di Fabio Marco Fabbri

In un Paese totalitario il ruolo e il funzionamento dei servizi di intelligence e sicurezza rappresentano uno Stato nello Stato? Il Kgb è uno Stato nello Stato? Potrebbero essere queste le domande iniziali per poter intuire cosa stia accadendo nella complessa rete dello spionaggio internazionale. I servizi segreti russi operano anche oggi in contesti dove le tendenze disgregatrici del sistema, la corruzione e le prospettive incerte su programmi, apparentemente solidi e fattibili, sono componenti costanti. Queste usuali e ataviche condizioni operative hanno fatto la gloria del Kgb, i cui protagonisti navigano perennemente nella paranoia. Sono impregnati, giustamente, di sospetti e ricorrono stabilmente all’argomento della provocazione che abbraccia gli “accerchiamenti” o il possibile utilizzo di armi “non convenzionali” – come quelle batteriologiche e chimiche – e gli spyware.

Intanto, sappiamo che i russi considerano lo spionaggio non solo un accessorio ma la spina dorsale del conflitto bellico, un’arma strategica per vincere la guerra. Ricordo che i sistemi di controllo occulto della Russia hanno le basi sui servizi di spionaggio e sicurezza ideati da Ivan Grozny detto il Terribile (1530-1584); da allora un processo di perfezionamento del vasto sistema di intelligence politica e militare ha permesso un costante controllo, sia all’estero del territorio russo, sia la sorveglianza degli stranieri e la vigilanza della popolazione all’interno. Possiamo evincere, da quanto rappresentato, come i servizi segreti e di sicurezza “russi”, in codice chiamati “organi”, non siano semplicemente un prodotto stalinista o putiniano, ma l’espressione e lo strumento di una cultura di potere autoritario costante caratterizzante il russkiy mir (Русский Мiръ), “Mondo russo”. È evidente che un sistema così radicato di controllo sia una fonte di informazioni e una cinghia di trasmissione di tutto l’apparato governativo e della politica, interna e internazionale. Infatti questi servizi, oltre a essere lo sguardo che spia e la mano che opprime, sono anche una voce sia politica, sia di indirizzo, che opera come influenzatore, penetrando nella propaganda informativa e spesso sostituendo la voce politica.

Così, ora, nell’articolato sistema di alleanze che si stanno concretizzando con la richiesta di Svezia e Finlandia di entrare nella Nato, scorgiamo le preoccupazioni finlandesi che ritengono la Russia il più grande problema di sicurezza per la nazione. Il Supo, intelligence finlandese, ha affermato che il numero di agenti dei servizi segreti russi nel Paese sia identico a quello presente durante la Guerra fredda. La Finlandia ha un confine terrestre con la Russia lungo circa milletrecentocinquanta chilometri; il Supo, fondato nel 1949, oggi conta cinquecentoventidue spie, numero raddoppiato negli ultimi cinque anni, con un incremento del bilancio che è passato da 35 a 56 milioni di euro tra il 2017 e il 2021. Come l’Fbi o la Dgsi, Direzione generale sicurezza interna francese, il Supo accorpa missioni di antiterrorismo e controspionaggio e raccoglie anche informazioni all’estero, come la Cia e la Dgs Estero. Durante la Guerra fredda, molte spie sovietiche, come il noto Oleg Gordievskij, si rifugiarono in Finlandia abbandonando il Kgb e disertarono in Occidente. Non solo: risulta che anche oggi tale fenomeno non sia raro. Un anno fa circa, gli agenti del Supo scoprirono che il Parlamento finlandese era spiato dal gruppo hacker Apt31 affiliato, o meglio, “organo” della Cina. Contemporaneamente, gli Apt31 guidarono un virulento cyberattacco alla Francia. Da quel momento, i Servizi segreti di Helsinki tengono sotto stretta osservazione le attività cinesi.

Ma i servizi segreti russi, a marzo, hanno tentato di corrompere anche i diplomatici della Repubblica Ceca, chiedendo a Tomáš Hart, viceambasciatore ceco a Mosca, di collaborare con loro, per poi espellerlo dal Paese per essersi rifiutato. Stessa sorte è toccata a un altro diplomatico ceco, che ha rifiutato le “avances” di Mosca. Le tv ceche, Respekt Cz e Deník N, hanno informato che Hart a fine marzo fu contattato dal Kgb e invitato a un appuntamento in uno dei luoghi più isolati di Mosca. Il viceambasciatore Hart non ha risposto all’invito, riportando la questione a Jan Lipavský, ministro degli Esteri ceco. Una provocazione russa o un tentativo di pressione “psico-politica?”. Fatto sta che dopo questo episodio i rapporti diplomatici tra la Repubblica Ceca e la Russia sono quasi spenti. Dopo queste spinte, il ministero degli Esteri ceco ha convocato l’ambasciatore russo a Praga per manifestare il suo dissenso per quanto avvenuto a Mosca. Risultato: l’ambasciatore russo è stato poi espulso dalla Repubblica Ceca, accusato di sfruttare la copertura diplomatica per operare per il Kgb. Attualmente – fonte del ministero degli Esteri della Repubblica ceca – diciassette diplomatici cechi sono presenti nell’ambasciata della Cechia a Mosca, mentre sei diplomatici russi lavorano ancora nell’ambasciata russa a Praga.

Il quadro generale – e il Forum di San Pietroburgo – fanno emergere una indubbia nostalgia di Vladimir Putinper il passato sovietico, ma il pericolo maggiore è una sorta di revanscismo teso a dimostrare che la Russia non ha perso la Guerra fredda. Le attuali gerarchie russe hanno radicata una mentalità che fa fatica a percepire l’Occidente come un “amico”, o al massimo lo possono considerare un alleato di circostanza, vedendolo magari come la causa dei problemi russi. Oggi, se gli Stati Uniti restano il principale avversario, le istituzioni europee e la Nato sono più che mai tra gli obiettivi privilegiati dei servizi segreti russi. Ma l’Occidente ha mai riflettuto sull’atteggiamento e le intenzioni dei leader sovietici, poi russi, nei suoi confronti? Ha mai compreso che la tradizione autocratica russa ha radici inestirpabili. E che due conviviali e “quattro affari” non cambiano i ruoli?

Comunque, nonostante i grandi numeri delle operazioni spionistiche, le tre principali agenzie di intelligence russe Gru, Fsb e Svr sembrano incapaci di svolgere, efficacemente, le loro fondamentali missioni in Ucraina. Intanto, da quando Vladimir Putin è salito al potere, il Kgb ha ampliato il suo spettro operativo, risultando senza dubbio non solo “uno Stato nello Stato” ma lo Stato, dato che Putin è il Kgb.