Gente d'Italia

Se la Nato s’allarga è tutto merito di Putin

 

di Pietro Savatori

E alla fine la Finlandia lo dice per quello che è: non vogliamo fare la fine dell’Ucraina. A Stoccolma si incontrano le leader di due paesi storicamente gelosi di un profilo nazionale incentrato sulla neutralità. Magdalena Andersson e Sanna Marin si presentano insieme in conferenza stampa, insieme valutano il da farsi. Helsinki condivide con Mosca un confine di centinaia di chilometri, con la Russia ha già combattuto e vinto nella guerra d’inverno del 1939, quando l’Armata rossa credette di papparsi il paese in un sol boccone, dovendo accontentarsi dopo poco meno di due mesi e mezzo di strenua resistenza finnica a limitate acquisizioni territoriali.

Quasi un secolo di neutralità oggi traballa, la tanto chiacchierata “finlandizzazione” dell’Ucraina, se mai avverrà, potrebbe essere preceduta dall’atlantizzazione della Finlandia. La prima ministra Marin è stata schietta: “Abbiamo un lungo confine con la Russia e vediamo come si comportano in Ucraina adesso”. Quasi si giustifica per le decisioni cruciali che il suo governo sta valutando in queste ore, sa di parlare al mondo, ma soprattutto sa di parlare ai suoi cittadini e a quelli del vicino svedese, una lunga storia di paesi tinti di bianco mentre sulle cartine esplodevano i colori di alleanze e schieramenti: “È una guerra in Europa che non volevamo accadesse, ma ora purtroppo è così. Pertanto, dobbiamo ovviamente porci la domanda su come possiamo fare in Finlandia per evitarlo”.

Dice proprio così Marin, mettendo a nudo la preoccupazione concreta di Helsinki: nessuno con l’esercito di Putin ai propri confini si sente al sicuro, anche paesi che fanno parte dell’Unione europea e si muovono in un contesto che, pur con tutti i suoi limiti, garantisce protezione e coordinamento nello scenario internazionale. La Russia per tutta risposta ha iniziato a spostare mezzi militari verso il confine finnico, un video verificato dall’emittente britannica SkyNews li mostra dirigersi verso la frontiera.

Per Putin è una provocazione, ma è Putin stesso il primo e più potente motore dell’allargamento della Nato, che in molti nell’Occidente additano come il principale motivo della guerra in uno strepitoso ribaltamento delle cause e degli effetti. “Sentivo il pericolo della Russia, ampliai la Nato”, ha scritto Bill Clinton su The Atlantic, e se i paesi baltici non hanno subito ben prima la sorte toccata a Georgia prima e all’Ucraina poi è stato anche perché chiesero a gran voce e ottennero nel 2004 l’adesione all’Alleanza atlantica.

Ci sono considerazioni di interessi strategici e collocamento internazionale, ma nella scelta di Estonia, Lituania e Lettonia prima e che fra poco potrebbe essere anche quella di Svezia e Finlandia c’è soprattutto la paura di un vicino aggressivo e che non si fa scrupoli nell’invadere il vicino se pensa che stia perseguendo una politica lontana dai suoi interessi.

“Decideremo presto, nelle prossime settimane”, dice la premier Marin, mentre la stampa svedese racconta che la collega Andersson avrebbe già compiuto il passo, e chiederà l’ingresso della Nato al prossimo vertice di Madrid a fine giugno. Due democrazie che scelgono liberamente meccanismi di autotutela sottoposti al vaglio di Parlamenti liberamente eletti, così come è accaduto con le adesioni dalla fine della Guerra fredda in poi. Nella convinzione che non possa essere un autocrate che esercita il suo potere con violenza a determinare le decisioni internazionali e interne dei propri vicini, che non si possa accettare che i carri armati siano l’inaudita risposta all’affievolirsi di una sfera d’influenza, presunta o vera che sia.

Il cantore del putinismo Vladimir Solovev sostiene che "la guerra è della Nato, l'informazione è orchestrata dai Servizi britannici e gli ucraini sono carne da cannone”, in una sorprendente concomitanza di argomentazioni con tanti critici dell’occidente e dell’Alleanza atlantica, ribaltando ancora una volta il principio di causa e effetto: se Svezia e Finlandia allargheranno i confini della Nato, il principale responsabile non è seduto a Washington, ma al Cremlino.

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