di Sergio Fabbrini

Una democrazia consolidata è caratterizzata da regole certe ed esiti incerti. Gli esiti incerti sono accettabili, per Giovanni Sartori, se il vincitore accetterà di governare all’interno dei vincoli della costituzione formale, oltre che di quella materiale. Le regole delle elezioni del prossimo 25 settembre sono certe. Tuttavia, non è certo che i probabili vincitori di quelle elezioni, la destra nazionalista di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, accetteranno i vincoli della nostra costituzione materiale (l’interdipendenza europea), anche se riconoscono quelli della costituzione formale. Durante la Prima Repubblica, fu la sinistra comunista a non riconoscere la nostra costituzione materiale (la collocazione atlantica del Paese), anche se riconosceva la sua costituzione formale (che aveva contribuito a scrivere). Per decenni, quella sinistra fu sottoposta ad una critica rigorosa, così da spingerla a rivedere la sua politica internazionale, cosa che avvenne anche grazie al ruolo esercitato al suo interno da leader come Giorgio Napolitano.

L’evoluzione atlantista della sinistra comunista, dissolvendo le sue ambiguità, ha consentito di consolidare la democrazia italiana. Oggi spetta alla destra nazionalista chiarire le proprie ambiguità. Mi spiego con due esempi. Comincio dall’interdipendenza economica. Il governo Draghi fu costituito per reagire alla pandemia, ma soprattutto per ricostruire il Paese dopo la pandemia attraverso il Pnrr. Quest’ultimo fu l’esito della negoziazione che aveva condotto all’approvazione del programma di Next Generation Eu (NG-EU). Sulla base di un accordo con la Commissione europea, in cui furono definiti gli obiettivi (investimenti e riforme) da raggiungere semestralmente, l’Italia ha avviato il suo Pnrr ricevendo i primi finanziamenti semestrali stabiliti. Come certifica l’Osservatorio Pnrr di questo giornale, ad esempio, nel secondo semestre 2022 l’Italia è impegnata a raggiungere 55 obiettivi che, se raggiunti, le consentiranno di ottenere circa 20 miliardi alla fine dell’anno. NG-EU è un’opportunità senza precedenti per l’Italia, che ha potuto finora disporre di diverse decine di miliardi (sui 209 assegnati). Ciò nonostante, i due partiti della destra nazionalista italiana avevano sistematicamente criticato NG-EU. Il 21 luglio 2020 (dopo l’approvazione di NG-EU), Salvini sostenne che NG-EU è «una fregatura» che ci obbligherà a «lacrime e sangue» e Meloni che era uno strumento per farci «passare sotto le forche caudine dei Rutte di turno», cioè dei Paesi del Nord. Salvini ha poi mitigato la sua posizione entrando nella maggioranza del governo Draghi, mentre Fratelli d’Italia ha continuato a votare contro i provvedimenti per implementare il Pnrr. Dopo tutto, per Meloni, Draghi era «il novello cavallo di Troia dell’occupazione franco-tedesca dell’Italia» (così nella sua autobiografia). Ora, per un governo Meloni-Salvini, il Pnrr è una «fregatura» europea o un’opportunità italiana? Rinuncerà, quel governo, ai fondi del Pnrr per non sottostare alla «occupazione franco-tedesca» dell’Italia? Vediamo l’interdipendenza giuridica. L’integrazione europea è stata la condizione dello sviluppo economico dell’Italia, oltre che della sua stabilità democratica. L’esistenza di un mercato unico sovranazionale ha consentito all’Italia di divenire il secondo Paese manifatturiero dell’Ue, l’esistenza di istituzioni giuridiche sovranazionali ha spinto l’Italia ad alzare il proprio standard liberale di protezione dei diritti individuali (civili ed economici). Eppure, il 23 marzo 2018, Meloni presentò una proposta di legge costituzionale intesa a modificare l’art. 11 della nostra Costituzione. Là dove esso recita, “L’Italia consente…alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”, Meloni propose di sostituire, “Le norme dei Trattati e degli altri atti dell’Unione europea sono applicabili…in quanto compatibili con i principi di sovranità”. La proposta di legge costituzionale mirava anche a modificare l’art. 117, primo comma, della Costituzione. Là dove esso recita, “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, Meloni propose di cancellare completamente quest’ultima parte. Tali proposte di modifica costituzionale intendevano affermare il principio che il diritto italiano è sempre preminente rispetto al diritto dell’Ue, anche nelle materie in cui quest’ultima ha competenze esclusive o concorrenti (con quelle nazionali). Critiche alla supremazia del diritto europeo sono emerse in diverse corti costituzionali nazionali (a cominciare da quella tedesca), però solamente il Tribunale costituzionale polacco ha emesso, il 7 ottobre 2021, una sentenza che sfida formalmente la supremazia del diritto europeo. Se si segue la strada polacca, è bene sapere però che, con la supremazia del diritto interno, non può esserci un mercato unico europeo, tanto meno una comune protezione dei diritti individuali. Ora, è conveniente, per l’Italia, smantellare il mercato interno e le relative protezioni giuridiche? Insomma, le elezioni servono per rendere possibile il ricambio democratico dei governanti. Tuttavia, tale ricambio deve poter avvenire all’interno di una comune consapevolezza, da parte dei protagonisti delle elezioni, dei contesti formali e materiali che strutturano la nostra democrazia. I leader economici, sociali e culturali dovrebbero promuovere quella consapevolezza, non già discutere su quale carro politico salire prima o dopo le elezioni.