di Franco Manzitti

Lo hanno aspettato invano al seggio di sant’Ilario, ridente collina elegante e glamour sul Levante genovese, cantata mirabilmente da Fabrizio De Andrè,  tra ville e giardini incantati. 

Alla sezione 652 c’era in lista tra gli elettori il suo nome, Grillo Giuseppe, nato nel 1948, residente. E c’erano anche i fotografi ad aspettarlo, memori del voto scenografico del 2017, quando l’Elevato, fondatore del Movimento 5 Stelle, si presentò casco in testa e documenti in mano con un appello altisonante:”Bisogna votare. Correte a Votare!!!”. 

Cinque anni dopo, qualche era geologica consumata da un punto di vista politico e trascorsa rapidamente per la politica italiana e per i 5Stelle, nel frattempo separati dalla Casaleggio, passati attraverso la presidenza del loro “avvocato del popolo “Giuseppe Conte, oggi divisi e frastagliati, ancorchè a Genova ammucchiati (sarebbe meglio dire aggrappati) al Pd e alle frange del “campo largo di centro sinistra”, Grillo proprio non lo hanno visto. 

Fa parte di quell’oltre 56 per cento che a Genova ha disertato il voto, facendo salire la percentuale dell’astensionismo a vette mai viste, battendo, insieme al Molise, il record italiano di astensionismo.

Niente Grillo alle urne e catastrofe elettorale per il suo movimento, che dimezza i consensi e manda nella Sala Rossa del palazzo Comunale genovese solo un rappresentante, il musicista Luca Pirondini, capogruppo uscente, rimasto il reduce 5 Stelle, dopo una sequenza impressionante di divisioni, diaspore, scissioni che hanno eliminato uno a uno tutti i grillini genovesi. Da iniziali sei  consiglieri sono passati a uno, mentre i fuoriusciti non hanno lesinato polemiche e strappi con insulti. 

Da ultimo il senatore Mattia Crucioli, rimasto a Palazzo Madama nel gruppo misto, ma fondatore di un nuovo movimento dissidente che a Genova ha conquistato un seggio anti sistema proprio con lui.

E così l’elezione genovese per il Comune, conquistato in carrozza dal sindaco ultra civico, appoggiato dal centro destra, Marco Bucci, certifica prima di tutto la distruzione del populismo movimentista 5 Stelle, nato qua nella testa di Grillo e evaporato nella calda estate del 2022.

Non è andata molto meglio all’altro populismo, quello leghista che due estati fa, dopo la smutandata di Matteo Salvini al Papeete, dimezza i consensi genovesi, manda in Comune solo tre consiglieri sui sei che aveva in precedenza, malgrado sia stato suo il merito, cinque anni fa, di avere scelto Marco Bucci, manager fino ad allora sconosciuto. 

Ridimensionati potentemente i populismi, chi ha vinto allora a Genova, la ex roccaforte rossa, per decenni governata dalla sinistra? 

Ha vinto, appunto, Marco Bucci e il suo fronte civico che ha ottenuto oltre il 20 per cento di consensi con le liste nel suo nome , incoronato sindaco con il 55 per cento complessivo di voti contro il 36 del primo contendente, l’avvocato Ariel Dello Strologo. Scelto dal campo largo della sinistra e sopratutto dal PD, che è stato il primo partito con il suo 21 per cento, ma che resta sprofondato all’opposizione per altri cinque  anni.

Ai voti civici Bucci ha potuto aggiungere anche quelli della Lega, sopratutto quelli di Fratelli d’Italia, salita contro ogni tradizione genovese quasi all’ 8 per cento, Forza Italia, un po’ ridotta nelle sue pretese e, sopratutto, il quasi 10 per cento della lista che il presidente della Regione Giovanni Toti ha lanciato a supporto del suo amico Bucci.

Così sono state  le elezioni di Bucci, il manager amerikano che ha convinto i genovesi resistenti al voto a scegliere lui come continuatore di una politica del “fare”, che sta rivoluzionando la città con opere molto visibili e che sopratutto sventola gli 8 miliardi di PNRR ed altri fondi destinati a piovere sulla città per trasformarla. 

Non è passata la linea molto più "depressa" del centro sinistra di Dello Strologo e della costellazione dei suoi alleati, che si batteva per una città dove battere le diseguaglianze e ridurre sopratutto le distanze sociali. 

I guru di questa linea sono stati come travolti dalla pioggia di cantieri che la giunta di Bucci ha disseminato per Genova e sopratutto da due progetti rivoluzionari. 

Il primo è quello di trasferire 500 metri più avanti, nel Golfo di Genova, la diga foranea che consentirà a navi portacontainer di 400 metri di arrivare e ripartire dal porto di Genova, cambiando tutta la scena genovese. 

La seconda è una mirabolante funicolare che collegherà il porto antico e le sue attrazioni con la catena dei forti settecenteschi, la seconda muraglia dopo quella cinese, un’opera che sta già suscitando polemiche nei quartieri che saranno sorvolati dalla super cabina.

L’onda lunga di Bucci fa conquistare al centro destra civico quasi tutti i municipi della città: sette su nove vanno a loro e anche questa è una rivoluzione epocale perché cadono quasi tutte le roccaforti minori nella grande roccaforte che fu. 

 Nei quartieri che una volta si definivano popolari, operai, dominati in secula seculorum dalla potenza della sinistra. 

Questo è uno dei segni più forti della decomposizione politica che la città sta subendo ormai da anni e che ha “lavato” Genova in successive ondate. 

Prima il boom grillino, che, nonostante la minore presa nelle elezioni amministrative, aveva conquistato pezzi di città. Poi l’ondata leghista, diventato il primo partito quando Salvini conquistava il 40 per cento a livello nazionale. Ora le discese vertiginose di quei populismi spianano il territorio dove irrompono i civici conquistando zone ex proletarie o di medio bassa borghesia.

Cade per esempio un municipio nel cuore della città, sempre governato dalla sinistra, dove Bucci e i suoi sono riusciti a piazzare al posto dell’ex mercato all’ingrosso un centro polifunzionale con spazi per lo sport, il commercio, il tempo libero di piccoli e anziani. Uno scacco matto. 

 Resta da vedere se questa vittoria così netta del “sindaco che”, grida, come lo hanno soprannominato, servirà da sedativo alle liti per la composizione della giunta comunale, destinata a gestire una delle fasi più difficili del futuro genovese. 

Tutti vogliono il posto nella stanza dei bottoni. Il sindaco deve mediare tra il suo programma e le aspirazioni di partiti e civici. Non è il lavoro che lo appassiona di più.