di Giulia Belardinelli

La decisione del governo di Washington di fornire alle forze armate ucraine sistemi d'arma più potenti come i lanciarazzi multipli HIMARS rappresenta un nuovo momento cruciale nella guerra in Ucraina, a quasi cento giorni dall'inizio dell'invasione russa. L'annuncio – dato dal presidente americano in un op-ed sul New York Times – è stato preceduto da una serie di notizie e precisazioni che sembrano tutto tranne che casuali: prima l'esclusiva della Cnn, venerdì, a preannunciare la svolta nella sua possibilità massima (sistemi capaci di sparare raffiche di razzi per centinaia di chilometri); poi la rassicurazione di Joe Biden lunedì ("non invierò nulla che possa colpire in Russia"); infine l'annuncio affidato all'op-ed martedì sera e subito dettagliato da un funzionario della Casa Bianca (l'Ucraina riceverà l'American High Mobility Artillery Rocket System, o HIMARS, un sistema che può colpire obiettivi fino a 48 miglia di distanza, poco più di 77 chilometri). Il sistema – ha fatto sapere la Casa Bianca - potrebbe essere equipaggiato con razzi anche a lungo raggio, in grado di volare per oltre 300 km prima di colpire un bersaglio, ma Biden ha deciso di non fornire quei razzi all'Ucraina. E l'Ucraina – ha aggiunto il funzionario dell'amministrazione – ha assicurato che non lo userà contro obiettivi all'interno del territorio russo.

Definiti i limiti e il perimetro del nuovo aiuto militare, resta da vedere quanti saranno i sistemi forniti e in che tempi. Intanto è arrivata la reazione – del tutto prevedibile - di Mosca, secondo cui Washington getta "deliberatamente benzina sul fuoco". "La linea degli Stati Uniti è di combattere la Russia fino all'ultimo ucraino", ha dichiarato il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov. "Queste consegne non incoraggiano la leadership ucraina a riavviare i negoziati di pace", un termine che nella prospettiva russa equivale alla resa degli ucraini. E il ministro degli Esteri Lavrov aggiunge: "L'invio di lanciarazzi multipli alle forze ucraine è una provocazione diretta che segna un coinvolgimento nel conflitto".

Secondo Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight e associate research fellow di Ispi, la fornitura di questi sistemi d'arma all'Ucraina ha principalmente una funzione di deterrenza nei confronti della Russia, allo scopo di dissuaderla dal proseguire l'offensiva oltre il Donbass. "In sostanza, parliamo di camion che trasportano lanciatori di batterie di razzi: qualcosa di relativamente semplice ma estremamente efficace", spiega l'esperto militare. "Sono sistemi pensati per sostituire l'artiglieria, essendo molto più precisi e con un potere distruttivo superiore. Bisogna però vedere in che quantità e quando verranno consegnati alle forze ucraine. Guardando all'attuale approccio degli Stati Uniti, basato su un invio centellinato e progressivo delle armi, la mia impressione è che non saranno molti: serviranno a infliggere danni e a rendere difficoltosa l'avanzata, ma non a sconfiggere i russi in Ucraina".

Per Bertolotti, è improbabile che le nuove forniture abbiano un impatto sulle operazioni nel Donbass. "Tra tempi di spedizione, consegna, addestramento e così via, passeranno giorni o settimane prima che questi sistemi siano nelle mani degli ucraini", osserva. "Nel frattempo i russi, che hanno quasi conquistato Severodonetsk e si spingono lungo la direttrice che collega Popasna a Izyum, avranno probabilmente completato la conquista delle regioni di Luhansk e Donetsk e staranno consolidando le loro posizioni". Più che per una controffensiva nel Donbass, dunque, "i nuovi equipaggiamenti servirebbero come avvertimento per la Russia, un messaggio per dire: non vi azzardate a proseguire oltre il Donbass".

