DI CLAUDIO PAUDICE

La "Veliky Novgorod" e la "Pskov", due metaniere di Gazprom, nelle scorse settimane hanno sostato a lungo nel mar Baltico, cariche di gas naturale liquefatto. Si trovavano a pochi chilometri da Kaliningrad, l'exclave russa di quasi 500mila abitanti tra Lituania e Polonia, pronte a rifornire la città in caso di necessità. Kaliningrad solitamente si approvvigiona di metano attraverso il gasdotto Yamal, lo stesso che rifornisce l'Europa e che da settimane subisce rallentamenti e interruzioni nei flussi. Per questo nel tempo si è dotata di una Fsru, la "Vasilevskij", piattaforma galleggiante per la rigassificazione del gas naturale liquefatto che prende il nome dal maresciallo e storico collaboratore di Stalin. Ma non solo per questo. Presto o tardi il metano potrebbe non scorrere più attraverso quei tubi. Mosca si sta infatti preparando a rivoluzionare la sua geopolitica energetica e ad annunciarlo è stato il presidente russo Vladimir Putin. Il leader del Cremlino ha chiesto al suo governo di avere sul suo tavolo entro settembre una nuova Strategia energetica per la Federazione che guardi al 2050. L'obiettivo è chiaro: l'Unione Europea, fino ad oggi il principale cliente del monopolista di Stato del metano Gazprom, intende rinunciare alle sue forniture in seguito all'invasione dell'Ucraina. Al vecchio continente serviranno due o tre anni per chiudere col gas di Putin, a meno che le crescenti pressioni politiche per inserire l'export energetico di Mosca nel paniere delle sanzioni non riescano nel loro intento. Ipotesi improbabile, viste l'impossibilità di fare a meno del gas russo e la riluttanza europea ad affrontare una recessione economica per almeno due anni. Secondo il New York Times, l'Ue si sta preparando a un embargo sul greggio, ma dettagli sui tempi non ce ne sono. Comunque, all'appuntamento la Russia vuole farsi trovare pronta: "Dobbiamo diversificare le esportazioni", ha affermato oggi Putin in una riunione sulla situazione dell'industria petrolifera e del gas. "Partiremo dal fatto che nel prossimo futuro le forniture di energia all'Occidente saranno ancora ridotte, quindi è importante consolidare la tendenza degli ultimi anni a riorientare passo dopo passo le nostre esportazioni".

Mosca disegna così le nuove vie del gas e del petrolio, e sono dirette verso i mercati dell'Asia orientale e meridionale, dell'Africa e dell'America Latina. "Dobbiamo garantire la costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti dai giacimenti della Siberia occidentale e orientale" e "accelerare l'attuazione di progetti infrastrutturali - ferrovie, oleodotti, porti - che consentiranno di reindirizzare le forniture di petrolio e gas dall'Ovest verso i promettenti mercati del sud e dell'est già nei prossimi anni". Bisogna "preparare insieme alle compagnie petrolifere e del gas il piano di espansione delle infrastrutture di esportazione verso l'Africa, l'America Latina e l'Asia-Pacifico". Cina, prima di tutto, vista la fame energetica di un Paese in espansione per definizione. Già è servita dal Power of Siberia, il gasdotto inaugurato a fine 2019, lungo più di quattromila chilometri che parte dai giacimenti di gas naturale siberiani fino al confine cinese. La fornitura, regolata da un contratto trentennale tra le due società statali Gazprom e China National Petroleum Corporation, l'anno scorso ha superato i 16 miliardi di metri cubi ma a regime, nel 2025, potrebbe sfiorare i 40 miliardi. Ancora poca cosa rispetto ai 150 miliardi di metri che ogni anno Mosca pompa nei tubi diretti in Europa, cliente in fuga. Ma è già stato lanciato il progetto per un "raddoppio"del gasdotto sino-russo, sulla falsa riga del Nord Stream (il tubo sottomarino che va dalla Russia alla Germania), il Power of Siberia II che dovrebbe pompare altri dieci miliardi di metri cubi all'anno a partire dal 2026.

