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Pollica, svolta nell’omicidio del “sindaco pescatore”: nove indagati, anche tre carabinieri

di ANONIMO NAPOLETANO

Non c'era solo la camorra dietro l'omicidio del “sindaco pescatore”, il primo cittadino di Pollica, centro turistico del litorale cilentano, ucciso il 5 settembre del 2010. Dopo dodici anni di buio pesto, arriva una clamorosa svolta nelle indagini condotte dalla Procura di Salerno. Nove avvisi di garanzia e nove perquisizioni hanno raggiunto sia camorristi, sia imprenditori e persino tre carabinieri: sono accusati tutti di aver partecipato a vario titolo all'omicidio di Angelo Vassallo, di essere stati i responsabili di un traffico di droga che il sindaco stava per denunciare e di aver depistato le indagini subito dopo l'agguato mortale.

I sospettati sono Romolo Ridosso, ex ras della camorra salernitana, oggi collaboratore di giustizia, il figlio Salvatore, l'imprenditore Giuseppe Cipriano, all'epoca titolare di una sala cinematografica in Cilento, i fratelli Domenico, Giovanni e Federico Palladino, proprietari di strutture alberghiere sulla costa salernitana. E infine tre militari dell'Arma: il colonnello Fabio Cagnazzo, all'epoca dei fatti comandante a Castello di Cisterna, in provincia di Napoli, il suo braccio destro dell'epoca, Lazzaro Cioffi, e il suo attendente Luigi Molaro.

Dei tre carabinieri, il più in vista è certamente il colonnello Cagnazzo, ma il personaggio chiave della vicenda è invece Lazzaro Cioffi, oggi espulso dall'Arma per un altro grave procedimento penale. Era genero di un boss della camorra casertana, Domenico D'Albenzio, legato al clan Belforte di Marcianise. Nel 2018 Cioffi è stato arrestato con l'accusa di concorso esterno in traffico di stupefacenti con il clan Sautto-Ciccarelli del Parco Verde di Caivano. Per questa accusa è stato condannato in primo grado a quindici anni di prigione. Anche l'accusa di oggi ha a che fare con il traffico di droga, e proprio per coprire l'attività di spaccio sarebbe stato ucciso il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo.

La ricostruzione della Procura salernitana, diretta dal Procuratore Giuseppe Borrelli, è complessa e solo in parte è stata rivelata dal decreto di perquisizione a carico degli indagati. Gli investigatori non hanno ancora scoperto tutte le loro carte ma il quadro che emerge della vicenda è il seguente. Nell'estate del 2010 il narcotrafficante di Secondigliano Raffaele Maurelli, detto “Lello il nero”, (poi deceduto e per questo motivo non indagato nel procedimento) stava organizzando un nuovo modo di rifornire di droga la costa cilentana, tutta la provincia di Salerno e da lì arrivare fino in Calabria. Il traffico di stupefacenti partiva da Napoli a bordo di gommoni e lance veloci.

Come snodo principale del traffico i clan avevano individuato proprio il piccolo paesino di Pollica, di appena duemila abitanti, ritenuto poco visibile e scarsamente attenzionato dalle forze dell'ordine. I carichi arrivavano di notte, sbarcavano sulla spiaggia di Pollica o nel piccolo porto del centro turistico e da qui proseguivano la propria rotta via terra a bordo di anonimi furgoni. Il boss stava anche trattando con degli imprenditori locali per entrare in possesso di un lido, per poter gestire con più tranquillità il suo traffico. I suoi referenti nella zona sarebbero stati proprio i due Ridosso, padre e figlio, e il boss avrebbe poi preso contatti anche con Cipriano e i fratelli Palladino. Ci sarebbe stato anche un abboccamento con il sindaco Vassallo, con un tentativo di corromperlo per ottenere protezione. Accadde esattamente il contrario.

Vassallo aprì gli occhi su quello che stava succedendo di notte nel piccolo porto di Pollica. Incaricò la polizia municipale di mettere delle telecamere e di fare delle perlustrazioni notturne. Aveva raccolto del materiale, che però non voleva condividere con i carabinieri del posto, di cui non si fidava. Contattò quindi un ufficiale dei carabinieri di Agropoli, con cui prese appuntamento per la mattina del 6 settembre 2010 per rivelargli tutti i suoi sospetti. A quell'appuntamento non arrivò mai. La sera prima, intorno le 20, mentre era alla guida della sua auto, fu ucciso con nove colpi di pistola calibro 9. Ma cosa c'entrano i tre carabinieri? All'epoca il colonnello Cagnazzo era al comando di Castello di Cisterna, ma frequentava Pollica per le sue vacanze. Era intimo amico della figlia del sindaco Vassallo, conosceva bene i fratelli Palladino che ospitavano lui e il suo attendente Molaro nelle loro strutture turistiche.

Il terzo carabiniere Lazzaro Cioffi pure frequentava Pollica e gli imprenditori sospettati di collusione con il narcotraffico. Il dubbio è che Cioffi avesse un ruolo nei traffici del clan napoletani in Cilento. Fatto sta che proprio nei giorni dell'omicidio i tre carabinieri sono a Pollica in vacanza, ma fuori servizio. E due minuti esatti dopo l'omicidio del “sindaco pescatore”, Molaro telefona a Cagnazzo, che non risponde. Gli investigatori sospettano si trattasse di un segnale convenuto. Subito dopo l'omicidio, poi, i carabinieri, pur essendo fuori servizio e senza alcuna delega dell'autorità giudiziaria, prelevano i filmati di alcune telecamere di sicurezza di un negozio nella piazza principale di Pollica e del porto.

Sulla base delle immagini della piazzetta, Cagnazzo redige una informativa lasciando intendere che dietro il delitto ci fosse una pista sentimentale. Era, secondo gli investigatori, un primo tentativo di depistaggio, per sviare le indagini dai veri esecutori dell'omicidio. A cui segue un secondo tentativo, ancora più eclatante. Il video della telecamera del porto viene manomesso in modo da lasciare intendere che nell'assassinio del sindaco avesse auto un ruolo un pregiudicato italo-brasiliano, Bruno Humberto Damiani, noto narcotrafficante, che tra l'altro aveva avuto dei litigi proprio con la figlia del sindaco amica di Cagnazzo. Anche in questo caso, gli investigatori ritengono che Cagnazzo volesse accusare un innocente.

Di fatti il Damiani è stato completamente prosciolto perché la sera del delitto si trovava agli arresti in Brasile. Il quadro accusatorio è poi completato dalle dichiarazioni del pentito Romolo Ridosso (che però tira fuori se stesso e il figlio dall'organizzazione dell'omicidio Vassallo) e dalle intercettazioni ambientali in cui la moglie di Cioffi, quando il nome del carabiniere finì per primo sui giornali come collegato all'omicidio Vassallo, dice alla sorella che avrebbe fatto lei i nomi di tutta la “squadra” coinvolta, citando anche il colonnello Cagnazzo. Una storia torbida e complessa, saranno solo i prossimi passaggi sia degli investigatori sia dei difensori degli indagati a poter fare maggiore chiarezza su effettivi ruoli e responsabilità.

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