Gente d'Italia

Giuseppe Provenzano: “Temo di rivedere il vecchio film del governo Monti, non possiamo permettercelo “

di Alessandro De Angelis
 

Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd, andiamo al dunque: il Pd è il primo partito ma, attorno, il campo largo è un campo deserto, segnato dall'estinzione del M5s.

Andiamo con ordine. Quando la metà degli italiani diserta le urne la prima preoccupazione non riguarda il nostro campo, ma quello di tutti. E tutti ci dobbiamo interrogare. Anche noi che usciamo come il primo partito. A dire il vero, ne usciamo come l'unico partito nazionale.

Va bene, aggiungiamo anche l'eclatante dato dell'astensionismo sul referendum. Ma anche questo ci interroga su dove sia finita anche la rabbia, la protesta o se siamo davanti a una secessione più o meno stabile tra il popolo e la democrazia.

Il rischio è di consegnare il disagio sociale all'astensione. Che un pezzo di popolo si senta escluso dai processi di cambiamento e maturi non solo sfiducia, ma risentimento nei confronti della politica. In passato ha trovato sbocco nell'antipolitica, ma oggi? O diamo risposte adesso sul piano sociale, o da qui alle elezioni potremmo avere brutte sorprese. Sul referendum, invece, distinguerei.

Prego.

È un fallimento clamoroso, in cui alla disaffezione si è aggiunto il legittimo giudizio di merito di chi ha ritenuto i quesiti in parte inutili e in parte dannosi. Ma non è stata la sconfitta del garantismo, tra i promotori c'era la Lega di Salvini, il partito delle forche.

Stiamo ancora sul popolo e sul vostro campo. L'idea dell'alleanza con il M5S si fondava sul presupposto che quel partito rappresentava quel popolo che deluso aveva lasciato anche il Pd. E ora i ritrovate una nomenclatura senza popolo e senza identità.

Senta, l'analisi del voto del M5S la faranno loro, alle amministrative conosciamo la loro debolezza. Ma diciamoci le cose come stanno.

Diciamocele.

Ha visto i dati di Youtrend sulle medie nazionali dei partiti? Ecco, l'unico partito che ha una rispondenza tra il voto alle amministrative e quello stimato alle politiche siamo noi. Il resto è uno spappolamento generalizzato della politica. M5S al 2%, Calenda e Renzi allo 0,6%. Ma persino FDI, che ha stravinto nel campo della destra, è al 10%, molto lontana dai sondaggi.

Lei vuole dire: non si risolve il problema sostituendo i Cinque stelle con Calenda. E dunque?

Dico che erano elezioni locali, certo, ma colpisce la fluidità del voto, il quadro completamento stravolto rispetto al 2018. Preoccupa la crisi dei partiti, molti simboli erano dati in franchising ai potentati elettorali. C'è un trasformismo dilagante, anche questo genera quella disaffezione. Quanto al nostro campo, c'è la matematica e c'è la politica. L'una e l'altra sconsigliano la mera sostituzione. A tutti, con rispetto e senza spocchia, chiediamo più voti e meno veti. Quello che emerge è che la partita con la destra è aperta, ovunque. Lo sarebbe stata anche a Palermo.

Calenda vi accusa di non aver voluto l'alleanza e che preferite Conte perché avete nel Dna il populismo.

Una menzogna. Perché con Ferrandelli, un leader locale molto radicato, che peraltro è di +Europa, il discorso era avviato ma poi è arrivato il veto di Calenda sul M5S. Ora di quell'8,5% che se ne fa se la città è in mano agli amici di Cuffaro e Dell'Utri? Altro che riformismo! Questo è il tanto peggio tanto meglio! Io non ho mai parlato di alleanza strategica coi 5S, la priorità per me è sempre stata l'identità del PD. Ma il riformismo non può ridursi a dire "abbasso Conte". E non mi faccia parlare di Dna.

Ne parli, invece.

Il populismo noi? Perché poniamo la questione dei salari? Perché diciamo di cambiarlo il Reddito di cittadinanza, per migliorarlo, ma non di abolirlo? Perché siamo contro la povertà, ma non contro i poveri? Nel mio Dna c'è il socialismo democratico, la giustizia sociale che in Italia ha diverse ispirazioni, anche cattoliche. Di certo, nel Dna del socialismo liberale di cui ogni tanto parla Calenda non ci può essere l'indifferenza rispetto a consegnare il Paese all'estrema destra. Carlo Rosselli in Spagna si alleò con gli anarchici e i massimalisti contro i franchisti, i progenitori di quel partito per cui oggi fa campagna Giorgia Meloni.

Ho capito, lei propone la classica l'union sacré davanti al pericolo delle destre. Però così non se ne esce nel gioco dei veti. Stiamo parlando da un po' e non ho capito l'iniziativa che avete in mente per costruire l'alternativa.

Ma ha visto la Meloni da Vox? Fermare Salvini e Meloni non è irrilevante per la qualità della democrazia italiana, per la collocazione internazionale dell'Italia, per i nostri stessi interessi nazionali. Ma so che non basta. E infatti il punto è costruire un campo progressista.

Scusi, ma l'ho già sentita.

Sì, e l'abbiamo anche fatto in molte realtà locali, ed è quello che serve a livello nazionale. Con un lavoro difficile di cucitura, senza chiudere le porte a nessuno. Ma con un programma chiaro, riconoscibile, netto. Perché questo definisce il perimetro del campo. E bisogna sempre ricordarsi di guardare agli elettori, non all'ultimo tweet dei nostri potenziali alleati. Lei mi chiede di tattiche, per le alleanze sono sempre tattiche, ma noi ora abbiamo l'onere di una iniziativa politica. E il Pd deve continuare a lavorare per aggregare, per includere. E deve aprirsi ancora di più, perché con la fluidità del voto e se intercetta quello che si muove nel Paese, dal civismo all'astensione, può arrivare al 30 per cento.

