Gente d'Italia

Martina Patti e il non era in sé: l’avvocato fa il suo mestiere, il talk show media pure

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di Lucio Fero

Martina Pattibreve e concentrata rassegna di titoli, concetti e parole su stampa, radio e tv: "non era in sé"..."era una persona diversa da sé"..."una forza estranea mai provata cui non ha potuto resistere"..."una spinta quasi sovrannaturale". Sono parole e concetti dell'avvocato. Avvocato che fa doverosamente il suo mestiere, anche se qualche filtro di plausibilità non guasterebbe anche nella doverosa difesa. Non fa il suo mestiere (o forse sì?) il talk-show-media che tutti i massa media comprende quando si imbeve di parole e concetti dell'avvocato, parole e concetti al limite e oltre l'implausibilità e ne fa titoli. Titoli, cioè cose. Titoli, cioè fatti. Non fa il suo mestiere di informatore responsabile e attendibile il talk-media-show nazionale. Ne fa un altro di mestiere, insieme quello della spugna inconsapevole e dello spacciatore di psicotropi emozionali, mestiere all'ombra del risibile anche meschino alibi del "me l'hanno detto, l'hanno detto loro, mica io".

Dice Martina Patti confessando di aver ucciso a coltellate la figlia di cinque anni di non essere stata in sé mentre uccideva. Era però decisamente in sé quando si dotava di zappa e pala per scavare la fossa dove nascondere il cadavere, ben prima di essere presa dalla "forza estranea". Era decisamente in sé quando inventa e racconta a parenti prima e polizia poi la storia dei tre rapitori della bambina, di cui uno armato. Talmente in sé che racconta di una frase di uno degli incappucciati tale da ricondurre al marito, al padre della bambina. Era decisamente in sé quando prepara e progetta e poi quando prova a sviare e depistare.

Prima di lasciarsi affascinare dalla "forza estranea e spinta quasi sovrannaturale" (vedrete se ne parlerà con dovizia nelle varie tv del pomeriggio) il giornalismo o quel che ne rimane ma anche la comunicazione dominante nei suoi canoni dovrebbero, avrebbero dovuto usare i canoni del plausibile e rintracciare nelle dichiarazioni di Martina Patti il classico e usuale "non ricordo" di ogni colpevole e indicarlo come tale. Se non per rispetto di se stessi e del proprio mestiere abbandonato, almeno per rispetto di quella bambina uccisa dalla mamma e non da "una persona diversa e non in sé".

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