di Francesco Deagustinis

Il ghiaccio perenne che si scioglie: un ghiacciaio in alta quota che si ritira anno dopo anno, fino a frammentarsi, scomparire. Poche immagini come questa riescono a raccontare in modo altrettanto drammatico e diretto il riscaldamento globale. La scomparsa dei ghiacciai è considerata dalla comunità scientifica il termometro del Pianeta, che nell’arco dei prossimi decenni potrebbe superare un riscaldamento di 1,5-2 gradi, il livello definito dai climatologi soglia di sicurezza. Ma lo sciogliersi dei ghiacci in alta quota produce già oggi gravi effetti a catena, come le siccità o l’innalzamento dei mari.

“I ghiacciai sono degli indicatori chiave e un mezzo unico per mostrare il cambiamento climatico in corso”, afferma Michael Zemp, direttore del World Glacier Monitoring Service, Programma mondiale per il monitoraggio dello stato di salute dei ghiacciai del Pianeta, nella prefazione all’ultimo bollettino annuale. “Il loro rapido declino non solo sta cambiando l’aspetto del paesaggio delle montagne e delle regioni polari, ma ha anche un impatto molto concreto su alcune regioni a rischio, sui cicli dell’acqua e sui livelli dei mari”.

“Nei ghiacciai sta continuando la perdita di ghiaccio senza precedenti osservata dall’inizio del nuovo secolo, a una velocità quasi doppia rispetto alle perdite registrate negli anni 1990”, continua Zemp. “Nell’ultimo anno i ghiacciai osservati hanno perso circa 1.000 litri d’acqua per metro quadrato di ghiacciaio all’anno”.

La riduzione dei ghiacciai è un fenomeno che è stato osservato a partire dalla fine del XIX secolo, ma negli ultimi decenni la velocità con cui i ghiacci perenni si stanno ritirando ha cambiato pericolosamente passo.

“In alcuni ghiacciai alpini, che sono studiati da tanto tempo, vediamo l’ultima fase fredda della storia, chiamata la piccola era glaciale, che si conclude verso il 1850”, racconta Claudio Smiraglia, uno dei massimi esperti di ghiacciai in Italia. “Da lì in poi inizia una fase di recesso glaciale legata al riscaldamento dell'atmosfera che continua ancora oggi. I ghiacciai in alta montagna sono in crisi netta in tutto il mondo da un secolo e mezzo, tranne brevissimi momenti di inversione del processo, e negli ultimi 20 anni il fenomeno è accelerato”. Secondo il ricercatore, “i diversi ghiacciai rispondono in modo diverso al variare delle condizioni climatiche, a seconda delle proprie caratteristiche. In Italia, nei ghiacciai alpini, si stimano ogni anno abbassamenti di spessore anche di 5 o 6 metri e riduzioni di lunghezza di decine o centinaia di metri”.

Il 17 giugno si e inaugurata  al Forte di Bard, in Val D’Aosta, un’esposizione fotografica (EARTH’S MEMORY) che documenta in modo molto efficace la progressiva scomparsa dei ghiacciai di tutto il mondo, mettendo a confronto fotografie degli stessi ghiacciai scattate negli ultimi anni, con altre identiche scattate decine di anni fa. Un lavoro di ricerca durato 13 anni, il cui risultato oggi è un archivio unico al mondo che permette di vedere con i propri occhi il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai.

“Nei primi anni 2000 mi sono reso conto che mancava un metodo per comunicare un tema complesso come il cambiamento climatico all’opinione pubblica, non c’era grande sensibilità”, racconta Fabiano Ventura, fotografo e ideatore del progetto. “Il tema dei cambiamenti climatici era affrontato dal mondo della ricerca da oltre 40 anni ma, come abbiamo imparato negli ultimi anni con la pandemia, spesso i ricercatori non vengono ascoltati”.

“Di fronte a questa voragine comunicativa mi sono domandato come potessi dare un contributo: era fondamentale cercare di mostrare quanto l’umanità stesse impattando sull’ambiente, quanto il vivere nelle grandi città ci abbia fatto allontanare dalla natura, spinto a sfruttare le risorse naturali in maniera non compatibile con l’equilibrio del Pianeta. Una situazione che ha fatto forse dell’uomo l’unica specie che sta tagliando il ramo su cui poggia”.

