di Giorgio Merlo

Il “terzo polo” nasce come un soggetto politico plurale. Potremmo tranquillamente definirla come una sorta di “Margherita 4.0”. Ovvero, un partito riformista, culturalmente plurale e sostanzialmente di centro. Cioè, un partito di centro che coltiva l’ambizione di declinare concretamente una “politica di centro”. Una sfida ambiziosa e, allo stesso tempo, carica di aspettative e di futuro. Certo, non mancano anche le contraddizioni e i dubbi attorno al futuro di questo nuovo soggetto politico. Ma un fatto è indubbio. E cioè, c’era e c’è bisogno nel nostro paese e nel nostro sistema politico di un ritorno ad una cultura, ad una prassi e ad un progetto politico che ricalchi un modo d’essere che in questi ultimi anni è stato cancellato e politicamente criminalizzato dall’irruzione del populismo grillino e dal sovranismo in salsa leghista. Due disvalori che hanno pesantemente inquinato le radici ideali e culturali della nostra democrazia al punto che la stessa credibilità delle nostre istituzioni democratiche è stata messa in discussione.

Ora, non si tratta che risalire lentamente la china senza tentazioni nostalgiche e, men che meno, senza retro pensieri di natura conservatrice o reazionaria. Molto più semplicemente si tratta di ridare credibilità e sostanza al nuovo soggetto politico e che sia, soprattutto, capace di concepire la politica come un progetto, una visione di società accompagnato da una rinnovata qualità della classe dirigente e da una credibile cultura di governo. Insomma, l’esatto contrario di tutto ciò che hanno predicato e praticato i populisti dei 5 stelle in questi anni supportati e difesi da una sinistra che si è dimostrata incapace di guardare oltre l’immediato perché prigioniera di schemi e di paradigmi lontani da quella cultura che è stata all’origine dell’Ulivo e delle migliori stagioni del centro sinistra di governo nel nostro paese.

Ecco perché quando si parla di un populismo che ha contagiato entrambi gli schieramenti politici maggioritari non si dice una cosa inesatta o banalmente polemica. Ma si riflette concretamente ciò che è realmente capitato in quest’ultima legislatura dopo la deriva populista, demagogica, giustizialista, manettara e profondamente anti politica che ha preso il sopravvento al punto che ha contagiato storici partiti di potere ed espressione del “sistema” come il Partito democratico riducendolo ad una appendice di quella sub cultura e di quella deriva. Una sorta di “bi populismo”, come è stato descritto e che ha contribuito, purtroppo e di conseguenza, ad un progressivo impoverimento della politica, ad una dequalificazione della classe dirigente politica ed amministrativa, ad una desertificazione delle culture politiche e, infine, ad uno scadimento della qualità della nostra democrazia.

E proprio di fronte a questo quadro deludente e scadente, il progetto di un “nuovo centro” impone e richiede, al contempo, nuove energie e nuovi ingressi culturali ed ideali. E, su questo versante, la cultura e la tradizione cattolico popolare e cattolico sociale può ritrovare le ragioni per una rinnovata presenza culturale e una qualificata rappresentanza politica. Del resto, non mancano le energie, le personalità e i mondi vitali di riferimento che possono e debbono scommettere su questa nuova avventura politica ed organizzativa. E questo perché gli schieramenti maggioritari sono ormai diventati sostanzialmente e progressivamente esterni ed estranei a questa nobile, nonché attuale e moderna, tradizione culturale. Vale per la sinistra ormai sempre più condizionata da posizioni estremiste e con forti pulsioni populiste e vale ancor più per la destra che rinnega quasi alla radice quel richiamo culturale ed ideale.

Per questi motivi il voto del 25 settembre può assumere un valore politico importante non solo, come ovvio, per registrare le nuove tendenze politiche del paese, ma anche - e soprattutto - per ridare prestigio ed autorevolezza alla politica attraverso la riscoperta e il rilancio del ”centro” e di una rinnovata politica di centro. Contro la logica degli “opposti estremismi” da un lato e per una politica carica di contenuti, di buon senso e di progettualità dall’altro. Cioè, in ultima istanza, per rafforzare ed irrobustire la qualità della nostra democrazia.