DI PINO NICOTRI

“In guerra, la verità è la prima vittima”: lo diceva già Eschilo nell’antica Grecia. E il fatto che lo abbia detto lui, il padre nobile dell’antica tragedia greca, fa della sua frase una verità assoluta. Universale. Tragicamente amara, ma vera.

In questa guerra della Russia contro l’Ucraina c’è stata però immediatamente – oltre alla verità, come vedremo – anche una seconda vittima, che in parte ha preceduto la prima: si chiama Razvitie, in italiano Sviluppo. E’ il nome del gigantesco piano ventennale russo di ammodernamento soprattutto della Siberia e di collegamenti anche commerciali e territoriali con l’Europa fino a Berlino. E poi forse fino a Londra. Collegamenti grazie a nuove ferrovie dotate di centinaia di treni superveloci ordinati alla Germania. E che con la raffica di sanzioni strangolatrici non saranno mai consegnati.

Razvitie è stato presentato a Mosca l’11 marzo 2014, è rimasto in fase di molto lenta e molto faticosa realizzazione, e gli USA lo vedono come il fumo negli occhi: tanto che non vogliono assolutamente diventi realtà adulta. Negli anni passati le manovre, guidate dagli USA e dall’Arabia Saudita, per abbassare il prezzo internazionale del petrolio miravano più che altro a colpire, con successo, gli utili delle esportazioni dell’oro nero russo e quindi la possibilità di finanziare a dovere Razvitie. Bloccarlo è per la Russia alla lunga più dannoso del troncare con la recente raffica di sanzioni decretate dagli USA e dall’Unione Europea le sue arterie che pompano all’Europa sangue e linfa vitale sotto forma di gas e petrolio.

La guerra spazza via l’alternativa alla Via della Seta - E a proposito di sviluppo dei rapporti non solo commerciali e territoriali, gli USA non vogliono assolutamente che cresca neppure la Nuova Via della Seta cinese, detta anche One Road One Belt oppure Belt and Road Initiative, più a sud di Razvitie e più o meno ad esso parallelo.
Un altro piano gigantesco questo messo in moto da Pechino nel 2013, di ammodernamento e collegamenti a partire dall’estremo Oriente non solo con l’Europa, ma anche con l’Africa e addirittura col Sud America. Tanto che la Belt and Road Iniziative viene definita il più grande piano di creazione e sviluppo di infrastrutture dell’intera Storia del genere umano.

Razvitie e la Nuova Via della Seta una volta diventate realtà cambierebbero in modo sostanziale la realtà geopolitica del pianeta. Ecco perché gli Stati Uniti NON le vogliono. Ma per ora limitiamoci alla Russia.

I piani di guerra del Pentagono - Nelle intenzioni e nei piani politici degli USA, elaborati dal Pentagono assieme ai vari servizi segreti come guida di fatto per la Casa Bianca quale che sia il suo inquilino, la Russia pur essendo lo Stato più esteso del pianeta deve assolutamente restare una potenza regionale. Senza rapporti significativi col resto del mondo, a partire dalla confinante Europa, che possano creare anche solo una parvenza di integrazione o comunque una robusta rete di scambi, collaborazioni e interessi reciproci. Insomma, la Russia deve restare un gigante geopoliticamente dai piedi d’argilla. O se possibile mandarla in frantumi come successo con l’Unione Sovietica.
Il continuo avanzamento della NATO verso est, cioè verso i confini occidentali della Russia, dopo il crollo dell’URSS è funzionale appunto a “contenere” il gigante russo, oltre che grasso mercato per le industrie delle armi principalmente made in USA. Del resto la politica della Guerra Fredda degli Stati Uniti nei confronti dell’allora Unione Sovietica consisteva appunto nel suo “containment”, politica inventata nel ’47 dal presidente Harry Spencer Truman, prima di essere trasformata dal presidente Ronald Reagan nel suo “roll back”, vale a dire nel farla “rotolare indietro”, cioè respingerla territorialmente provocandone il collasso e la frantumazione.

Perché per Washington la Russia deve restare una potenza regionale anche se enormemente vasta? Per due motivi - Il primo è che così può essere facilmente debilitata dalle sanzioni economiche e dalle spese negli armamenti obbligatorie per tentare di non restare troppo indietro rispetto il formidabile e sempre più moderno, e potente, apparato militare USA. La Guerra Fredda è servita appunto a costringere l’Unione Sovietica a svenarsi in spese militari fino al suo crollo. Del resto l’ideatore e suggeritore alla Casa Bianca di tale strategia, il mega think tank Rand Corporation, che si vanta di avere suggerito alla Casa Bianca come far crollare l’Unione Sovietica, nel 2019 l’ha aggiornata per fare il bis con il crollo della Russia. Da ottenere questa volta puntando sull’Ucraina, come in effetti sta avvenendo. La strategia per il bis contro Mosca si intitola Over-extending and Unbalancing Russia, ossia costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per sbilanciarlo. E abbatterlo.
Il secondo motivo per cui gli USA vogliono che la Russia resti una potenza regionale è la possibilità /volontà di frantumarla - L’obiettivo degli USA è intuibile e chiaro: “contenere” sia la Cina sia la Russia. E per contenere meglio la prima puntare comunque alla frantumazione della seconda, il Paese più vasto del mondo. Secondo la sua Costituzione, varata nel 1993, la Russia è una federazione di ben 83 soggetti federali, e prima di unirne alcuni tra loro in totale erano 89. La Federazione Russa per la precisione è composta da:
– 46 Oblast, cioè Regioni. Ogni Oblast elegge il proprio governatore e legifera.

