Gente d'Italia

Giuseppe Conte e Matteo Salvini, attenti a quei due 

 

 

 di Gabriele Minotti

Giuseppe Conte e Matteo Salvini sembrano Stanlio e Ollio in versione politica: anzi, se Stan Laurel e Oliver Hardy avessero mai interpretato una gag nel ruolo di politici, probabilmente il risultato sarebbe stato molto simile. Ma mentre lo storico duo comico sarebbe riuscito a metterci di buon umore e a farci passare mezz’ora di allegria e di spensieratezza, l’altro duo, quello Salvini-Conte, può solo far piangere e arrabbiarsi. Le loro prese di posizione non fanno ridere per niente e le loro continue scenette, i loro teatrini su questioni delicate e di importanza cruciale, come l’invio di armi all’Ucraina e la necessità di fare fronte comune con gli alleati occidentali per respingere la minaccia russa, possono solo suscitare indignazione e sconcerto.

L’alleanza giallo-verde sembra sul punto di rinascere in seno al Governo Draghi: a ricompattare le due forze antisistema è proprio il conflitto russo-ucraino e il ruolo che dovremmo giocare noi in questo contesto. Secondo i due leader, infatti, è un errore aiutare gli ucraini a difendersi e bisognerebbe invece lavorare a una soluzione negoziale. Matteo Salvini, dall’inizio della guerra, sembra più un missionario, un predicatore o un mistico che non un politico. Non fa altro che parlare di pace e di quanto siano orribili le armi (a meno che non servano a sparare ai ladri, perché, in quel caso, divengono improvvisamente buone e il loro uso lecito). Cita Papa Francesco – del quale sembra la versione loffia e macchiettistica – e temo tra poco comincerà anche con Gandhi. Nello specifico, il leader leghista sostiene che più armi si inviano agli ucraini, più la possibilità della pace si allontana, il conflitto si prolunga e le persone continuano a morire. Peccato che Salvini non sia un capo religioso e che il suo compito non sia fare prediche, ma lavorare per l’interesse del popolo che lo ha eletto e che gli dà di che vivere. E l’interesse maggiore degli italiani, in questo momento, non è mantenere costante il volume di export verso la Russia, né quello di continuare a ricevere forniture di gas sufficiente a evitare un possibile razionamento e qualche rinuncia, ma quello di non ritrovarsi i tank russi a Milano o a Roma; quello di non vivere quello che stanno vivendo gli ucraini; quello di restare liberi. Prima la libertà, il resto si vedrà. E l’unico modo per sincerarsi che Vladimir Putin non provi a fare con altri quello che sta facendo ora con l’Ucraina è sconfiggerlo e costringerlo a capitolare. Tutti insieme, come Europa e come Occidente, possiamo riuscirci e ci stiamo già riuscendo. Chi non lo crede possibile, cerca solo di fiaccare il morale dei popoli occidentali, affinché rinuncino e si lascino travolgere imbelli dalla prepotenza russa; affinché Mosca abbia gioco facile nel privarci della nostra libertà e della nostra democrazia, anche grazie all’appoggio dei suoi “pupazzi” sovranisti.

Certo, è comprensibile che al segretario leghista non vada a genio l’idea di contrapporsi a quel Vladimir Putin dal quale ha ricevuto sostegno per il suo partito; che ha osannato per le sue qualità di grande leader; la cui pantofola è andato a baciare deferentemente fino a Mosca; che ha favorito la sua ascesa elettorale grazie a una macchina propagandistica, facendogli guadagnare un consenso che difficilmente avrebbe ottenuto con le sue sole forze; col cui partito “fascio-reazionario” ha stretto accordi di collaborazione ancora in vigore. Ma c’è un limite dato dalla decenza, che non andrebbe mai oltrepassato. Quella decenza che impone di non chiudere gli occhi davanti alla realtà.

