di Pietro Salvatori

Mario Draghi riceve il primo ministro giapponese a Palazzo Chigi, Luigi di Maio è in partenza per Nuova Delhi per tenere vivi i rapporti con l'India, gigante del sud est asiatico che non va assolutamente lasciato alle lusinghe di Mosca, gli sherpa italiani a Bruxelles sono impegnati a limare la nuova infornata di sanzioni. Poi arriva Giuseppe Conte: "Una soluzione, un negoziato è a portata di mano". Nonostante tutti gli sforzi diplomatici si siano arenati di fronte all'intransigenza distruttrice del Cremlino, nonostante la telefonata di oltre due ore con Vladimir Putin dalla quale Emmanuel Macron è riemerso con un senso di desolazione e con un pugno di mosche in mano, il leader del Movimento 5 stelle si avventura nel delineare una soluzione diplomatica della quale è unico e solo depositario al mondo. Quale sia non lo dice, di certo c'è che l'autocrate di Mosca ha detto al presidente francese che se l'Occidente smette di mandare armi all'Ucraina la soluzione potrebbe avvicinarsi, che è in buona sostanza la stessa linea del vertice dei 5 stelle.

"L'Italia deve battersi per orientare una soluzione politica questo conflitto", dice Conte, come se non fosse quello che mezzo mondo è indaffarato a fare, in una conferenza stampa fiume che diventa un comizio, l'occasione della presentazione della Scuola di formazione del suo nuovo partito, che se le premesse sono queste c'è da preparare i popcorn. "Noi non vediamo nessuna possibilità per l'obiettivo di sconfiggere la Russia - continua il professore pugliese - Se questo è l'obiettivo, l'Italia lo deve correggere. Non può essere a portata di mano e sarebbe una follia".

In principio erano le spese militari, poi sono arrivate le armi difensive e non offensive, che non voleva dire nulla, il riferimento all'articolo 51 della carta dell'Onu, che non spiega nulla se non il diritto all'autodifesa, poi i carri armati che non vanno bene. L'avvocato di non si sa bene più quale popolo continua nella sua strategia ad alzo zero contro il governo, ma anche contro il ministro degli Esteri, che fino a prova contraria è uno dei maggiorenti del suo partito.

Grida che "qualcuno forse pensa di spingerci fuori dal governo", e suona più come un invito che come un'accusa, visto che ormai non è più un mistero per nessuno che quello sia l'obiettivo di Conte: fermare l'emorragia di consensi, ricercare le urne come momento catartico per sbarazzarsi di un partito sul quale ha scarso controllo e riportare in Parlamento una pattuglia assai più gestibile che, pur con l'inevitabile riduzione di seggi, gli consenta di avere una forza di interdizione per manovrare.

"Staccherebbe la spina anche adesso", dice un parlamentare di lungo corso, spiegando che l'unico motivo per cui non lo fa è che il partito gli si spappolerebbe in mano e potrebbe bruciarsi definitivamente. Il Palazzo è una girandola impazzita di voci. Si sente con Salvini, raccontano, anzi, con lui si sarebbe proprio visto, attovagliato con il fu alleato e poi nemico per decidere una strategia comune. Le notizie di contatti trovano conferme, si derubrica il tutto ai "normali confronti tra i leader della maggioranza", quelle su un'incontro nessuna, ma fanno ben capire che aria tira.

Mentre Conte tirava fuori la soluzione immaginaria il vecchio amico gialloverde rilanciava con "l'Italia lanci una grande iniziativa per la pace, mandare armi è una risposta debole", qualunque cosa significhi. I due si lanciano segnali a distanza, senza nominarlo il capo politico si rallegra che alla richiesta che Draghi riferisca in aula "hanno aderito altre forze politiche ed è stata accolta anche nel dibattito pubblico". Sa di parlare a un muro, perché gioca con le parole. Il suo puntiglio avvocatesco viene riposto nel cassetto di fronte allo scagliarsi elettoralistico contro le evidenze di un voto parlamentare che consente di spedire armi all'Ucraina fino al 31 dicembre e secondo le esigenze di difesa del paese, e nessuno, se non lui, ha deragliato da quell'impegno. E sa che il decreto votato prima dai ministri e poi dai parlamentari 5 stelle impegna il premier o uno dei ministri competenti a riferire ogni tre mesi alle Camere, pronto a rivendicare un obbligo di legge come un successo della bottega. Forse c'è anche un po' di frustrazione, visto che Draghi fa spallucce e non lo degna nemmeno di una risposta, impegnato a gestire un paese in uno scenario di guerra. In Parlamento ci andrà, sì, ma non prima del 19 maggio, per un già previsto question time, e, fanno sapere i suoi, non si sottrarrà a domande anche su questo. Ma non prima, perché la democrazia ha le sue regole che non mutano al mutare delle posizioni di un partito in crisi di consensi.

