di Matteo Forciniti

Sono tanti gli elementi di unione che condividono gli emigrati friulani in Sud America. Tra questi occupa senz’altro un posto speciale la polenta, un simbolo della gastronomia friulana portata in questo continente nei secoli scorsi e che continua ad essere presente nelle tavole delle famiglie dal Rio della Plata fino al sud del Brasile. Mercoledì scorso una videoconferenza organizzata dalla sezione uruguaiana di Efasce è stata dedicata proprio a questa tematica con la presentazione curata da Argel Rigo, coordinatore degli enti friulani in Brasile, che ha descritto tutta l’evoluzione vissuta dalla polenta, dal passato fino ai giorni nostri.

“La polenta ha avuto un ruolo mistico nella storia delle nostre comunità” racconta Argel Rigo con un inconfondibile portuñol. “Questo piatto arrivò nel paese con le famiglie italiane durante la seconda metà dell’ottocento, da Rio Grande do Sul a Santa Catarina fino a Espírito Santo. A contribuire alla sua popolarità furono in generale tutti gli italiani del nord, veneti specialmente ma anche coloro che provenivano dalle regioni confinanti come nel nostri caso. Per tanto tempo è stato praticamente l’unico piatto nelle case queste famiglie, tanto di giorno come di sera. Immaginiamoci una famiglia molto numerosa, dieci o undici figli e in condizioni di povertà. L’unica cosa che potevano permettersi e che riusciva a saziare era questo, non c’era nient’altro”. Ma oltre all’aspetto economico, sottolinea Rigo, “all’interno delle famiglie friulane il piatto aveva anche una grande importanza per quello che significava per stare insieme e riunirsi intorno al focolare durante la sua lunga preparazione”. “Anche nella mia famiglia” -prosegue- “si cerca di mantenere la stessa ricetta tramandata di generazione in generazione dagli antenati friulani che usavano pochi e semplici ingredienti, cucinando farina di mais e acqua. Se prima si mangiava quasi tutti i giorni eccetto la domenica -che era giorno di festa e quindi si mangiava la pasta- oggi cerchiamo di mangiarla almeno una volta a settimana. I modi per essere consumata sono tantissimi, tra i più diffusi c’è quella fritta oppure abbrustolita.”.

Oltre a ripercorrere la storia della diffusione della polenta nel sud del Brasile, nella conferenza si è parlato anche di attualità e di come questa tradizione italiana continua ad essere fortemente radicata in alcune zone del paese: “Oggi giorno chiaramente la polenta ha un significato molto diverso ed è stata rivalutata venendo offerta anche nei ristoranti. Non è dettata da quella necessità economica che c’era prima ma riveste comunque sia una grande importanza in alcuni centri rurali dell’interno dove c’è una presenza italiana fortissima”.

Un esempio sono le feste popolari che si organizzano ogni anno a Urussanga (Santa Catarina), Monte Belo do Sul (Rio Grande do Sul), oppure a Venda Nova do Imigrante (Espírito Santo). Al “Polentaço” di Monte Belo do Sul, ad esempio, partecipano più di 20mila persone e si cucinano 800 chili di farina di mais. A Urussanga la festa ha appena compiuto dieci anni sotto l’organizzazione del gruppo amici della polenta. “In tutti questi casi” -conclude Rigo- “noi come associazione accompagniamo gli eventi perché la polenta rappresenta la nostra cultura, la nostra tradizione che vogliamo difendere e trasmettere”.

Coincide anche Claudia Gerardo, rappresentante della sezione uruguaiana di Efasce: “Sarebbe molto utile ripensare a quello che la polenta ha rappresentato per le famiglie italiane emigrate. Oltre alla necessità economica e alla sofferenza questa preparazione rappresentava anche il modo di stare insieme e riunirsi intorno al focolare. È il simbolo dell’unione, di una storia che ci appartiene”.