Detto questo, non è affatto scontato che la Russia si lascerà condizionare. Bertolotti è convinto che "servirà qualcosa di più da parte degli Stati Uniti" e molto dipenderà da come verranno utilizzati i 40 miliardi di dollari stanziati per l'Ucraina. "Bisognerà vedere quanto di quei fondi si trasformerà in strumenti militari che potranno consentire all'Ucraina una risposta sulla quale, al momento, sono abbastanza scettico". "In questa fase l'Ucraina sta facendo molti passi indietro", argomenta l'esperto: "la sua spinta iniziale alla difesa si è esaurita, perché stanno esaurendo gli equipaggiamenti, il materiale umano e in parte, forse, anche la spinta emotiva. Tutti quanti si stanno leccando le ferite, ma il vantaggio tattico continua ad averlo - come lo ha sempre avuto - la Russia, che è quella che sta perdendo di più in termini di mezzi ma è anche quella che ha una maggiore disponibilità degli stessi. La Russia ha una capacità operativa di un anno: potrebbe condurre questa guerra, a questi ritmi, ancora un anno". Gli Stati Uniti, volendo, potrebbero inviare strumenti in qualità e quantità tali da ribaltare la situazione, ma la loro priorità resta quella di evitare un allargamento del conflitto, come ha sottolineato il presidente Biden sul NYT: "Non cerchiamo una guerra tra Nato e Russia. Per quanto non sia d'accordo con Putin e trovi le sue azioni un oltraggio, gli Stati Uniti non cercheranno di portare a termine la sua cacciata a Mosca. Finché gli Stati Uniti o i nostri alleati non saranno attaccati, non saremo direttamente coinvolti in questo conflitto, né inviando truppe americane a combattere in Ucraina né attaccando le forze russe. Non stiamo incoraggiando o consentendo all'Ucraina di colpire oltre i suoi confini. Non vogliamo prolungare la guerra solo per infliggere dolore alla Russia".

È una sottolineatura che arriva dopo le critiche dello stesso editorial board, che nelle scorse settimane aveva giudicato come poco chiari gli obiettivi strategici dell'amministrazione nella guerra in Ucraina. Nel giro di due giorni, il presidente ha firmato personalmente due op-ed; l'altro è stato pubblicato lunedì sul Wall Street Journalcon il titolo "Il mio piano per combattere l'inflazione". Come nota Chris Megerian, reporter AP per la Casa Bianca, "il presidente Biden sta allungando i suoi muscoli editoriali", uno sforzo reso necessario dall'avvicinarsi delle difficili elezioni di midterm.

Quanto all'endgame della guerra, per Bertolotti è meglio non farsi illusioni: difficilmente Putin si fermerà al Donbass, avendo come obiettivo strategico minimale una continuità territoriale dalla Crimea alle regioni orientali. "Il negoziato prevede delle concessioni da entrambe le parti: fare un passo indietro rispetto all'obiettivo minimale vorrebbe dire ottenere un risultato inferiore a quello minimo auspicato", osserva l'analista, secondo cui "è molto probabile che la Russia vada oltre alle posizioni conquistate nel Donbass minacciando di occupare militarmente altre aree verso il fiume Dnepr o addirittura verso Odessa". Non è detto che poi possa o voglia effettivamente farlo – sottolinea l'esperto – ma la sola minaccia potrebbe, in assenza di un deterrente credibile, costituire una pistola puntata alle tempie degli ucraini a un eventuale tavolo negoziale.

È qui che si inserisce sia il discorso dei lanciarazzi americani HIMARS sia la notizia della fornitura, da parte della Germania, del sistema di difesa aerea Iris-T. Fornendo all'Ucraina questo sistema – ha dichiarato il cancelliere Olaf Scholz - "mettiamo il Paese in condizioni di proteggere grandi città da attacchi aerei russi". Anche questo sistema - suggerisce Bertolotti – ha una funzione di deterrenza: è un modo per far capire ai russi che più si va avanti e più sarà difficile per loro ottenere grandi successi militari.

In mezzo c'è la partita del grano, un'altra arma nelle mani di Putin, questa volta puntata alle tempie dei Paesi europei che temono disordini sociali e instabilità politica nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Sono in corso i negoziati per un accordo che preveda lo sminamento delle acque costiere attorno al porto di Odessa e dunque la ripresa delle esportazioni, con l'impegno di Mosca e la garanzia di terzi – auspicabilmente l'Onu – che il corridoio navale non venga sfruttato per un attacco anfibio russo. Secondo Bertolotti, "è possibile che Putin presenti anche questo come una concessione. Nel giro di qualche settimana, potremmo arrivare all'avvio di un dialogo negoziale (non ancora di un tavolo) che temo però richiederà ancora molte settimane o mesi per poter giungere a una conclusione effettiva". La constatazione che la guerra sarà ancora lunga, del resto, è l'unico punto su cui tutti sembrano essere d'accordo.