di ROBERTO ZANNI
Lorenzo Insigne ha fatto bingo: 11,5 milioni di euro all'anno per quattro stagioni almeno. Federico Bernardeschi l'ha seguito e si intascherà per lo stesso periodo di tempo, 5 milioni di euro. Due nazionali ai quali si devono aggiungere, seppur con motivazioni differenti, Giorgio Chiellini, terzo azzurro anche se all'addio e Domenico 'Mimmo' Criscito. La MLS, vale a dire Canada (soprattutto) e Stati Uniti, che fanno il pieno di italiani. La serie A invece che si svuota. Non ci sono, o non sono tenuti in considerazione i talenti di casa e per questo motivo l'Italia è già rimasta fuori da due Mondiali consecutivamente, ma se poi si vuole ricordare l'ultima volta che in una World Cup gli Azzurri hanno passato il primo turno si deve correre indietro fino al 2006 quando si vinse il titolo. Ma sperare che tutto possa cambiare tra quattro anni, cioè un ventennio dopo l'ultimo successo, oggi appare perlomeno prematuro. Non ci sono le basi, o sono alquanto traballanti, anche se nella World Cup 2026, quella che sarà ospitata da tre Paesi, USA, Canada e Messico, saranno ammesse 48 nazionali. Questo è il futuro lontano. Il presente? Se ne vanno i (pochi) giocatori di nome e di peso, arrivano però gli investitori attorniati da affamate orde di procuratori e decine di calciatori che provengono da ogni parte del mondo, anche le più sperdute. Che gli americani, e parliamo di chi ha i soldi, in particolare abbiano scoperto il calcio europeo non è una novità: hanno cominciato con l'Inghilterra, più vicina culturalmente, ma poi da acuti affaristi hanno visto che forse l'Italia era meglio. Jim Pallotta con la Roma il precursore, poi tutti gli altri, chi fa bene e chi no, ma non importa, se ci stanno nella serie A (come nella B, C fino alla D) vuol dire che ci guadagnano, o almeno non ci rimettono. Nel frattempo al tifoso italiano resta soltanto il nome della propria squadra (almeno finora e nemmeno più la maglia viste le trasformazioni che si susseguono ogni anno sotto la spinta dei grandi marchi), perchè i giovani giocatori connazionali non hanno spazio e non vale la pena perdere tempo per lanciarli. E non solo tra le rose della serie A il 'made non in Italy' furoreggia (stranieri al 63%), addirittura anche nelle Primavere si pesca fuori (36%, sempre relativo all'ultima stagione) percentuali impensabili fino a poco tempo fa che si aggiungono al 38% di proprietà fuori dai confini solo nella massima serie (Stati Uniti con Atalanta, Fiorentina, Milan, Roma e Spezia più il 'canadese' Bologna e l'Inter 'cinese'). Nel frattempo la Lega Serie A si è presentata al pubblico statunitense (qualche settimana fa) con l'illusione di accaparrarsi qualche telespettatore in più, mentre quelli che aveva (siamo monotoni, ma non finiremo mai di ripeterlo) e ci riferiamo agli italiani all'estero che erano legati a Rai Italia, li ha buttati via. Così se la Premier inglese vale negli Stati Uniti quasi 2,7 miliardi di dollari per sei anni, la distanza con la Serie A diventa ancora più abissale: infatti gli introiti che arriveranno ai britannici dagli States, 450 milioni di dollari l'anno, saranno quasi il doppio del totale estero della Serie A italiana.