– 22 Repubbliche. Pensate perché Stalin volle dare una patria specifica a ogni minoranza etnica, compresa quella ebraica, le repubbliche sono nominalmente autonome, con una propria costituzione e la propria lingua oltre quella russa, eleggono in proprio parlamento e governatore. Negli affari internazionali sono rappresentate dal Governo federale.

– 9 Kraj (Territori): in pratica, come le Oblast, ma con il nome Kraj storico, cioè più antico del nome Oblast, dato alle regioni di frontiera.

– 4 Circondari Autonomi. Nati come soggetti autonomi all’interno di Oblast e Kraj, ne sono ancora amministrativamente subordinati nonostante siano diventati nel 1990 soggetti federali.

– 1 Oblast Ebraica. Creata su un territorio di 36.266 chilometri quadrati, anch’essa da Stalin nel 1934 per la specifica minoranza, al censimento del 2015 contava 168.368 abitanti. Data l’esiguità della popolazione nel 1990 non è diventata anch’essa repubblica.

– 2 Città Federali. Mosca e S. Pietroburgo, che funzionano come Regioni a se stanti.

In Russia sono presenti tutte e tre le religioni monoteiste - Caso unico in uno Stato europeo (oltre che asiatico), comprende anche una minoranza buddista. Mettere zizzania in qualche soggetto federale non è un’impresa impossibile.
Come Biden batte il chiodo della minoranza cinese musulmana, i famosi uiguri, così potrebbe cominciare a battere quello della minoranza russa ebraica, cosa facilissima e di sicura presa in Occidente dato il ruolo e lo spazio politico propagandistico di cui gode Israele anche come “Stato ebraico” e “Stato di tutti gli ebrei del mondo”.

Certo, i cittadini dell’oblast ebraico sono appena 170 mila circa, per giunta non sono sionisti e che si sappia non ci tengono affatto, almeno sino ad oggi, a trasferirsi in Israele. Ma alcuni tentativi, segretissimi, di saggiare il terreno e trovare un modo per metterli in agitazione e spingerli a manifestazioni pubbliche di protesta già ci sono stati. Specie in occasione della guerra con l’Ucraina, il cui presidente Volodymyr Zelensky e parte non trascurabile del ceto dirigente e imprenditoriale sono ebrei.

Oblast ebraico a parte, come in tutti gli Stati multinazionali e multietnici, i rapporti non sempre sono ottimi né sempre rose e fiori tra tutti gli 83 membri della federazione. Qualche attrito, e anche qualche rancore, anche come residuato della Storia, c’è sempre. E se non c’è lo si può sempre far nascere, finanziandolo e patrocinandolo a dovere.

Il destino dell’Urss nel futuro della Russia - Come gli USA sono riusciti a disgregare l’Unione Sovietica, così potrebbero cercare di disgregare la Russia, o almeno di porre in qualche modo fine alla pacifica convivenza e collaborazione, tra gli 83 federati, non tutti di pari livello. Teniamo presente che per quanto riguarda l’Iran la sua frantumazione facendo leva su qualche minoranza è una delle nove opzioni raccomandate alla Casa Bianca di Barack Obama da uno dei più celebrati think tank statunitensi: il Saban Center for Middle East Policy , emanazione della Brookings Institution, sede a Washington. Le nove opzioni sono state pubblicate come libro dal titolo Labirinto Iran perché suggeriscono alla Casa Bianca come districarsi e finalmente uscire dal pluridecennale labirinto della politica con Teheran.
Nata nel 1916, la Brookings nel 2009 è stata posta in cima alla classifica del Foreign Policy Think Tank Index. I sei autori del report del Saban Center alla Casa Bianca sono tutti nomi di alto livello, che hanno ricoperto incarichi di responsabilità chi al Dipartimento di Stato e chi al Consiglio di Sicurezza Nazionale, chi nella Cia e nelle azioni degli Usa in Iraq, Corea, Pakistan e Afganistan sfociate come è noto in guerre e affini. Non manca neppure un ex ambasciatore in Israele e consigliere personale del presidente Clinton, come Martin Yndik, né un membro dello staff di governo del presidente Obama, come Suzanne Maloney.