di Franco Esposito

Dodicimila spettatori a Trento, poi soste a Milano, Imola e Firenze, e 45.000 spettatori in delirio ieri sera a Napoli. Una notte magica. Vasco Rossi in concerto nello stadio intitolato al suo idolo calcistico, Diego Armando Maradona. "Finalmente nello stadio del grande Maradona. E io sono ancora più onorato, da sempre ho avuto un grande affetto e una grande ammirazione per Diego come calciatore e anche come uomo. Felice di essere nella città di Pino Daniele" . 

Napoli si è mobilitata per il ritorno di Vasco nell'arena del calcio, dove si era esibito l'ultima volta il 3 luglio 2015. Allora il sindaco era Luigi De Magistris e lo stadio ancora non era intitolato a Diego Maradona. "Chiuso per dieci anni al rock, l'ho riaperto io. Un concerto meraviglioso anche quello. Napoli mille culori mi è cara da sempre", Vasco scatenato, incontenibile sul palco di luci e suoni sistemato a rdosso della curva B. Dove pulsa più forte il tifo dei fan della squadra di calcio. 

Il palco ideato da Giò Forma, un palazzo di nove piani, e gli schermi giganti dietro e ai lati di Vasco, magico rocker emiliano di Zocca. I visual opera di un giovane artista campano, il torrese di Torre Annunziata, Giuseppe Romano, classe 1977. L'impaginatore del concerto organizzato da Live Nation con la napoletana Fast Forward di Peppe Gomez, compresa l'esplosione di ragazze in topless che accompagna le tappe dell'esecuzione di "Rewind". Parole cantate fatte apposta per scatenare il delirio popolare. "Dove sono le tette? Sono già andate via... Le cose belle finiscono sempre troppo presto...", e Vasco colpito dal disinibito omaggio che le fans impazzite di entusiasmo hanno cominciato a tributargli 

Vasco supercarico e i napoletani pure. Lui introdotto praticamente dall'Irish Band di Trento The Rupled e dalla Toolbar, vincitrici entrambe dell'Euregio Contest. "Mi sento in uno stato di grazia e sento un diluvio di emozioni. Sembra tutto diverso, eppure tutto è tornato come prima. Napoli è davvero mille colori, mi è cara da sempre, e quando canta in coro con te meglio stare zitti e ascoltarla". Il delirio per 45.000, trascinati all'entusiasmo straripante  dalla musica e dalle parole di Vasco, irresistibile trascinatore anche in quesrta tappa del tour italiano da tutto esaurito. Sold put anche ieri sera, biglietti esauriti da settimane, i botteghini sono rimasti chiusi, e ventidue corse supplementari fino all'una di notte della metro hanno portato gli ammiratori all'incontro con il loro mito musicale. L'assalto allo stadio è cominciato di buon mattino. 

Due ore e mezza di show. Una band tostissima e ventisette canzoni. Una meravigliosa ubriacatura di suoni, parole, di sensazioni. Due guitar hero, Andrea Torresani al basso e Claudio Gallo Golinelli, decisamente mitico, e poi Alberto Roccchetta e Frank Nemola alle tastiere e alla batteria, Beatrice Antolini sulle percussioni, Andrea Ferrario al sax, Tiziano Bianchi alla tromba, Roberto Solimando dall'inesauribile fiato al trombone. 

Ma le canzoni? I titoli e le esecuzioni a seminare innocente pazzia nel popolo dei presenti: da "Vita spericolata" fino al commiato cantato con "Acquachiara". Da sballo alcuni brani dimenticati, mai eseguiti dal vivo, e quelli dell'ultimo album: "Siamo qui", "XI comandamento", l'anti inno dell'italietta sovranista, e "La pioggia alla domenica", "Una canzone buttata via", "L'amore è amore", celebrativo della libertà erotico-sentimentale. E dal passato che solo qualcuno aveva dimenticato sono spuntati "Ti taglio la gola" e "Sballi ravvicinati del terzo tipo", e l'mmortale "Toffee".  

Grande rocker, Vasco, e poi? Un formidabile oratore, donatore di un gran finale di concerto. Il messaggio centrale che proprio lui ha preteso di inserire al centro di questo tour. Il suo inno alla pace, l'atto di accusa alla guerra e alle logiche militari. "Dove c'è musica non c'è guerra, ma dove c'è guerra non c'è musica. Give peace a chanche. Fanculo la guerra". Pace, amore e musica.