DI MICHELE MEZZA

 

Sia in guerra che in pace la destra si sta separando dal capitale. E la tecnologia sembra cercare un popolo per bilanciare il potere degli stati. Immaginiamo lo sguardo sornione di un Carlo Marx che assiste finalmente al suo sogno di separare la forza creatrice e rivoluzionaria del capitalismo dalle gestione reazionaria e conservatrice che lo aveva ingabbiato negli ultimi tre secoli.

Grandi gruppi tecnologici e finanziari si trovano ormai in rotta di collisione nei confronti delle elites di governo della destra più estrema e oscurantista. Una contrapposizione che sta spiazzando l’intero scacchiere politico, dove la sinistra si trova imbarazzata da sintonie e convergenze con i grandi capitalisti che occhieggiano ai diritti civili e all’emancipazione delle comunità, mentre la destra , rancorosamente minaccia di ritirare l’appoggio ai privilegi concessi ai proprietari di questi gruppi. L’ultimo caso è di queste ore e viene proprio dal cuore del capitalismo rampante: la Florida americana.

Nello stato del sole Disney, che in quella regione è un’azienda madre con più di 100 mila dipendenti diretti e un indotto di turismo che porta nelle località dello stato circa 15 milioni di presenze l’anno,si trova contrapposta al governatore repubblicano Ron De Santis, stella nascente della destra trumpiana che potrebbe insidiare seriamente l’attuale presidente Biden alle prossime elezioni,sul tema delle differenze di genere.

Il governo della Florida, su sollecitazione di De Santis ha infatti approvato una serie di provvedimenti che escludono dalle scuole ogni possibile riferimento o considerazioni sulle identità sessuali. Una discriminazione culturale che la Disney, pressata dai propri dipendenti e dirigenti, non ha mostrato di condividere, manifestando pubblicamente il suo dissenso. La reazione delle autorità locali è stata durissima con l’intenzione di punire fiscalmente il colosso multimediale a cui verrebbero cancellate le facilitazioni che gli furono garantite fin dagli anni 30 quando si decise l’insediamento del primo grande parco a tema .Addirittura i parlamentari della maggioranza repubblicana hanno minacciato di votare una legge che cancella la proroga al copyright sui personaggi di Topolino che rappresenta la principale prerogativa del gruppo fondato da Walt Disney.

Il conflitto sembra deflagrare in tutte le sedi e gli ambiti , con polemiche esplicite e dirette , rinfocolate dall’opposizione democratica. Silenzio invece dal resto del mondo sindacale e delle corpose minoranze etniche quale quella latina che ormai è arrivata a quasi il 30 % della popolazione. I dipendenti della Disney in media sono, rispetto ai lavoratori latini, impegnati prevalentemente nella ricca agricoltura locale o nel settore delle costruzioni, considerati classe media, con retribuzioni migliori. Su questo si è concentrato il governatore che ha accusato la Disney di privilegiare le ragioni dei ceti più agiati e viziati.

Rimane comunque evidente come il conflitto che tiene la scena il Florida sia quello fra la destra più radicale e un grande gruppo tecnologico e finanziario come è oggi Disney, un marchio che parla alle famiglie ed è titolato a condividere o meno la politica culturale di uno stato.

Il precedente di questo scontro risale a qualche anno fa sul fronte ecologico, ai tempi della presidenza Trump , contro cui si era espresso il principale gruppo del mondo che amministra fondi di investimenti come BlackRock che contestava la politica di sganciamento della Casa Bianca dagli accordi per il Change Clime, il cambiamento climatico. I vertici della potenza finanziaria hanno deciso che non investiranno più in attività che possano concorrere ad un logoramento della sostenibilità ambientale. Anche in quel caso la massima autorità politica americana si è trovato contro un interesse che avrebbe dovuto sostenerlo.

Persino nella guerra in Ucraina vediamo come i principali alleati di Kiev siano le grandi piattaforme digitali, come Google e Amazon o addirittura il gruppo di Elon Musk che con la sua flotta privata di satelliti sta rovesciando equilibri sul campo e le condizioni stesse del combattimento.

Si intuisce che in questi hanno, con l’esplosione del mercato universale della comunicazione, siano cresciute potenze inconsuete, che accoppiano grandi capacità di finanziamento a possibilità di condizionare il senso comune di interi paesi se non proprio di continenti. Siamo dinanzi a soggetti di un potere infinito, che arriva ad interferire sui comportamenti di ognuno dei miliardi di utenti di questi servizi. Al tempo stesso quyesti gruppi hanno bisogno di un riconoscimento da parte dei propri clienti, devono contare su consenso e complicità per condurre il loro modello di business. Una realtà composita, in cui il capitale finanziario e tecnologico diventa immateriale e cognitivo, proprio come aveva previsto Marx nel suo testo I Grudrisse, molto meno diffuso e letto de Il Capitale, ma per riprodursi deve basarsi su forme di cooperazione attiva da parte dei sui utenti che si trovano a dover condividere valori e percezioni nella infosfera che raccoglie l’insieme di queste relazioni digitali.

Ora la guerra sta ridisegnando questo mercato, limitandone la pervasività, e identificando le tecnologie addirittura con i sistemi d’arma. I grandi marchi rispondono diventando meno mercato e più comunità, rendendo invisibili le piattaforme e sempre più diffuse e indispensabili le relazioni che autorizzano. La tecnologia cerca di farsi popolo per sottrarsi al controllo dello stato mentre la società diventa ostaggio di questo conflitto su valori e diritti.