Boris Johnson (foto Depositphotos)

di Gabriele Carrer

La Russia avanza, l’Ucraina arretra e chiede più impegno all’Europa. È in questo contesto che avrebbe preso forma la proposta fatta all’Ucraina dal primo ministro britannico Boris Johnson in occasione della sua visita a Kiev il 9 aprile scorso. A rivelarla è stato il Corriere della Sera, citando “alcune persone a conoscenza dei colloqui e presenti in questi giorni al World Economic Forum di Davos”. Si tratterebbe di un “Commonwealth europeo” guidato dal Regno Unito e di cui farebbero parte, oltre all’Ucraina, anche l’Estonia, la Lettonia, la Lituania e la Polonia. Potenzialmente anche la Turchia, ma soltanto in un secondo momento. Secondo quanto ricostruito dal quotidiano sarebbe “un’alleanza di Stati gelosi della propria sovranità nazionale, liberisti in economia e decisi alla massima intransigenza contro la minaccia militare di Mosca”. Il patto potrebbe anche rafforzare la UK Joint Expeditionary Force, che riunisce altri sette Paesi Nato (Danimarca, Estonia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia e Paesi Bassi) e due che hanno appena fatto richiesta di adesione (Finlandia e Svezia).

Dopo aver passato un anno ad ammassare le sue truppe in Bielorussia, il 24 febbraio scorso il presidente russo Vladimir Putin ha dato luce verde all’invasione dell’Ucraina scommettendo, tra le altre cose, sulle divergenze occidentali. Le analisi delle intelligence prima che i soldati russi passassero il confine ucraino sembravano dargli ragione: da una parte gli Stati Uniti e il Regno Unito, che da novembre avvertivano del rischio invasione alimentando preoccupazioni anche nell’Est Europa; dall’altra il blocco centrale dell’Unione europea guidato da Francia e Germania, che si erano convinte che il Cremlino non avrebbe mai dato il via libera anche per via dei forti legami commerciali con il Vecchio continente.

Nei primi tre mesi di conflitto la compattezza occidentale a sostegno dell’Ucraina ha rappresentato una sorpresa quanto una difficoltà per la Russia. Basti pensare al lavoro diplomatico, agli aiuti militari e alle sanzioni economiche. Ora, però, le distanze stanno emergendo. Lo raccontano le divergenze dell’Unione europea per raggiungere un’intesa sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Cina. Ma anche i numeri degli aiuti di cui tiene traccia il Kiel Institute For The World Economy: davanti a tutti ci sono gli Stati Uniti, seguono il Regno Unito e la Polonia. Il primo ha fornito più sostegno economico e militare all’Ucraina di tutta l’Unione europea, la seconda del trio Francia, Germania e Italia.

E lo confermano le parole pronunciate dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Forum economico di Davos, in Svizzera. “Da soli non possiamo lottare contro la Russia”, ha detto. E anche riferimento agli aiuti militari: “La mia domanda è: c’è questa unità nella pratica? Non la vedo. Avremo un enorme vantaggio sulla Russia solo quando siamo veramente uniti”.

Parole che assumono ancora più peso in quanto pronunciate nelle ore in cui le truppe russe stanno guadagnando terreno nel Donbass con una nuova strategia di guerra fatta, come spiegato dall’Institute for the Study of War, di “piccoli accerchiamenti” per ottenere guadagni progressivi, piuttosto che un grande accerchiamento.

E qui arriviamo alla proposta del primo ministro Johnson a Kiev. Scrive il Corriere della Serache “i colloqui sarebbero continuati e il corteggiamento britannico verso l’Ucraina si starebbe facendo sempre più pressante e circostanziato”. Il presidente Zelensky ne potrebbe aver parlato con gli altri quattro leader in occasione dalla loro visita a Kiev, avvenuta pochi giorni dopo l’incontro con quello britannico. Infatti, l’estone Alar Karis, il lituano Gitanas Nauseda, il lettone Egils Levits e il polacco Andrzej Duda sono stati nella capitale ucraina il 13 aprile scorso. Jakub Kumoch, consigliere di politica estera del presidente polacco, aveva definito gli Stati baltici come “partner chiave” della Polonia “in materia di sicurezza nella regione”. Per questo, “abbiamo deciso di andare a Kiev insieme. Il nostro obiettivo è mostrare sostegno al presidente Zelensky e ai difensori dell’Ucraina in un momento decisivo per il Paese”.

Il governo ucraino in questa fase starebbe lasciando fare, anche perché deluso dall’Unione europea guidata dall’asse franco-tedesco su almeno tre questioni. La prima: i ritardi europei sugli aiuti stanno scavando un fossato politico. La seconda: nessuno tra Parigi, Berlino e anche Roma vuole assistere alla capitolazione di Putin. La terza: l’adesione all’Unione europea potrebbe avvenire “probabilmente tra 15 o 20 anni”, ha sostenuto Clement Beaune, ministro francese per gli Affari europei, indicando una soluzione nell’ingresso dell’Ucraina nella comunità politica europea proposta dal presidente Emmanuel Macron – il piano di Londra potrebbe suonare a Parigi come una bocciatura dell’idea sostenuta anche, tra gli altri, dal segretario del Partito democratico Enrico Letta. Ma su questa terza questione i leader europei dovranno esprimersi durante il vertice del 23 giugno. L’indirizzo che daranno potrà rappresenta uno stop o uno slancio al progetto britannico.

Il quale, tuttavia, presenta (almeno) due debolezze. La prima: le difficoltà tra Ucraina e Turchia accese dai dubbi espressi da quest’ultima sull’adesione di Finlandia e Svezia nella Nato. La seconda: se negli aiuti militari il Commonwealth avrebbe un certo peso, lo stesso non si può dire della capacità finanziare non paragonabile a quella dell’Unione europea.

Il piano, però, confermerebbe anche quanto ipotizzato su queste pagine alcune settimane fa. Ossia che l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe aver spinto il Regno Unito a riorientare la sua strategia Global Britain post Brexit guardando meno all’Indo-Pacifico e occupandosi di più della sicurezza dell’Europa. Il tutto potrebbe trovare il sostegno degli Stati Uniti, il cui pivot to Asia iniziato dal presidente Barack Obama e proseguito dai successori Donald Trump e Joe Biden impone un rafforzamento della difesa europea.

Possibile, come ipotizza anche il Corriere della Sera, che la mossa del primo ministro Johnson sia legata al braccio di ferro con l’Unione europea sull’Irlanda e al tentativo di Londra di riaprire la trattativa con Bruxelles sulla Brexit.

Ma non è l’unica ipotesi. La mossa di Johnson potrebbe essere anche pensata per spingere l’Unione europea verso un ancora maggior sostegno all’Ucraina avvicinando le posizioni franco-tedesche a quelle dell’Est. Anche perché il primo ministro britannico difficilmente può ignorare il fatto che indebolendo il fronte europeo otterrebbe l’effetto opposto a quello sperato.