“Ho pensato che il fenomeno della fusione dei ghiacciai fosse il mezzo più efficace per far comprendere il cambiamento climatico”, continua Ventura, “e ho voluto raccontare quello che stava succedendo, quello che avevo visto con i miei occhi. Avevo visto luoghi cambiare a distanza di anni, essere devastati dall’attività umana”.

Per 13 anni, dal 2009 al 2021, assieme a un team di ricercatori, Ventura ha condotto 8 spedizioni sui maggiori ghiacciai montani della Terra: Karakorum (2009), Caucaso (2011), Alaska (2013), Ande (2016), Himalaya (2018) e Alpi (2019-2020-2021). La mostra espone il risultato di questo progetto attraverso 90 confronti fotografici che mostrano come sono cambiati in pochi decenni i principali ghiacciai del mondo. Per realizzarli, il fotografo ha indagato centinaia di archivi fotografici alla ricerca di fotografie dei ghiacciai realizzate da spedizioni scientifiche ed esplorative nei decenni o addirittura nei secoli passati: la più antica utilizzata risale addirittura al 1849.

“Ho organizzato la logistica per 8 spedizioni, ho studiato le fotografie per ogni zona geografica, ho letto i vari libri degli esploratori, ho organizzato gli itinerari in quelle stesse zone dove abbiamo ripetuto le fotografie, nello stesso periodo dell’anno, nello stesso punto geografico, e quando possibile persino nello stesso giorno e addirittura nella stessa ora in cui erano state scattate le foto originali”, racconta Ventura. “Questo ci ha permesso di realizzare il più grande archivio di fotografie comparative sul tema dei ghiacciai”.

Senza ghiacciai la siccità aumenta - Negli ultimi anni abbiamo iniziato a vedere chiaramente diversi effetti legati al cambiamento del clima, ad esempio una frequenza maggiore di eventi meteorologici estremi. Alcune settimane fa il report annuale del Global Network Against Food Crises ha avvisato che il cambiamento del clima è uno dei principali fattori che stanno portando alla carestia 193 milioni di persone nel mondo, attraverso siccità o inondazioni.

“Se parliamo dei ghiacciai in tutto il mondo, dobbiamo considerare anche le calotte polari”, afferma Claudio Smiraglia. “Dobbiamo considerare che il clima è modulato principalmente dalle grandi calotte glaciali, soprattutto Antartide e Groenlandia, che fino a qualche decennio fa erano praticamente immuni dal riscaldamento, mentre oggi ne stanno risentendo in modo sempre più accentuato. La comunità scientifica crede che sarà proprio quel che accadrà in Antartide nei prossimi decenni a condizionare la vita della nostra specie su questo Pianeta”.

Per quanto riguarda i ghiacciai in alta quota, oltre a essere un termometro del clima che sta cambiando, hanno una relazione diretta con l’equilibrio degli ecosistemi delle regioni circostanti, in particolar modo attraverso il ciclo dell’acqua. Per questo la riduzione dei ghiacciai ha un ruolo anche nelle sempre più frequenti siccità, inclusa quella che sta colpendo l’Italia in questi mesi.

“In Italia stiamo vivendo un periodo di siccità estrema, ce ne ricordiamo poche come questa, anche se eventi di questo tipo si stanno moltiplicando negli ultimi anni”, afferma Smiraglia. “La siccità non dipende solo dalla scomparsa dei ghiacciai: oggi l’acqua che ci sta mancando è soprattutto quella delle precipitazioni e delle falde sotterranee. In Italia settentrionale però i ghiacciai hanno una funzione fondamentale, ovvero fornire un apporto idrico abbastanza limitato quando più ce n’è bisogno, durante l’estate”.

Il ricercatore cita alcune stime realizzate in collaborazione con il Politecnico di Milano: “Abbiamo calcolato che nel bacino dell’Adda, in Lombardia, la percentuale di acqua che arriva dai ghiacciai non va oltre il 10-20 per cento. Un piccolo conto in banca che ci serve quando siamo proprio in crisi, un apporto limitato ma importante”. Secondo Smiraglia, questo contributo idrico dei ghiacciai alpini è destinato progressivamente a mancare.

