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Siamo stati tutti testimoni dell’orrore della strage di Bucha. Civili innocenti torturati e massacrati dagli occupanti russi; uccisi a sangue freddo e gettati nelle fosse comuni o abbandonati in strada come sacchi della spazzatura. Tra le vittime, anche la sindaca della città assieme al marito e al figlio. E dopo poche ore l’orrore si ripete a Irpin e a Borodyanka, dove le vittime, stando alle dichiarazioni del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sarebbero anche di più.

Pensavamo che cose di questo genere appartenessero al passato e che mai più avremmo dovuto assistervi. Ci sbagliavamo, a quanto pare. La comunità internazionale è sotto shock. Dagli Stati Uniti, il presidente Joe Biden sostiene la necessità di processare Vladimir Putin per crimini di guerra; mentre l’Unione europea si appresta a varare un nuovo pacchetto di sanzioni e la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, assieme all’alto rappresentante, Josep Borrell, annunciano di volersi recare a Kiev e di voler fare pressioni sulla Corte dell’Aja per aprire un’inchiesta. Le autorità ucraine, a partire dal presidente Zelenski e dal ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, parlano apertamente di genocidio. Effettivamente, le immagini di Bucha hanno tutta l’aria di essere l’inizio di un vero e proprio sterminio.

Se poi aggiungiamo le deportazioni verso la Russia, dove gli ucraini vengono privati dei documenti e costretti a lavorare per due anni, sembra proprio che Vladimir Putin intenda essere ricordato come l’Hitler del Ventunesimo secolo. Le azioni dei due, in fin dei conti, non differiscono poi così tanto. Da Mosca, naturalmente, negano tutto e parlano, ancora una volta, di “messinscena occidentale”: i presunti cadaveri – proprio come le donne incinte del reparto maternità bombardato giorni fa – sono solo attori che per qualche minuto hanno finto di giacere sull’asfalto e nelle fosse comuni. Senza alcun pudore, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si è spinto ad affermare che esistono filmati in cui si vedono i “presunti morti” rimettersi in piedi.

Dov’è che i russi abbiano la decenza è cosa che ci sfugge. In Italia, c’è un modo di etichettare le persone prive di ritegno e senza alcun senso della vergogna: “faccia da culo” (mi si perdoni l’espressione colorita e poco elegante, ma non trovo altri modi per definire tanta sfacciataggine). Mosca sostiene di avere delle prove a sostegno delle sue tesi e di volerle mostrare al mondo: perché non lo fa, allora? Anche se, in realtà, non abbiamo alcun bisogno dei loro fake: in quel Paese – come in tutti i regimi autoritari – sono abituati a manipolare e a manomettere la realtà e i fatti, piegandoli alle esigenze propagandistiche del regime. Anche i filmati di propaganda trasmessi nei cinegiornali nazisti mostravano famiglie ebree felici di stare nei lager (descritti come una specie di villaggio turistico), bambini che giocavano, pasti abbondanti e una situazione migliore rispetto a quella che erano stati costretti a lasciarsi alle spalle. Ma era solo sporca e ignominiosa propaganda, che non cancella la verità storica sui crimini commessi dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e che serviva soltanto a impedire che si prendesse coscienza di quanto grave e criminale fosse la politica del regime.

Ora ci sono i russi, i quali pensano che le loro prove contraffatte e la controinformazione con la quale avvelenano la mente di una minuscola parte dell’opinione pubblica occidentale possano discolparli o siano in grado di confonderci: certi trucchetti potranno funzionare in Russia, dove il popolo è lobotomizzato dalla propaganda e abituato a belare quando il “Capo” (si chiami Nicola II, Stalin o Putin è indifferente) gli dice di farlo; ma non in Occidente, dove la verità non è quella che le autorità dicono che sia, ma qualcosa che compete a ciascun individuo cercare e scoprire coi propri mezzi, le proprie esperienze e il proprio ingegno.

Quindi i russi si tengano pure le loro “prove”: questo non li sottrarrà alla responsabilità dei loro crimini, per i quali molto presto pagheranno un prezzo assai caro. Tutto questo è ancor più allucinante, se si considera che sono i russi stessi a confermare i timori degli ucraini e delle cancellerie occidentali. Stanno preparando un genocidio: questo è quanto si apprende dalle principali agenzie di stampa russe. Un genocidio nel vero senso del termine: progettano di far scomparire la nazione ucraina, di cancellarne le tracce. Non si parla più di “denazificazione” (termine che ha avuto significato sempre e solo nella testa bacata di Putin e dei suoi lacché), ma di “deucrainizzazione”.

