Gente d'Italia

Guerra e pane: l’Egitto a rischio, fra capitalismo militare e crisi del grano

DI GIULIA BELARDINELLI

Bastano pochi dati per rendersi conto degli effetti potenzialmente esplosivi che la crisi globale del grano può avere sull'Egitto. Il Paese è al tempo stesso il più grande importatore di grano del mondo e la nazione più popolosa del Medio Oriente, con oltre 70 milioni di persone (poco più di due terzi della popolazione) che ricorrono al programma governativo per il pane sovvenzionato. Come sottolinea The New Arab, il prezzo del pane, in particolare del pane sovvenzionato per i poveri, è storicamente una parte essenziale del contratto sociale in Egitto. Il Paese ha una lunga storia di disordini sociali legati al cibo, dalle "rivolte del pane" del 1977 fino all'aumento dei prezzi dei generi alimentari che ha fatto da detonatore alla rivoluzione del 2011 culminata con il collasso del regime trentennale di Hosni Mubarak.

Si capisce, dunque, come il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi stia cercando in tutti i modi di limitare l'impatto del restringimento del mercato globale del grano causato dall'invasione russa dell'Ucraina. La scommessa è quella di puntare di più sul mercato locale, sfruttando tecniche moderne che consentano di massimizzare il raccolto e ridurre il consumo d'acqua. Il rischio è quello di scontentare gli agricoltori, che si lamentano sia per il prezzo di approvvigionamento fissato dallo Stato (ancora molto inferiore rispetto a quello del mercato internazionale) sia per l'aumento del costo dei fertilizzanti (altra conseguenza della guerra in Ucraina), in un contesto di regole più severe per chi si azzarda a vendere grano ad acquirenti non statali (pratica vietata almeno fino alla fine di agosto).

Con la diminuzione delle forniture globali – spiega il Financial Times – il governo del Cairo è determinato a mettere le mani sulla maggior parte possibile del raccolto locale, affidandosi agli agricoltori egiziani per rivendere il 60% del loro raccolto. A lungo termine, lo Stato sta lavorando per aumentare la produzione attraverso la promozione di tecniche come quelle utilizzate in Nubaria, un'area agricola strappata al deserto nel nord del Paese, sperando che entro il 2025 il raccolto locale possa soddisfare fino al 65% del fabbisogno, invertendo gli attuali rapporti di forza.

Attualmente si stima che circa il 60% del grano egiziano venga importato, con la Russia e l'Ucraina prebelliche che rappresentavano l'80% di tali importazioni. Il pane è l'alimento più critico nella dieta egiziana, soprattutto per le decine di milioni di poveri che dipendono dal pane sovvenzionato per la sussistenza. Un mese dopo l'invasione russa dell'Ucraina, il governo ha introdotto un tetto massimo di tre mesi al costo del pane non sovvenzionato come parte di uno sforzo per contrastare l'impennata dei prezzi. Ma il problema più urgente riguarda appunto il programma statale, che utilizza circa 9 milioni di tonnellate di grano all'anno per servire 70 milioni di persone. La differenza di prezzo tra il pane sovvenzionato e non è notevole, e tale deve restare per rispettare il contratto sociale di cui sopra: cinque pagnotte sovvenzionate costano 1,5 centesimi, contro 4 centesimi per una pagnotta non sovvenzionata.

Soprattutto dopo le rivolte del 1977, la fornitura di pane a prezzi economici è stata vista dai regimi successivi come cruciale per scongiurare la fame e garantire la stabilità sociale. Di fronte alla decisione dell'allora presidente Anwar Sadat di eliminare i sussidi alimentari in cambio di prestiti del Fondo Monetario Internazionale, centinaia di migliaia di persone scesero in strada nelle principali città del Paese dando origine a proteste soffocate nel sangue, con la morte di circa 80 persone e il ferimento di oltre 550. La calma ritornò solo dopo l'annuncio di Sadat che tutti i sussidi – a cominciare da quelli su farina, riso e olio da cucina – sarebbero rimasti al loro posto. Da allora i governi sono sempre stati molto cauti nell'attuazione di politiche economiche impopolari, una cautela ciclicamente messa alla prova da crisi alimentari globali come quella del 2007-2008 e quella odierna, scatenata dalla guerra di Putin in Ucraina.

Secondo Alessia Melcangi, docente di storia contemporanea della regione MENA presso l'Università La Sapienza di Roma, la crisi del grano incarna la debolezza sistemica di un Paese basato sul capitalismo militare: un Paese che se non inverte la rotta sarà sempre più suscettibile a shock rispetto a quello che succede a livello internazionale. "I problemi dell'Egitto - messi in luce prima dalla pandemia, oggi dalla guerra in Ucraina - in realtà non dipendono soltanto da shock esterni, ma sono molto strutturali: sono legati a un sistema economico che si basa su elementi disfunzionali che ovviamente, davanti a sollecitazioni esterne, implodono", spiega l'analista di Ispi e Atlantic Council Middle East Initiatives. "Il modello è quello di un capitalismo di Stato basato sugli investimenti militari - quindi un capitalismo militare - che nei fatti blocca completamente l'espansione economica, come se producesse crescita senza un aumento della domanda locale o un aumento considerevole delle esportazioni, e soprattutto un settore privato che rimane assolutamente debole. L'economia si muove attraverso un aumento degli investimenti - per lo più basato su fondi statali - su grandi progetti (come la nuova capitale e l'allargamento dei canale di Suez) guidati dall'establishment militare. Il Fmi e la Banca Mondiale hanno detto spesso all'Egitto che in questo modo si blocca l'investimento interno e lo Stato, per riempire il suo debito, deve contrarre la spesa statale e guardare agli investimenti esteri. È così che si aggrava il problema degli shock esterni, perché se si basa tutto sugli investimenti esteri e succede qualcosa come la guerra in Ucraina il sistema implode".

