Enrico Letta

di Alfonso Raimo

Una coalizione senza nome e senza simbolo. Una non coalizione con alleanze "costrette", parallele che convergono, ma anche no. Enrico Letta prova a risolvere il doppio rebus - arginare il centrodestra, stemperare la litigosità del centrosinistra - con una formula politica che ricorda i quadri di Van Gogh: un "disegno dai colori netti", dove ognuno è riconoscibile per la sua proposta politica e nulla rimane "indistinto". A cominciare dai leader, ognuno avrà il suo candidato premier, il suo "front runner". Ma il rischio è che la tela delle 'alleanze-non alleanze' non regga ai protagonismi di parte. Il rischio non è Van Gogh, è l'Urlo di Munch.

Intanto il segretario dem porta a casa il voto unanime della direzione con una proposta che vede il Pd al centro e una galassia di partiti accanto. Dal campo largo si passa al campo aperto. "Il cuore del nostro progetto politico siamo noi e la nostra lista", dice annunciando che si chiamerà Democratici e Progressisti. Il 'listone' comprendera' i candidati dem, più tutti i soggetti che hanno partecipato alle agorà, a cominciare da Articolo 1, Demos e Socialisti. Accanto "ci saranno le alleanze elettorali che siamo costretti a fare", dice Letta. Qui gli interlocutori sono presumibili ma non ancora definiti. Interessati sono Sinistra Italiana e Verdi, Azione e Piu' Europa, Italia Viva, Insieme per il Futuro di Di Maio. Da parte del Pd non c'è nessuna preclusione. Resterà fuori solo il "trio della irresponsabilità", come li chiama, cioè Lega, Forza Italia e M5s, i 'draghicidi'.

Pur con questa cautela, per Letta è essenziale distinguere tra lo stretto cerchio del Pd e il resto del mondo. "Le alleanze elettorali non inficeranno in nulla la nettezza della nostra narrazione, chi siamo noi", dice. Dietro alla logica da separati in casa c'è la legge elettorale, ma anche il fatto che gli interlocutori "non sono semplicissimi", come ammette lo stesso segretario. Il Rosatellum non obbliga a fare coalizioni. Coi listini bloccati del proporzionale vengono assegnati 244 seggi alla Camera e 122 al Senato. Qui ognuno può correre per conto suo, stando in una coalizione che non richiede né simbolo, né nome comune. Evitare la convivenza forzata nella coalizione aiuterà a mantenere i rispettivi elettorati di riferimento. Le intese serviranno invece a vincere nei collegi uninominali che il Rosatellum attribuisce con il sistema maggioritario, 148 alla Camera e 74 al Senato. Se il centrosinistra non fosse competitivo su questo fronte, rischierebbe lo sfondamento del centrodestra, perdendo l'85 per cento di questi seggi. Sarebbe un salasso, con la destra al 60 per cento.

Ma se questa è la strategia sulla carta, comporre il mosaico è arduo. I "non semplicissimi interlocutori" già danno i primi segnali di nervosismo. Non Carlo Calenda, al quale l'impostazione di Letta piace. Il leader di Azione si presenta come candidato premier e dice di meditare un accordo che riguardi solo i collegi uninominali. Si tratta di chiudere sui nomi, ma il patto è vicino. Il tema, semmai, è come far convivere gli 'alleati per procura'. Scorrendo la fisarmonica della scheda elettorale si potrebbe scoprire infatti che 'l'alleato del mio alleato è il mio peggior nemico'. Per fare un esempio: ai nastri di partenza il centrosinistra avrà Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta, candidati di Azione, fianco a fianco di Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana. "Ma io con loro non ci faccio neppure un pezzo di strada insieme", mette in chiaro il leader di Si. E anche Angelo Bonelli dei Verdi si rivolge direttamente a Calenda mortificandone le aspirani di premier in pectore. "Carlo misurati e non dire cazzate", è il consiglio. Per i Rosso-Verdi, insomma, risuonano ancora le lusinghe di Conte, che lavora a un raggruppamento melanchoniano.

Matteo Renzi è in mezzo al guado. Il leader di Iv si dice sdegnosamente pronto a correre da solo. "L'obiettivo è il 5 per cento. E' la sfida più difficile ma ce la possiamo fare". I contatti con Letta e Calenda registrano freddezza. "Vogliamo una convergenza sulle idee", dice Renzi, ma le malelingue riferiscono che Calenda non lo voglia in lista, e che Letta valuti con qualche comprensibile ritrosia l'idea di avercelo come alleato e di dover convergere sui candidati renziani nei collegi. Spero si tratti di una distanza politica, non legata a fatti personali", dice Renzi. In realta' il senatore di Iv sconta una debolezza di base. Se Azione nei sondaggi supera lo sbarramento del 3 per cento, e dunque avrà un drappello di propri eletti, Italia viva è bassa e se non superasse la soglia porterebbe i voti tra l'1 e il 3 per cento in dote al Pd e agli altri partiti della 'non coalizione', proporzionalmente ai voti di lista. In queste condizioni, è oggettivamente difficile fare la voce grossa.

Chi invece sale nelle quotazioni dem è 'Insieme per il futuro' di Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri e il sindaco di Milano Beppe Sala hanno incontrato Letta a Roma. Semaforo verde a una lista liberal-riformista. Nel quadro dai colori netti arrivano gli arancioni.