“Il problema è più grave in alcune zone del nostro territorio, come la Val d’Aosta e la Valtellina, che sono più vicine ai ghiacciai”, precisa il ricercatore. “In questi territori a fondovalle, intorno ad Aosta o a Sondrio, abbiamo precipitazioni medie quasi a livello semi desertico: le piogge non superano i 600 o 700 mmilimetri l’anno. In queste aree l’acqua che arriva dai ghiacciai è fondamentale, anche per garantire alcune attività come l’allevamento o la produzione di energia idroelettrica”.

Il legame tra perdita dei ghiacciai e siccità ha risvolti più drammatici in altre zone del Pianeta, come l’India, che proprio in queste settimane sta affrontando una delle siccità più letali della sua storia recente.

“In alcuni Paesi in Asia e Sud America, come il Pakistan, l’India, il Nepal o il Perù, l’apporto di acqua che arriva dai ghiacciai è molto più importante”, afferma Smiraglia. “Enormi fiumi come l’Indo o il Gange sono alimentati in modo massiccio da acqua che arriva dall’Himalaya o dal Karakorum". “In Pakistan ad esempio”, continua il ricercatore, “il paesaggio settentrionale è deserto, e la gente sopravvive perché vive nelle oasi che sono alimentate dai ghiacciai”.

Molti cambiamenti in pochi decenni - Le immagini dello scioglimento dei ghiacci perenni hanno la forza e la capacità di metterci viso a viso con le nostre responsabilità nel rompere gli equilibri del Pianeta e con le conseguenze della nostra incapacità di affrontare in modo efficace il cambiamento climatico.

“I grandi slogan come ‘salviamo il pianeta’ alle volte possono essere un boomerang”, afferma Ventura. “Spesso la comunicazione contro la crisi climatica ci invita a salvare il pianeta, salvare la natura, ma è un messaggio sbagliato, in realtà stiamo parlando di preservare la specie umana. Non è il pianeta che dobbiamo salvare, perché il pianeta si salva da solo. Dobbiamo salvare noi stessi, cambiando i nostri stili di vita”.

Durante le diverse spedizioni per studiare e fotografare i ghiacciai di tutto il mondo, Ventura ha incontrato decine di persone che già oggi stanno pagando il prezzo più alto per l’aumento delle temperature e il progressivo scioglimento dei ghiacci.

“Abbiamo raccolto moltissime testimonianze di persone che hanno dovuto cambiare il loro stile di vita, cambiare lavoro”, racconta il fotografo. “Agricoltori novantenni mi hanno raccontato quasi in lacrime come è cambiata la loro vita in pochi decenni, hanno dovuto abbandonare il loro paese, in montagna, perché con lo scioglimento dei ghiacciai sono cambiati i corsi d’acqua: non avevano più il fieno da dare alle bestie. Hanno dovuto trovare nuovi lavori nelle città a valle. Lo stesso tra gli indiani d’America in Alaska: la vita delle persone è cambiata moltissimo”.

“Il progetto fotografico parla dei ghiacciai, ma anche del tempo”, continua Ventura. Ho utilizzato la metafora del tempo per far comprendere alle persone che nessuno di noi si può sottrarre al tempo che passa. Questo dovrebbe spingerci a una riflessione, a cercare di capire che non possiamo considerarci lontani dalla problematica dei ghiacciai, simbolo che qualcosa sta cambiando in modo repentino e pericoloso. Ormai abbiamo continuamente a che fare con gli esperti di cambiamenti climatici, per i periodi di siccità, per quelli di grande freddo, per la mancanza di acqua potabile nelle grandi città, per l’erosione delle coste, per la salinizzazione delle falde acquifere, per il fenomeno dei profughi climatici, per le alluvioni. Tutta una serie di conseguenze a catena, che a volte creano catastrofi”.

Nell’introduzione alla mostra di Ventura, lo scrittore e alpinista Enrico Camanni rende bene lo stesso senso di urgenza, parlando delle sensazioni che lasciano nello spettatore le foto comparative dei ghiacciai che muoiono: “Alla fine di un percorso sospeso tra nostalgia e indignazione, scopriamo che gli unici personaggi perdenti di questo film fantastico siamo noi stessi, spettatori del nostro operato. Siamo gli unici naufraghi da salvare in questo affondamento epocale, perché la scomparsa dei ghiacciai è il segno del nostro fare e del nostro distruggere”.