Mario Draghi (foto: @Ale_Mi - Depositphotos)

di Giancarlo Loquenzi

Draghi, il banchiere dal cuore di ghiaccio, l'uomo della finanza senza volto e dei poteri forti, il cospiratore del Britannia, proprio lui, Mario Draghi ha provato a restituire alla politica il suo scettro e al Parlamento la sua corona, ma la politica e il Parlamento si sono girati dall'altra parte fischiettando.

Ci ha davvero provato il presidente del Consiglio, mentre i sordi e i capziosi gridavano allo scandalo, accusandolo di chiedere i "pieni poteri", proprio nel momento in cui si riconsegnava al potere dei partiti. Ci ha provato nel suo discorso al Senato, mentre quelli che in ogni discorso e in ogni invettiva, spendono a vanvera il nome degli italiani, lo accusavano di evocare abusivamente il sostegno degli italiani. Loro, i populisti, che di mestiere fanno quello, auto-investirsi dell'esclusiva rappresentanza del popolo, accusavano Draghi di appropriazione indebita del sostegno popolare.

Ma Draghi ci ha provato. Ha detto ai parlamentari una cosa chiara: volete davvero continuare a farvi governare dalle piazze, anche quelle violente e torbide, o volete essere voi a guidarle? C'era un'eco di Moro quando gridava in Parlamento gridava: "Non ci faremo processare dalle piazza", mentre Draghi ieri diceva qualcosa come: non dovremmo farci governare dalle piazze

Era una domanda rivolta a tutti: volete davvero tutelare gli interessi dei balneari, dei tassisti, degli anti-rigassificatori, dei piccoli e grandi evasori fiscali, contro l'interesse generale? Volete dare spazio alle corporazioni, a chi grida più forte, a chi assale il palazzo, o volete guardare alla stragrande maggioranza dei cittadini e alla loro pazienza e responsabilità?

Draghi stava proponendo alla politica di riprendere il controllo, non il contrario. In fondo tutto il suo mandato è stato improntato a questo: rimettere in piedi i partiti, dargli il tempo di ritrovarsi e riformarsi; e dare alla politica l'occasione di riprendersi il suo primato, proprio attraverso l'anomalia di un governo tecnico. La sua idea di trasferirsi al Quirinale non andava letta come un ictus di ambizione, ma un farsi da parte dal luogo della guida del governo, farsi da parte dall'anomalia, prima che questa diventasse normalità. Lo hanno tenuto inchiodato a Palazzo Chigi con un vortice di ipocrisia, esagerando i suoi meriti e la sua insostituibilità, per poi farlo uscire dalla porta di servizio alla prima buona occasione.

Allo stesso modo, Draghi che era accusato di tenere il Parlamento in non cale, di volerlo scavalcare come un fastidioso ostacolo, al Senato ha dimostrato l'opposto. Specie a quei 5 stelle che hanno tanto strepitato sulla "centralità del Parlamento" quando intendevano solo impantanare la politica estera e di sostegno all'Ucraina del governo. A loro, a Conte, che avrebbe voluto che il non voto sulla fiducia fosse sorvolato come un nonnulla, archiviato solo come precedente, Draghi ha spiegato che non si poteva: "Non è possibile ignorare quel voto, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento". Pensavate di giocare, di fare un giro di giostra, e invece qui si fa sul serio e le azioni lasciano tracce. Questa è la centralità del Parlamento (traduzione mia).

Il senso di tutto il discorso di Draghi era questo: il Parlamento conta più delle piazze, di qualsiasi piazza, perché qui sono rappresentati tutti gli italiani, non solo quelli in protesta. È da qui che si guida il paese, è la politica che sceglie la direzione. Lo sono stati a sentire imbronciati, poi la maggioranza di loro, senza votare, senza scegliere, ha cominciato a lasciare l'aula, in piccoli gruppi, in silenzio, fluivano via dall'aula, dal Parlamento, ognuno verso la sua piazza.