Anche per questo, nonostante la tiritera da sindrome dell'assediato, il leader del Movimento cerca lo scontro a tutto campo. Va al frontale con Draghi, dicendo che c'è stata una "demonizzazione strategica della misura del superbonus". A Palazzo Chigi un po' sono furiosi un po' rivedono un copione ormai logoro. Una fonte che ha una certa confidenza con il premier risponde testualmente "la vuole da mesi" alla domanda se secondo lui Conte cerchi una crisi di governo, ma poi spiega che non si vede alcuna accelerazione ma solo l'ennesima, sfiancante bega di posizionamento attraverso la quale posizionare il partito.

Sentite un senatore, che la spiega come meglio non si potrebbe: "Tu mi chiami perché scriverai un pezzo su di lui, finirà nel titolo, ci saranno delle reazioni. Se avesse seguito la linea del governo nessuno lo avrebbe notato, ci sarebbe stata una riga a pagina 8. Semplice no?".

Abbastanza semplice, in effetti, se non fosse un gioco a somma zero su un paese già di suo in difficoltà e con battaglie politiche giocate sul destino di uno stato martoriato come l'Ucraina. Anche Di Maio è convinto che Conte non voglia strappare, e se il suo sia un semplice ottimismo della volontà non è dato sapere. Ma tra i suoi iniziano a serpeggiare i dubbi sul che fare in caso di strappo anticipato, e molti già ragionano sul fatto che non lo seguirebbero, e il solo parlarne testimonia come la possibilità non sia così remota.

Conte cerca di occupare lo spazio di una sinistra massimalista che strizza l'occhio anche a una parte della destra, mentre Di Maio si riferiva a Marine Le Pen dicendo che il suo sovranismo avrebbe distrutto l'Europa lui rispondeva che in fondo pone anche temi buoni. "La standing ovation al congresso di Articolo1 lo ha gasato", raccontano, il pacifismo è la nuova bandiera e quindi armi difensive, anzi no leggere, anzi no non pesanti, ma cercando una soluzione diplomatica, è lì, non la vedete? Tutto per smarcarsi in una narrazione che si basa sul falso argomento che c'è chi vorrebbe la guerra e chi no, mentre il punto è se si cerca una pace o si vuole la resa.

Ce l'ha anche con il Pd e il termovalorizzatore di Roma, perché "sulla norma sull'inceneritore spero non si pensi neppure lontanamente di calare la fiducia, la fiducia semmai la chiediamo noi", ostenta una superiorità morale dicendo che con i Dem non si può andare ovunque alle amministrative, perché "noi abbiamo delle asticelle alte sulla cultura della legalità". La convinzione è che l'attuale legge elettorale non cambierà, e quindi giù a smarcarsi, a sottolineare differenze, perché tanto poi il sistema dei collegi uninominali costringerà il Pd attorno al tavolo.

Da dopo le amministrative ogni momento è buono per l'incidente e per far ruzzolare il paese verso il voto, magari in autunno. Il presidente M5s chiede una volta per tutte "rispetto per i cittadini che hanno votato M5s, che non vanno presi in giro". Non ancora almeno, dopo avergli promesso no alleanze e essersi alleati con tutti, dopo avergli detto no Tap, no Tav, no a soldi pubblici per poi cambiare idea alla bisogna. "Inizio a pensare che qualcuno voglia spingere M5s fuori dal governo. Se questa fosse l'intenzione ce lo dicano chiaramente", dice infine Conte. Guardandosi allo specchio.