Gente d'Italia

Dalla fabbrica sottile all’impresa virtuale

 

 

di Juan Raso

Sin dalla condanna biblica, le nozioni di uomo e lavoro sono strettamente unite. La storia dell’uomo è fondamentalmente la storia del lavoro e dei suoi modi di esecuzione. L'economia, la composizione dei ceti sociali, le ricchezze mercantili, le lotte sociali e perfino le rivoluzioni si sono nutrite in gran misura dell’idea del lavoro e delle sue forme diverse a secondo delle culture e delle epoche. Perché non vi è un'unica storia del lavoro: vi fu il lavoro degli schiavi che alzarono le piramidi e degli artigiani che formarono le corporazioni del Rinascimento, il lavoro dei servi della gleba nel medioevo e quello delle fabbriche di gran parte del secolo XX.

Oggi parliamo di telelavoro o smartwork, mentre si avvicinano i tempi del metaverso. Cosa é cambiato nelle attivitá produttive e come i nuovi lavori fanno parte di una nuova cultura epocale? Quando, forse senza proprio accorgerci, é cambiato il mondo del lavoro e noi con lui?

Il primo cambio é avvenuto verso la fine del secolo scorso, quando si producono profonde trasformazioni del lavoro, che portano dal concetto di fabbrica e stabilimenti di grandi dimensioni alla nuova idea di “impresa sottile”. Se fino agli anni ’80 del secolo XX le dimensioni di un'impresa indicavano la sua importanza, a partire dagli ultimi anni del secolo una società di ridotte dimensioni quotata in borsa piú che le mastodontiche strutture produttive della fabbrica di tipo fordista.  

Si dice che fu Nike, la famosa fabbrica di scarpe da ginnastica, a imporre un modello di fabbrica satellitare o a raggiera, con un centro decisionale di ridotte proporzioni e una serie di fornitori esterni. Questa modalitá di produzione che si é imposta negli ultimi trent’anni é nota con il nome di “impresa sottile” o – como dicono gli inglesi – “loan factory”, dove un centro gestionale organizza un mosaico di lavoro offerto da fornitori esterni, per poi vendere il prodotto col proprio marchio nel mercato globale.

Questo modello si sostiene sul “lavoro esterno”, cioé l’idea della esternalizzazione della produzione o (come dicono gli spagnoli) la “tercerización”. Questo modo di produrre ha dato luogo a una societá globale piú insicura, meno sostenuta dalle tutele del diritto del lavoro e della previdenza sociale, perché il lavoratore esternalizzato o “tercerizado”, resta al margine di molte tutele, che erano e sono riservate al lavoratore “interno” dell’impresa.

Si produce oggi un nuovo cambio epocale, in quanto la fabbrica – giá alleggerita o assottigliata – scompare quasi per l’effetto magico di uno straordinario prestigiatore. La realtá física del posto di lavoro scompare per dar luogo ad una sequenza di algoritmi che esprime la realtá virtuale della nuova impresa. Le applicazioni – vedi l’esempio di Uber o delle diverse societá che organizzano il lavoro dei ryders (“repartidores” nel lessico spagnolo) –operano senza immobili, senza macchine e senza lavoratori. Infatti l’autista Uber o molti dei fattorini in bicicletta che percorrono la cittá sono proprietari del loro mezzo di lavoro, appaiono come autonomi e non piú come lavoratori subordinati, mentre la struttura dell’ufficio che organizza il loro lavoro solo é raggiungibile nel mondo digitale attraverso il nostro cellulare o il computer

Aumentano i lavoratori che svolgono la loro attivitá da localizzazioni remote, dislocate nella stessa cittá dell’impresa o a migliaia di chilometri di distanza. Ormai lo spazio e il fuso orario sono realtá che scompaiono, per lasciar posto a nuove modalitá di lavoro in cui é ogni volta piú evanescente il rapporto tra lavoratore e impresa.

Viviamo – senza capirne tutte le conseguenze – in una nuova societá: la societá in rete, dove ognuno di noi é spinto ad agire attraverso sistemi tecnologici, che ci consentono di sopperire alle nostre necessitá umane attraverso interscambi digitali. Per vivere in questa nuova societá non sará soltanto necessario saper navigare in internet o ricevere e rispondere comunicazioni on-line. Dovremo imparare a muoverci, pensare, lavorare, amare e soffrire immersi in una dimensione incorporea in cui dovremo dominare le abilitá informatiche per comunicare agli altri le nostre capacitá e i nostri sentimenti. 

Sará un bene o un male trasferirci in questa nuova dimensione dall’apparenza astratta? Non é facile risponde, ma resta comunque chiaro che se non ci prepareremo per il cambio giá in atto, saremo inevitabilmente esclusi, proprio come quegli analfabeti dei secoli scorsi, che mai potevano accedere a un lavoro e una vita di qualitá. 

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