Nel caso di specie, siamo davanti a un dittatore che ha dimostrato (non che ce ne fosse bisogno) di avere dei profondi e radicati istinti criminali; che non solo ha instaurato un regime di terrore poliziesco in casa sua, ma che punta a imporlo anche ad altri e che, per questo scopo, ha distrutto un’intera nazione a suon di bombe, ha commesso stragi e massacri e minaccia di fare la stessa cosa anche con altri Paesi. Se questo non basta a far cambiare idea a Salvini, ciò è segno del fatto che non c’è buonafede in lui e che, quando parla di non sostenere la resistenza ucraina e di impegnarsi di più per la pace, intende semplicemente dire che dovremmo lasciar vincere il suo vecchio amico del Cremlino; che dovremmo lasciare che prenda l’Ucraina e che dilaghi in tutta Europa, distruggendo la nostra civiltà liberale e democratica. Non basta professarsi fedeli ai valori occidentali (di cui pure è stato detto che Putin fosse il miglior difensore), se poi non si fa nulla per difenderli da chi li minaccia e punta a farne scempio. Questo non può non indurre a pensare che l’idea di Salvini sia sempre stata quella di favorire la penetrazione russa in questo Paese, di ridurre la nostra Italia a una colonia di Mosca o, almeno, di instaurare – col favore del Cremlino – un regime autoritario come quello russo. Oppure, di prendere e conservare il potere grazie all’appoggio della Russia, come Aleksandar Vučić o come Alexander Lukashenko: meglio essere governatore di una colonia che essere condannato all’irrilevanza politica, stando ai sondaggi impietosi che sembrerebbero prefigurare un destino tutt’altro che roseo per il Carroccio salviniano.

Se, invece, da parte del leader leghista c’è veramente la convinzione di poter dialogare con Putin e di poterlo convincere con metodi nonviolenti a sedersi al tavolo delle trattative, allora siamo di fronte a un caso di straordinaria ingenuità, di grossolana dabbenaggine. Il dittatore russo ha un piano ben preciso, articolato in tre fasi. Primo, ricostituire una sfera d’influenza russa; secondo, allargarla sempre di più verso Ovest, con i carri armati o con le alleanze politiche con le forze sovraniste nel caso dei Paesi Nato, per portare questi ultimi fuori dalla sfera d’influenza americana; terzo, sovvertire l’ordine mondiale, scalzando le democrazie liberali a favore delle autocrazie e conferendogli, possibilmente, un carattere “russo-centrico”. Non si fermerà davanti a niente, pur di portare a termine i suoi obiettivi, come sta dimostrando in questi giorni di guerra. La nostra scelta è solo tra contrastare questo progetto o assecondarlo. L’unico modo per fermare questa guerra senza armi è dare a Putin quello che vuole, abbandonando l’Ucraina al suo destino e, con essa, ogni altro Paese che subirà una sorte analoga. Fin quando la Russia e gli altri regimi suoi alleati non avranno distrutto ogni cosa.

Non meno desolanti sono le parole e le dichiarazioni di Giuseppe Conte, il quale – forse per dire qualcosa di diverso rispetto al segretario leghista – sostiene che il Movimento Cinque Stelle non è contrario all’invio di armi difensive, bensì di armi sempre più pesanti e distruttive, come i carri armati. E per questo chiede di riaprire un dibattito parlamentare chiusosi da un pezzo, anche con il sostegno di coloro che ora si stracciano le vesti e improvvisano predicozzi pacifisti. Pure nel caso del leader pentastellato vale un discorso analogo al precedente: i legami del suo partito con i regimi illiberali (come quello cinese, ma anche come quello venezuelano) sono noti; come è noto che sotto la premiership di Conte abbiamo rischiato che i russi – infiltratisi nei nostri apparati con la scusa di venirci a portare assistenza e soccorso durante la fase più acuta della pandemia, nella prima metà del 2020 – riuscissero a mettere mano a informazioni riservate e che, se fossero riusciti a ottenerle, avrebbero aperto una falla gravissima nel nostro sistema di sicurezza e nel nostro apparato amministrativo. Il problema del Movimento Cinque Stelle sta nella sua natura autoritaria, che inevitabilmente lo porta a simpatizzare con le dittature e a smarcarsi dalle democrazie.