Volumi ancora troppo piccoli per poter sostituire le copiose entrate derivanti dalle forniture europee ma la volontà (o velleità, viste le numerose difficoltà di carattere tecnico, commerciale e di mercato da superare) di Bruxelles di tagliare di due terzi gli acquisti di gas russo entro la fine dell'anno impone anche a Mosca un'accelerazione. Di certo il Cremlino non parte da zero: l'Ue da mesi sta spingendo sulla necessità di una transizione ecologica per contrastare il cambiamento climatico, affrancandosi dalle fonti fossili per passare gradualmente a quelle green. Non sorprende perciò che la società statale Sovcomflot, la più grande compagnia di navigazione russa e tra i leader mondiali nel trasporto di idrocarburi, possieda già una dozzina di navi gasiere e ne abbia in consegna a partire dall'anno prossimo altre venticinque. Perché dove non arrivano i tubi, arrivano le navi. Gazprom dispone di un'altra manciata di unità, tra cui le due navi che fino a poco tempo fa facevano la posta davanti alla costa di Kaliningrad, ma gran parte dei suoi carichi li sposta attraverso le metaniere che noleggia da Sovcomflot e dall'armatore greco Dynagas.

Le due navi appostate a Kaliningrad sembrano muoversi in direzione India. Perché non c'è solo Pechino. A ottobre scorso Nuova Delhi ha ricevuto il suo primo carico di gnl russo nell'ambito del progetto Jamal Lng. Il gas è arrivato a bordo della "Maresciallo Vasilevskij" attraverso la rotta del Mare del Nord, l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano, mentre prima il gnl estratto nella penisola russa arrivava effettuando trasbordi tra navi solitamente nei porti del Nord Europa. A dicembre scorso, Vladimir Putin e Narendra Modi hanno anche concordato un'ulteriore espansione della cooperazione nel settore del petrolio e del gas, che comprende, tra l'altro, maggiori investimenti nelle infrastrutture del gas e nei sistemi di distribuzione, l'uso del gas naturale nei trasporti e nuovi combustibili emergenti, tra cui l'idrogeno. La compagnia indiana che importa il gas russo, la Gail, ha già un accordo con Gazprom per l'acquisto annuale di 2,5 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto. Ma l'interesse indiano si è di recente spostato anche sul petrolio: con le compagnie europee in fuga dal greggio degli Urali per i timori legati alle sanzioni occidentali, Nuova Delhi ha accettato con favore le forniture russe a prezzi scontati (fino a 35 dollari sul barile) che Mosca le ha offerto su un piatto d'argento. Con buona pace di chi sperava che anche India e Cina potesse partecipare, anche indirettamente alle sanzioni per l'invasione ucraina. Ancora: le importazioni indiane di carbone russo (sotto embargo Ue a partire da agosto) sono balzate a marzo ai livelli più alti da due anni, secondo i dati della società di informazioni sulle materie prime Kpler, pari a circa 1,05 milioni di tonnellate.Proprio Pechino invece ha visto nel mese di marzo un balzo del 12,7%, dopo il +25,7% di febbraio, nei suoi interscambi commerciali con la Russia. La Cina, come l'India, non ha aderito alle sanzioni occidentali contro Mosca per l'aggressione militare dell'Ucraina, dicendo di voler mantenere la "normale attività commerciale". Per questo Washington sta valutando di introdurre sanzioni "secondarie" verso chi continua a fare affari con la Russia.

Con l'aumento atteso della domanda europea di gnl per sostituire il metano russo, i prezzi energetici sono destinati a durare. Secondo una analisi di Icis, le importazioni di gas liquido dell'Ue nel primo trimestre hanno raggiunto 32 milioni di tonnellate, rappresentando il 31% della domanda globale contro quella asiatica calata al 50%. Nel primo trimestre del 2021, la domanda europea pesava solo per il 20%, quella asiatica per il 60%. Di certo ha contribuito l'apporto degli Stati Uniti che nelle scorse settimane non ha esitato a dirottare metaniere dirette inizialmente in Asia verso l'Europa, attratte dai prezzi saliti alle stelle a causa delle crescenti tensioni militari tra Russia e Ucraina, sfociate nell'invasione del 24 febbraio. Gli Stati Uniti hanno promesso di fornire 15 miliardi di metri cubi quest'anno e 50 miliardi all'anno entro il 2030, ma il mercato del gas liquido è piuttosto ristretto e sconta, soprattutto, un mismatch globale tra la capacità di liquefazione e quella di rigassificazione, con la prima che è pari solo alla metà della seconda. In altre parole, un'offerta limitata e i tempi lunghi necessari all'incremento della produzione potrebbero portare a una concorrenza feroce per accaparrarsi le forniture esistenti di gnl tra Europa e Asia, terreno fertile per una corsa dei prezzi. Non solo: Bruxelles considera il gas una fonte di transizione in attesa del graduale passaggio al green, per cui i Paesi membri, a partire dall'Italia, stanno cercando di noleggiare Fsru, unità galleggianti, e non pensano certo di costruire impianti di rigassificazione onshore di cui, tra anni, non saprebbero cosa farsene. Anche sulle unità galleggianti si prospetta perciò una spietata concorrenza, anche all'interno dell'Ue.

