioni e forse da qualche piccola crepa interna.

Ora mentre prosegue la trattativa avviata tra mille riserve da Russia e Ucraina e si studiano ipotesi e risposte negoziali, le granate e i missili russi continuano a seminare morte e orrore. E’ il paradosso, molto doloroso, di una violenza propedeutica alla sua fine, considerata indispensabile per sedersi al tavolo con le carte migliori. La pensano così sia Putin sia Zelensky, con la piccola differenza che il primo attacca ancora e l’altro si difende.

Il negoziato bilaterale, in presenza e a distanza, ruota innanzitutto sulla nozione di neutralità e sulle garanzie necessarie. Gli ucraini hanno fatto un’apertura importante, accettando il principio della neutralità del loro Paese e offrendo la disponibilità ad analizzarne possibili meccanismi operativi. In concreto significa cercare di stabilire livelli e dislocazione di armamenti, regole di ingaggio, modalità delle verifiche e altro. Possono sembrare punti di un’agenda surreale, di fronte agli scempi quotidiani, ma è su questo che si potrà forse intravedere una piccola luce alla fine di un tunnel lunghissimo e molto accidentato. In ogni caso, ci vorrà ancora tempo.

D’altra parte, chi negozia sa bene che sul tavolo della trattativa c’è molto più del posizionamento di un battaglione o della consistenza delle esercitazioni. Di fatto, in discussione è soprattutto il ruolo della Russia nello scenario post-aggressione. Sarà Mosca a dover dare le carte prima di tutti e a spiegare dove vorrà collocarsi nel mondo cambiato dal 24 febbraio. La neutralità dell’Ucraina dovrà essere “garantita”. Al momento un’ipotesi è che siano i Cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Usa) ad assumersi questo onere. Per l’Ucraina la difficoltà sta nell’accettare che la Russia cambi repentinamente abito, da aggressore a garante. E sta anche nel mancato funzionamento del memorandum di Budapest del 1994, sottoscritto anche da Mosca, circa il rispetto dell’integrità territoriale ucraina. Eppure è su quei termini che si cerca un compromesso, senza perdere di vista il diritto di autotutela sancito dallo Statuto dell’Onu (capitolo VII, art. 51). Poi, se del caso, si vedrà quali altri Paesi non membri permanenti del Consiglio di Sicurezza associare al gruppo, prima vanno definite le regole.

La garanzia per l’Ucraina non potrà essere un’art. 5 della Nato sotto mentite spoglie, ma neanche una pia dichiarazione di intenti. Se, nonostante le voragini prodotte dal disastro di queste settimane, la Russia vorrà contribuire a ricostruire un quadro di possibile convivenza pacifica, sarà interesse dell’Occidente favorire ogni sforzo per ridisegnare consensualmente un ordine multilaterale basato sul rispetto delle regole, non sulla prevaricazione del più forte. In  questo disegno non potrà mancare un Paese come la Russia, quale che sia il suo assetto interno che solo ai russi spetta determinare.

Se Mosca fosse invece tentata di erigere un nuovo muro e di alimentare una contrapposizione frontale, valoriale e ideologica, con il mondo dei diritti e delle libertà, faremmo tutti un passo indietro, mentre le sfide del pianeta impongono ben altra direzione di marcia. Dipenderà in buona misura dal supporto che le daranno quanti si sono astenuti e si astengono  dal condannarla, in primis Cina e India.

Anche per questo l’Occidente dovrebbe evitare di dare l’impressione di dividersi, al suo interno, tra sostenitori della guerra e facilitatori del negoziato. Se una tale distinzione si dovesse percepire, le cose si complicherebbero ulteriormente.