Cosa voglia dire, poi, approvare l’invio di armi difensive ma non di armi pesanti è cosa che solo Conte ha capito. Tutte le armi sono offensive e tutte sono difensive: è una distinzione che non ha senso, dato che la natura offensiva o difensiva di un’arma è data dall’intenzione con cui la si usa e dall’entità della cosa da cui bisogna difendersi. È chiaro che anche un carro armato, un lanciamissili o un caccia sono armi difensive, se servono a respingere l’attacco portato avanti con altri carri armati o arei. O forse gli ucraini dovrebbero difendersi dai bombardamenti russi con i giubbotti antiproiettile, con le pistole o con i fucili?

Dice Conte che questo non fa che acuire il conflitto e potrebbe persino spingere la Russia a una reazione spropositata, dal momento che Putin potrebbe pensare che l’Occidente sia in guerra contro di lui e che il vero obiettivo sia quello di rovesciare il suo regime. Caro Conte, Le do una notizia: chi sta acuendo il conflitto, rifiutando di fermare l’offensiva, è Putin. Noi non stiamo facendo altro che commisurare le nostre risposte alle sue scelte. In secondo luogo, nel caso Le fosse sfuggito, non siamo noi ad aver minacciato la sicurezza della Russia, ma la Russia che ha attentato in diverse occasioni alla nostra e che ora, avendo visto fallire tutti i suoi tentativi, ha deciso di passare all’offensiva militare. Dunque, è la Russia ad aver dichiarato guerra, da molti anni, al mondo libero e ai suoi valori. Putin può pensare quello che vuole, anche che l’Occidente stia cercando di destituirlo (e nel caso non ci sarebbe nulla di male, anzi, è un’opzione che dovremmo seriamente considerare, data la pericolosità del soggetto): ciò non cambia il fatto il suo aver violato le norme del Diritto internazionale e della stessa umanità. La qual cosa ci legittima e ci impone a schierarci contro di lui, di perseguire la sua sconfitta e di assicurarci che non ci riprovi in futuro.

Tuttavia, non è stata considerata l’ipotesi più semplice e immediata, che in quanto tale potrebbe rivelarsi la più giusta: i due leader, in crisi di credibilità e con le elezioni alle porte, stanno cercando di attirare consensi, facendo leva sulla paura di molti italiani relativamente alle potenziali evoluzioni del conflitto, presentandosi come gli unici leader “pacifisti” o “dialoganti” (“colombine” rispetto ai “falcacci militaristi” degli altri partiti) a una opinione pubblica che, prevedono, tra poco diventerà insofferente alla questione (complici anche tutte quelle trasmissioni televisive, dove più che informazione si fa terrorismo mediatico).

Se è davvero così, ai due leader bisogna rimproverare tre cose. La prima è il loro sottovalutare la fibra morale degli italiani, che all’occorrenza sanno anche affrontare dei grandi sacrifici, se è per una buona causa come la difesa della loro libertà attraverso la difesa della libertà altrui. La seconda è che, se anche fosse, un vero leader non insegue il consenso, ma lo fabbrica; un vero leader non si appiattisce sui sondaggi o sul comune sentire, ma cerca di far prevalere le sue idee, cerca di portare quante più persone possibili dalla sua parte convincendole della bontà delle sue proposte; solo i “leader di cartone” inseguono gli applausi della piazza e i like su Facebook a discapito di ciò che è veramente giusto e necessario per il Paese. Terzo, è in mano a soggetti come il duo Salvini-Conte che le democrazie – come sosteneva Aristotele – degenerano in demagogie, cioè in quella tipologia di Governo dove i governanti, pur di ottenere o conservare il potere, non esitano a lusingare gli istinti e le ambizioni più basse e meschine della popolazione, con conseguenze drammatiche sulla cosa pubblica.

Fortuna che, anche all’interno di questi due partiti, ci sono anime “responsabili”, che sembra non siano interessate a seguire il delirio dei due leader. Correnti che, forse, dovrebbero valutare il “salto del fosso” e dare il benservito ai due Masaniello, per serrare le fila del fronte dei principi e della serietà, contro quella del qualunquismo e del disfattismo.

Exit mobile version