Il problema del grano non riguarda tanto l'immediato – i funzionari egiziani sostengono di avere scorte sufficienti fino a dicembre – quanto piuttosto le prospettive per il futuro. Di qui la corsa contro il tempo per ridurre la dipendenza dalle importazioni estere, in particolar modo da Russia e Ucraina. Sono ancora una volta i numeri a parlare: secondo l'International Food Policy Research Institute, il Cairo ha speso una media di 3 miliardi di dollari all'anno per le importazioni di grano prima della guerra, ma l'aumento dei prezzi significa che potrebbe raggiungere 5,7 miliardi, aggiungendo pressione su un Paese già fortemente indebitato.

Melcangi fotografa così la situazione di limbo in cui si trova il Paese. "Per attirare investimenti stranieri, la Banca centrale ha cercato di contenere la pressione sulla sterlina egiziana svalutandola di quasi il 15% rispetto al dollaro americano, generando però un'ulteriore spinta inflazionistica", scrive in un report ISPI. "Secondo l'ultimo rapporto World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, pubblicato ad aprile 2022, l'inflazione egiziana dovrebbe raggiungere il 7,5% a fine 2022 accelerando all'11% nel 2023. Gli analisti prevedono che l'inflazione per l'anno 2022 continuerà a crescere nei prossimi mesi. Le stime vanno dal 13% al 15%, prima di stabilizzarsi entro la fine dell'estate. Ancora una volta, per far fronte alle ripercussioni dell'attuale crisi, l'Egitto è ricorso all'aiuto del FMI che potrebbe, questa volta, richiedere la presenza di un cofinanziamento proveniente da altre fonti. Il Paese ha già ricevuto tra la fine di marzo e l'inizio di aprile 2022 circa 22 miliardi di dollari da Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti sotto forma di depositi e investimenti della Banca centrale. Per rassicurare il Fmi, il Cairo ha promesso ulteriori interventi da parte dei paesi del Golfo nei prossimi mesi".

In questo difficile crinale, la scommessa del grano locale è allo stesso tempo necessaria e rischiosa. L'obiettivo del governo, che sta conducendo una campagna nazionale per il miglioramento del raccolto, è quello di aumentare la quota di grano nazionale usato per il pane sovvenzionato, così da tenere sotto controllo i costi. Per questo ha decretato che gli agricoltori devono consegnare il 60% del raccolto di questa stagione e che il grano non può essere trasportato senza permessi; le violazioni possono comportare multe e pene detentive. Come incentivo, il governo ha aumentato il prezzo di approvvigionamento del grano locale del 22% a circa 320 dollari, ancora 160 in meno rispetto al prezzo sul mercato internazionale. Una differenza che – sottolinea il Financial Times - ha provocato qualche lamentela tra i coltivatori.

Se sul piano interno la sfida più urgente riguarda il pane, sul piano internazionale la guerra in Ucraina ha già iniziato a sollevare diverse preoccupazioni nella politica estera della leadership egiziana. "L'Egitto, così come altri Paesi, è stato coinvolto da enormi investimenti da parte della Cina e della Russia", osserva ancora Melcangi. "L'Egitto continua a guardare agli Stati Uniti come principale partner, ma con la presidenza Biden - che si è subito orientata sulla difesa dei diritti umani - questi rapporti si sono un po' congelati: siamo passati da 'il mio autocrate preferito' di Trump a 'l'Egitto rischia di vedere decurtata parte dei fondi se non sistemerà la questione dei diritti umani'. La ripresa lo scorso novembre del Dialogo strategico Usa-Egitto non impedisce al Cairo di guardare anche ad altre possibilità. Ora è chiaro che in una situazione come questa l'Egitto deve stare molto cauto e ovviamente cammina sui carboni ardenti, perché qualsiasi tipo di apertura può vedere dall'altra parte una minaccia di taglio a possibili finanziamenti o a un'alleanza che l'Egitto non può permettersi di perdere. Così si spiega il balletto in occasione del voto all'Onu sulla condanna dell'invasione russa dell'Ucraina, con la successiva chiamata di rassicurazione a Putin. L'Egitto e molti altri Paesi del Medio Oriente sono in una situazione complicata. Le monarchie del Golfo, con tutti gli introiti che hanno dalla vendita di idrocarburi, si possono permettere di essere molto più tranquille; un Paese come l'Egitto che al momento sta sopra una pentola a pressione deve sicuramente essere molto più attento ai propri passi".

Negli ultimi anni il governo del Cairo ha sviluppato stretti legami con Mosca, che comprendono la vendita di armi, la cooperazione nel settore nucleare relativamente al progetto di costruzione di una centrale a Dabaa, nel nord-ovest del Paese, e crescenti legami economici e commerciali. Il Cairo e Mosca puntavano al 2022 per rilanciare la cooperazione su questi molteplici fronti, ma la crisi in corso ha costretto il governo egiziano a riorientare le proprie manovre diplomatiche destreggiandosi pericolosamente tra Russia e Occidente. Se finora, infatti, i crescenti legami tra il Cairo e Mosca e la loro convergenza politica nelle zone di conflitto del Medio Oriente non hanno minato il partenariato strategico dell'Egitto con gli Stati Uniti e l'Unione europea, la guerra in Ucraina ha rimescolato le carte. Si spiega così la solerzia con cui le autorità egiziane hanno fatto sapere, qualche settimana fa, di aver negato l'accesso a navi russe cariche di grano ucraino rubato: un segnale che, nel calcolo del Cairo, i buoni rapporti con l'Occidente restano prioritari rispetto alle relazioni con Mosca. Almeno per il momento.

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