L’agenzia russa Novosty (una delle più vicine al Cremlino e, storicamente, una di quelle che meglio di tutte le altre ha saputo interpretarne correttamente i progetti) ha pubblicato un lungo editoriale a firma del politologo Timofey Sergeytsev, intitolato “Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina”, in cui si traccia la “road map”, il disegno russo per il Paese invaso. Le truppe di Mosca dovrebbero restare nel territorio occupato per un periodo compreso tra i dieci e i venticinque anni. In questo lasso di tempo, bisognerà “ripulire” gli apparati statali dagli amici dell’Occidente, dagli europeisti e dai democratici (tutti compresi sotto il termine di “nazisti” dall’autore): il che vuol dire instaurare un governo fantoccio pronto a chinarsi ossequiosamente agli ordini del Cremlino.

L’aspetto più inquietante, tuttavia, è quello che riguarda il trattamento da riservare alla popolazione ucraina, la maggior parte della quale, in quanto “nazificata”, dovrà essere “rieducata” attraverso la “repressione ideologica” e la censura, in ambito politico come in quello culturale e scolastico. I “nazisti irriducibili” dovranno invece essere “liquidati”. Tradotto dal “putinese” all’italiano: proibire alla cittadinanza di pensare e di parlare come ritiene più opportuno; di guardare con favore all’Occidente e al suo stile di vita; di voler essere libera in un Paese indipendente; irreggimentare le masse come nella miglior tradizione delle dittature; uccidere tutti coloro che non si rassegneranno al dominio russo. Il nome stesso di “Ucraina” dovrà essere proibito, come l’uso della lingua ucraina: l’espressione usata dall’editorialista è proprio “deucrainizzare il Paese”.

A suo dire, l’Ucraina ha dimostrato di non poter funzionare come Stato sovrano e indipendente. Se questo non è un piano genocida, mi si dica in quali altri termini definirlo. Si sta parlando di cancellare una nazione intera; di rimuoverne l’idea, il nome, la lingua e persino il ricordo; di eliminare fisicamente tutti coloro che, in quel Paese, si opporranno a questa follia. I massacri cui abbiamo assistito in questi giorni sono, dunque, solo l’inizio. E pensare che, nonostante questo, c’è ancora chi ritiene non sia una buona idea, ai fini della pace, definire Putin un criminale, invocarne il deferimento dinanzi al Tribunale internazionale e continuare ad assistere la resistenza ucraina con sanzioni e invio di armi. Si rischia solo di incentivare l’escalation e di incattivire i russi ancora di più. Più barbari di così mi pare difficile.

Ma al netto di questo, costoro pensano forse che se non ci mostrassimo duri con Putin costui avrebbe pietà o sarebbe più propenso al negoziato? Che ingenuità. Il leader del Cremlino ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di negoziare, a meno che quei negoziati non gli facciano ottenere quello che vuole prendersi con la forza. Possiamo fare solo due cose col dittatore russo. Possiamo lasciare che prenda ciò che vuole a mani basse e che smembri l’Ucraina riducendola a una colonia; oppure sostenere la lotta di quel popolo e del suo presidente per la libertà, in ogni modo possibile e anche accettando noi stessi di fare dei sacrifici.

Ma nel primo caso, allora sì che avremo un’escalation e che daremo il via a una sequela infinita di conflitti in Europa, dal momento che Putin si ricorderà di quanto è stato facile prendersi l’Ucraina e comincerà a pretendere anche la Polonia, poi la Slovacchia, la Moldavia, le Repubbliche Baltiche, la Finlandia e così via. È già successo nel 2014: se avessimo dimostrato di avere un minimo di spina dorsale in più allora, oggi non saremmo a questo punto. Se Putin ha pensato di poter prendere l’Ucraina è stato anche grazie a noi, che in questi anni non abbiamo fatto nulla per ridimensionare la sua arroganza e per far capire al Cremlino che non è Mosca il centro del mondo.

Dobbiamo smetterla di tergiversare, di essere timidi e di fare i conti della serva. Al contrario, tanto vale ammainare le nostre bandiere nazionali e sostituirle con quella russa. Certo, ci saranno coloro che accuseranno noi di volere la guerra, di immischiarci troppo in un conflitto che non ci riguarda, di voler far pagare ai cittadini le spese di questo conflitto inutile, di non volere i negoziati e di approfittare della situazione per far pagare a Putin la colpa di non essersi allineato ai canoni dell’Occidente.

C’è già chi chiama i sostenitori della linea dura “guerrafondai” o “partito della guerra”, dimenticando che ad avviare il conflitto non sono stati certo gli occidentali, la cui unica colpa, semmai, è stata non fare abbastanza al momento opportuno. Ma il giudizio di costoro è irrilevante, perché di Ponzio Pilato, che davanti a un crimine che si sta per perpetrare preferiscono voltarsi dall’altra parte pur di non avere problemi e di non correre rischi, è pieno il mondo. Ma i Ponzio Pilato finiscono come sappiamo: la storia li ricorda unicamente come emblemi della viltà e della codardia. Diversamente da chi preferisce combattere per ciò che è giusto.

GABRIELE MINOTTI