Come spiega l'Icis, la costruzione di nuovi progetti GNL richiede in genere dai tre ai quattro anni, quindi la maggior parte dei progetti aggiuntivi a quelli già in lavorazione raggiungerà il mercato non prima della metà degli anni 2020. Al momento in Europa, Australia e Stati Uniti ci sono diversi progetti per aumentare la produzione di gas liquefatto, ma uno - a cui ha preso parte anche l'Italia che però al momento ha sospeso i finanziamenti causa sanzioni - ne ha pure la Russia, l'Arctic Lng 2, un progetto per tre piattaforme che entrerà in funzione nel 2023 e fornirà ogni anno sei milioni di tonnellate di gas liquido.

Le esportazioni globali di gas liquido nel primo trimestre hanno toccato quota 100 milioni di tonnellate, in aumento del 4% rispetto a un anno fa. La Russia, quarto esportatore di gnl al mondo grazie ai due suoi stabilimenti principali - Sakhalin sulla costa orientale per rifornire l'Asia, e Yamal nell'Artico, che rifornisce sia l'Asia che l'Europa - ne ha esportate 8,5 milioni tra gennaio e marzo, in tutto il 2021 circa 30 milioni. La Cina, salvo alcune eccezioni, ha avuto una domanda in crescita ininterrotta di gnl a partire dal 2016 fino a oggi ed è oggi il primo importatore al mondo (circa 80 milioni di tonnellate nel 2021). Basti pensare che quattro acquirenti dell'Asia orientale (Cina, Giappone, Corea del Sud e Taiwan) insieme hanno rappresentato quasi il 60% delle importazioni mondiali di GNL lo scorso anno, rendendo la regione chiave per il mercato del GNL. Eppure qualcosa sta cambiando dopo la guerra visto che le stime Icis dicono che ad aprile le importazioni di Francia, Belgio e Paesi Bassi potrebbero superare per la prima volta quelle della Cina.

La differenza nell'approccio russo e quello europeo sta nei costi da affrontare: Mosca dovrà spendere molte risorse per la costruzione di infrastrutture, da ripagare poi con i contratti a lungo termine con i suoi clienti, mentre l'Ue dovrà fare i conti con prezzi piuttosto elevati per accaparrarsi metano non russo. A dicembre scorso una nave che trasportava gnl americano in Asia, la Hellas Diana, ha invertito la rotta mentre era in mezzo al Pacifico per dirigersi nell'Atlantico e consegnare il gas in Gran Bretagna. In altre parole ha affrontato quasi due volte i costi di trasporto e ha pagato per due volte nello stesso viaggio il pedaggio del Canale di Panama pur di consegnare in Europa.

"Gli attacchi dei partner europei sul rifiuto delle forniture di risorse energetiche russe destabilizzano la situazione e fanno salire i prezzi", ha gongolato Putin. "Loro stessi infatti ammettono di non poter fare a meno delle risorse energetiche russe, incluso il gas naturale, semplicemente perché non ci sono alternative ragionevoli per l'Europa in questo momento". Per il leader del Cremlino, contare su forniture da altri Paesi, come gli Stati Uniti, non è ancora possibile: "Costerebbero ai consumatori molte volte di più, incidendo sul tenore di vita delle persone e sulla competitività dell'economia europea". "Dobbiamo presumere che in futuro le consegne in Occidente diminuiranno", ha ammesso parlando con i suoi ministri. Affidando loro il compito di agire su due direttrici: da un lato alimentare il mercato interno, e dall'altro "riorientare le nostre esportazioni verso i mercati del Sud e dell'Est che stanno crescendo rapidamente". Oltre al conflitto militare, il Cremlino si prepara così alla guerra energetica ed economica su larga scala. Tra le altre cose, la Russia ha vietato le esportazioni di rottami ferrosi, utili per l'industria siderurgica, verso i Paesi "ostili" nei confronti di Mosca a seguito della guerra in Ucraina. Tra le misure adottate per proteggere la propria industria anche l'azzeramento dei dazi sul rame opaco e sulle scorie titanifere per assicurare le materie prime necessarie all'industria siderurgica. Non solo: Putin ha anche lamentato il fatto che alcuni clienti europei sono in ritardo con i loro pagamenti in rubli per il metano, come stabilito dal suo decreto per aggirare le sanzioni sulle sue riserve valutarie. Sembra un primo avvertimento visto che, come già chiarito in passato, la Russia "non farà elemosina", prima che il gas smetta di fluire.