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di Lucio Romano

La fossa comune di Bucha, cittadina a pochi chilometri da Kiev, con i corpi di centinaia di civili uccisi. Mariupol, con i cadaveri tra gli scaffali. Un resoconto, drammaticamente ancora lungo e attuale, di violenze e sopraffazioni che segnano l’orrore della guerra all’Ucraina. Come altre guerre che hanno segnato la storia recente. Sarà la Corte Penale Internazionale, sulla base giuridica dello Statuto di Roma, a decidere se si tratti di genocidio o di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità o di aggressione secondo le prove che si vanno raccogliendo. Riemergono in Europa orrori che, almeno per i nostri confini occidentali, sembravano ormai appartenere al passato.
Confrontarsi con la storia, interrogarci sull’attualità sono imperativi ineludibili. Ci accompagna lungo questo percorso, in maniera originale e con coraggio, il saggio Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi di Gabriele Nissim, fondatore di Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide) e da sempre impegnato a far conoscere le storie e il messaggio di quanti si sono battuti in difesa dei diritti e della dignità umana durante tutti i crimini della Storia.
È necessaria una premessa sostanziale che può rappresentare, a buona ragione, la guida per poter discernere senza incertezze. Nissim definisce "la Shoah non come un male unico in tutta la storia umana, ma come un genocidio senza precedenti (per la sua forma estrema), che si può ripetere, se non nella sua totalità, in tanti aspetti parziali che gli assomigliano. Comparare la Shoah non significa diminuire la sua portata sconvolgente, ma trasformarla nel monito più terribile per il futuro dell’umanità".
L’obiettivo è di evitare una sorta di barriera, quando si fa memoria, tra chi è ebreo e gli altri; così il possibile piano scivoloso che rischia di porre da un lato la Shoah e dall’altro i vari genocidi che hanno caratterizzato e segnano tutt’oggi la nostra storia. Fino a una distinzione tra i giusti che hanno salvato gli ebrei rispetto ai giusti che in situazioni estreme hanno protetto altri esseri umani.
Altro aspetto, non secondario, è quello inerente ai pericoli connessi a una contrapposizione gerarchica tra “male maggiore” e “male minore”, così come aveva prefigurato Hanna Arendt. Vale a dire regimi che impongono azioni e politiche ingiuste con il pretesto di evitare una ingiustizia peggiore, abituando così l’opinione pubblica ad accettare l’inevitabilità e la normalità del male nel corso degli avvenimenti storici. Giustificando perfino, in nome di una presunta causa giusta, qualsiasi crimine che fosse crimine di guerra o contro l’umanità, di aggressione o genocidio.
Sono storie dell’orrore anche contemporanee che, nell’ottica del genocidio – termine utilizzato per la prima volta nel 1944 dall’ebreo polacco Raphael Lemkin – si prefiggono la distruzione (cidio) di un gruppo (γένος) accomunato dalla stessa origine.
Tra i tanti genocidi, per alcuni ancora oggetto di controversie politiche dovute all’opposizioni di alcuni Paesi come nel caso degli Armeni e della Siria, ricordiamo la Bosnia con Srebrenica; quello dei tutsi e degli hutu in Ruanda; l’Holodomor che significò milioni di ucraini morti per la fame procurata da Stalin contro l’idea di una identità ucraina autonoma; il genocidio degli Herero e dei Nama in Namibia tra il 1904 e il 1907 con campi di concentramento e sterminio. L’elenco potrebbe essere ancor più ampio, lungo una sequela di orrori anche dimenticati o accantonati.
Ma, a fronte del genocidio senza precedenti della Shoah, si può dire che c’è una continuità con gli altri genocidi? È questo un ulteriore interrogativo sostanziale la cui risposta origina dall’impostazione “rivoluzionaria” dello storico ebreo Yehuda Bauer che "mette in discussione la visione religiosa della Shoah da cui discende l’interpretazione della sua unicità nella storia umana e riporta la riflessione all’interno della categoria dei genocidi ponendo al centro le responsabilità degli uomini su questa terra". Il testamento spirituale di Bauer si può sintetizzare in queste sue stesse parole: "Se dicessi che è stato unico, cioè che è accaduto solo uno nella storia, potremmo dimenticarlo, perché non avrebbe più importanza per i vivi: è successo una volta e non verrà ripetuto. Anche “unicità” implica che sia intervenuto qualche fattore extrastorico, qualche Dio o qualche Satana. Ma il genocidio degli ebrei fu il prodotto dell’azione umana e quelle motivazioni furono prodotte da motivazioni umane. Nessun Dio o Satana era coinvolto. Pertanto, l’Olocausto è stato senza precedenti, non unico. Il che significa che era, o può essere, un precedente e che, di conseguenza, dovremmo fare tutto ciò che è in nostro potere affinché non diventi un precedente, ma sia un monito. Questo è il collegamento principale tra affrontare l’Olocausto e affrontare il genocidio".
La Shoah rappresenta un non precedente nella storia dei genocidi, perché, come si argomenta lungo questa linea interpretativa, "è stato un genocidio con caratteristiche “universali”. I nazisti non si proponevano di eliminare gli ebrei all’interno di un unico territorio come, per esempio, è avvenuto per gli armeni, ma di procedere nella soluzione finale in ogni parte del mondo".
La comparazione tra Shoah e nuove atrocità di massa permette di "cogliere le differenze e le novità, evitando di separare un genocidio da un altro precedente. Così chi applica questo metodo non solo come storico, ma anche come testimone di un popolo che ha subito un crimine di massa, non vivrà più la sua esperienza negativa come un’eccezione nella storia dell’umanità, ma quanto gli è capitato lo renderà solidale nei confronti di altre sofferenze umane".
Sarà solidarietà intesa anche come manifestazione concreta e riconoscimento universale dell’amicizia morale dei Giusti dell’umanità. Paradigma eticosociale e politico di quanti – per dirlo con la legge che ha istituito in Italia la Giornata in memoria dei Giusti dell’umanità – in ogni tempo e in ogni luogo, hanno fatto del bene salvando vite umane, si sono battuti in favore dei diritti umani durante i genocidi e hanno difeso la dignità della persona rifiutando di piegarsi ai totalitarismi e alle discriminazioni tra esseri umani. Quindi non solo Giusti che hanno salvato ebrei ma ogni Giusto che prova a salvare l’umano, "anche quando le ideologie, la ragion di Stato, il politically correct ti spingono in un’altra direzione".
È quell’amicizia morale che si fonda sul valore inviolabile della libertà che ci fa sentire davvero liberi quando anche gli altri sono liberi. Ricordava Vasilij Grossman – scrittore russo e testimone dell’Holodomor e dell’annientamento degli ebrei in Unione Sovietica durante l’invasione nazista – che "mentre l’anelito inviolabile alla libertà condanna a morte il totalitarismo […] l’uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà. E questa conclusione è il faro della nostra epoca, un faro acceso nel nostro futuro". Parole premonitrici e sempre attuali.