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Franco Esposito

Centomila imprese a rischio fallimento in Italia. L'osservatorio Cerved semina l'allarme, l'asticella cdel pericolo si è innalzata in maniera decisamente pericolosa. L'impennata è causata dalla guerra in Ucraina e dal poderoso rincaro delle materie prime. Disastroso continua a rivelarsi l'impatto con la crisi. 

Misurata attraverso il Cerved Group Score per conto de Il Sole 24 Ore,  il fenomeno negativo interessa il 16,5% del totale delle imprese. L'area, non marginale, proprio no, occupa complessivamente 831mila addetti. Salgono a tre milioni se si tiene conto anche delle aziende cosiddette vulnerabili. L'indebitamento complessivo è di 107 miliardi. Male i servizi, resiste a malpena l'industria. 

Cresce il rischio default. In aumento area e distribuzione della micidiale insidia. Questi i dati che vengono fuori dall'indagine del GDS: sicurezza 94.071, a feronte di 101.715 del 2021; solvibilità 223.169 rispetto a 240.597 dell'anno passato; vulnerabilità 210.549 contro 186.357; rischio 99.776 rispetto a 88.888 del 2021. Il fattore rischio è cresciuto fino al 16,1%, la vulnerabilità al 32,6%. 

Come fare? La fiducia muove l'economia, in mezzo a una  coltre di nere nubi. L'euforia abitava i mercati nel 2007, ricorderete, proprio mentre un  noto economista statunitense si prese l'epiteto di "Dr. Domm" o dottor Malsarote. 

Una sorta di menagramo, per chi si ostinava a non capirne le analisi. L'economista, fatto noto, prevedeva il crollo del mercato, con le annesse conseguenze. Poco dopo, durante una visita alla London School of Economics, la Regina Elisabetta chiese perchè così pochi economisti nel Regno Unito e altrove avessero intuito e previsto l'avvicinarsi della crisi non ancora incipiente. 

Perchè è così, una regola consolidata secondo quel gruppo di economisti ingiustamente definiti "uccelli del malaugurio". Nei periodi di relativa quiete del sistema economico, necessita interrogarsi sugli squilibri che via via si accumulano nel sistema stesso. L'obiettivo è non farsi cogliere impreparati. Il compito vero, reale, non è gurdare al futuro, e spingere lo sguardo al domani e al dopodomani è ancora più arduo. 

L'analisi del momento attuale indica il fattore rischio tra le microimprese in termini diemsionali. Costruzioni e servizi tra i comparti pià colpiti, in grave sofferenza. I segni di profonda crisi sono reperiili, come sempre, nel Mezzogiorno d'Italia. Da qui è partito il monitoraggio capillare Cerved tra le oltre 600mila società di capitali. L'indagine è il misuratore dell'impatto potenziale del nuovo quadro macroeconomico. Che è peggiorato, per le due essenziali ragioni sopra evidenziate. L'area più problematica è salita al 16,1% totale. Una platrea di 100mila imprese. 

Il Covid aveva spinto  in area problematica un'azienda su cinque. Situazione tornata poi quasi alla normalità ai livelli di prima della pandemia. Il trend ora si presenta in termini esattamente opposti: il downgrade segna una chiara prevalenza sulle promozioni. É peggiorato – e continua a peggiorare – il profilo di rischio. In particolare nelle costruzioni e nei servizi. Laddove il settore energetico presenta dati in linea con quelli dell'era pre Covid. La classifica del rischio vede ai primi posti i comparti maggioramente penalizzati dalla recrudescenza della pandemia, Viaggi, aeroporti, parrucchieri, commercio al dettaglio, moda, autonoleggi, ristorazione. 

Il trend è in peggioramento di oltre un punto. Siderurgia, produzione di tubi e lavorazione dei metalli i settori più colpiti. Ma pure auto e cantieristica si ritrovano in posizione critica. Il blocco degli approviggionamenti di grani e altro tra Ucraina e Russia induce all'attenzione anche per quanto riguarda il comparto agro-industriale. Ovvero, magimi per animali e lavorazione dei cereali. Il forte rimbalzo causato dagli effetti del Pnnr disegna scenari migliorativi, meno male.  

Laddove i rincari delle materie prime, il conflitto russo-ucraino, l'inflazione, l'aumento del costo del debito, hanno ridotto ai minimi termini (se non peggio) le capacità di tenuta del sistema produttivo. Risulta difficile chiudere i divari che si sono creati. Sommando le fasce di vulnerabilità e rischio, al Sud il fattore default comprende sei aziende su dieci. Quasi il  doppo di quanto accade nelle regioni del Nord. 

Si intrecciano il carattere delle emergenze e dei mutamenti strutturali, con effetti però molto diversi sul sistema. Da qui  il rapido susseguirsi di contrazioni ed espansioni a livello di settori e di territori, ovviamente. Il Covid ha causato tra l'altro il crollo di parte del terziario, il turismo piombato nel baratro nel 2020 e la ripresa vertigionosa dell'edilizia dopo anni di stop. 

L'orientamento diventa quindi estemamente difficile, complicato dall'aumento esponenziale  dei costi energetici e della speculazione russa su gas e petrolio. Mentre si assiste a un ritorno alla quasi normalità di turismo e ristorazione. 

Ma bisogna sempre fari i conti con due fattori che si stanno rivelando letali: inflazione e siccità, i cui denti mordono diversi comparti. Eccessi di pesimismo da parte di analisti diffidenti? La speranza è che le previsioni più nere non si avverino. Senza richiamarsi alla lezione del Dr. Domm e della Regina Elisabetta d'Inghilterra.