Sì, ma non vedo l'iniziativa politica. Ricorda l'Ulivo, la nascita del Pd? L'idea anche di una novità? Gliela dico con l'esempio di Lodi: un sindaco giovane, il civismo, il rinnovamento, con i Cinque stelle all'1. L'opposto di quel si fa a livello nazionale: poca apertura e politicismo sulle alleanze.

E io invece le dico che non è frutto del caso. È il ritrovato protagonismo del Pd, che però non diventa mai autosufficienza. E intorno a sé raccoglie forze civiche e politiche che consentono di conquistare Taranto e Padova, di vincere nell'hinterland milanese e napolateno, non più solo nella Ztl, andare al ballottaggio dove governava la destra e avanzare rispetto al 2017. Nel 2018 eravamo fuori dal campo, si prospettava un bipolarismo tra Lega e M5S e la nostra dirigenza di allora si consolava coi popcorn. Ora il diritto e il dovere di costruire un campo competitivo e vincente alle politiche è in capo a noi.

Lo dica, meglio il proporzionale e ognuno per sé senza ammucchiate innaturali.

Meglio il proporzionale sì, ma per rispondere a quella crisi dei partiti e della rappresentanza. Non per farle dopo le elezioni le alleanze spurie e innaturali. Spagna, Germania, ci dicono che il proporzionale non è incompatibile con il bipolarismo, e con la necessità di uscire da questa crisi a sinistra.

Mi sembra una lettura un po' ottimistica sulla destra. Hanno vinto le elezioni nonostante abbiamo fatto un casino, sia a livello nazionale sui viaggi a Mosca sia in parecchie realtà locali. Si figuri se trovano una quadra e fanno una campagna elettorale decente. Così vi schiantate.

Mi sembra che lei abbia visto un finale che è tutto da scrivere. Facciamo i conti ai ballottaggi. E intanto faccio notare che, mentre al PD, che pure esce come il primo partito italiano, si chiede conto per sé e per gli altri, esplodono le divisioni nell'altro campo. Hanno vinto a Palermo (anche grazie alla legge elettorale, altrimenti saremmo al ballottaggio) e invece di festeggiare gli salta l'alleanza per le regionali. Il crollo della Lega al Nord e il sorpasso della Meloni non saranno senza conseguenze. Queste contraddizioni sono profondissime, e non rappresentano solo un rischio per loro, ma per il Paese.

Sa quale film vedo? Il governo Monti, cioè un finale di legislatura in cui il governo diventa figlio di nessuno e voi portate la croce.

Il rischio c'è, ma non possiamo permetterlo. La responsabilità nazionale, per definizione, non può ricadere solo su di noi. Questo ci schiaccerebbe su una dimensione, quella della stabilità e del governo, che pure rivendichiamo in fasi drammatiche come queste, ma che non può esaurire la funzione del Pd. Da qui alle elezioni, dobbiamo interpretare quel bisogno di cambiamento, che alle comunali spesso si esprime nel civismo e che arrivi includere i molti che oggi restano a casa. E dobbiamo dare a tutto questo una forma politica.

Belle parole, ma ognuno farà campagna elettorale sulla pelle del governo. Già si vede sulla riforma della giustizia che la Lega e Italia viva giocano a far saltare. Ha senso andare avanti così?

Quelli che hanno perso il referendum ora vogliono affossare la riforma, è inaccettabile che la maggioranza su questo vada in ordine sparso. Ma le mie non erano solo belle parole, sono le risposte di cui ha bisogno l'Italia. Alzare i salari di fronte all'inflazione e introdurre il salario minimo per rispondere allo scandalo del lavoro povero. Una politica industriale che manca per portarci verso l'auto elettrica senza perdere il lavoro. La legge sul fine vita, sulla cittadinanza, il ddl Zan...

Vabbè, non mi faccia campagna elettorale pure lei sul ddl Zan che non passerà mai. Qui non c'è un'agenda sociale di fronte a una crisi che in autunno si acuirà. E Dio non voglia che riprendano gli sbarchi. Non teme un'ondata populista?

Dobbiamo distinguere quello che si può fare adesso da quello che si deve fare con il consenso degli italiani e un governo progressista. E tutto quello che non stiamo riuscendo a fare è la testimonianza che chi vuole le larghe intese dopo il voto non fa l'interesse del Paese, e noi non ci staremo. Ma sui salari le risposte vanno date adesso. Perché se si intreccia la crisi sociale con quella politica che emerge anche da queste amministrative, altro che campagna elettorale...

Faccia i nomi. Chi vuole le larghe intese dopo?

Ci sono pezzi di mondo economico, dell'informazione. Legittimo, per carità. Ma sul piano politico è un disegno velleitario. Il fantomatico terzo polo, se andiamo a guardare anche a queste elezioni, non toglie un voto a destra. Sono voti che vengono dal centrosinistra, e che se si sottraggono a una sfida progressista sono un regalo alla destra. Peraltro, anche la possibilità di staccare la destra moderata, è un'illusione. Per una semplice ragione. La destra moderata, a partire da Berlusconi, in Italia non esiste.

Ho la sensazione che se qualcuno fa cadere il governo lei non si dispera.

Lasci perdere le sue sensazioni... Che poi lo sosteniamo solo noi è sempre più evidente. Ma questa maggioranza è un'eccezione, che non si ripeterà.

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