di Giorgio Merlo

Diciamoci la verità, al di là delle narrazioni ipocrite o fuorvianti. Abbiamo assistito, in queste settimane, ad uno spettacolo poco edificante per la credibilità e l’autorevolezza della politica italiana. Parlo, come ovvio, della composizione centralistica delle liste elettorali. Certo sono lontani i tempi in cui il cittadino poteva liberamente e consapevolmente scegliersi i propri rappresentanti al Parlamento. O attraverso le preferenze - per moltissimi anni, dal secondo dopoguerra e sino alle elezioni del 1992 erano ben 4 - o con la preferenza unica del referendum Segni che, purtroppo, ha contribuito ad alimentare ulteriormente il decadimento della politica e l’aumento dei costi delle campagne elettorali con il suo carico di corruzione. Oppure, in ultimo, con i collegi uninominali del “Mattarellum” che, al contrario, aveva nuovamente riavvicinato i cittadini alla politica conferendo a loro il potere di scegliere il 'proprio parlamentare di collegio'.

Dopodiché è arrivata la stagione delle liste bloccate dove il candidato, ammettiamolo apertamente e senza infingimenti, non conta assolutamente nulla perchè i nomi e i cognomi degli eletti, salvo miracoli dell’ultima ora - ma, appunto, si tratta di miracoli - si conoscono già il giorno dopo il deposito delle liste nelle varie Corti di Appello. E, del resto, il mercanteggiamento delle liste è lungo e tortuoso proprio perchè gli eletti vengono decisi "prima" del voto e non "dopo" il voto dei cittadini.

Ora, al netto di questa riflessione del tutto scontata e risaputa, dobbiamo anche dire con altrettanta onestà che non esiste una legge elettorale perfetta e capace di garantire, al contempo, la stabilità dei governi, la rappresentatività dei territori e il pluralismo politico e culturale che caratterizza il nostro panorama pubblico. Certo, ci sono leggi migliori e peggiori come sempre capita. E anche quelle che nascono sotto i migliori auspici poi finiscono per dar vita ad effetti opposti a quelli auspicati. È il caso, per fare un solo esempio, del sistema maggioritario che nacque per l’elezione del ‘94 con l’obiettivo di ridurre anche la frammentazione del quadro politico, oltrechè per dare maggiore stabilità ai governi, e poi finì per “proporzionalizzare” il maggioritario aumentando il numero dei partiti e delle varie sigle senza risolvere affatto il capitolo della durata dei governi. Appunto, una sorta di eterogenesi dei fini, pur sapendo che l’intenzione originaria era semplicemente opposta.

Ma quello su cui voglio richiamare maggiormente l’attenzione è la scelta dei candidati, cioè della futura classe dirigente. E allora, su questo versante, dobbiamo avere anche l’onestà intellettuale di ammettere che lo squallore a cui abbiamo assistito in queste settimane non è affatto riconducibile ai cavilli e alle norme contenute all’interno dell’attuale legge elettorale ma, come tutti sanno, alle concrete scelte fatte dai partiti. O meglio, dei capi partito. Se dobbiamo fare i conti con un malcostume politico crescente non possiamo, cioè, addossare le responsabilità ai vincoli del cosiddetto "Rosatellum" ma solo ed esclusivamente alle decisioni di chi comanda i singoli partiti. Malcostume che è composto da molti tasselli che non è difficile elencarli: dai "paracadutati" nei collegi blindati o nel proporzionale lontani da 'casa propria' alla promozione degli "eterni", ciò di coloro che collezionano legislature come la raccolta delle figurine di calcio; dal consegnare la futura rappresentanza parlamentare di intere regioni a transfughi che hanno cambiato partito appena pochi mesi prima della formazione delle liste al "bocciare" candidature autorevoli e radicate nel territorio con il consenso della stragrande maggioranza dei rispettivi amministratori locali; dal premiare esclusivamente la "fedeltà" al capo a scapito di ogni criterio meritocratico o di competenza ad aggirare qualsiasi regolamento interno inerente il numero delle legislature.

Insomma, l’elenco potrebbe continuare all’infinito e, dietro ad ogni gesto di malcostume, si nascondono - come ovvio e scontato - nomi e cognomi dei prescelti con le relative scelte di chi ha compiuto quell’atto. Cioè di chi si è fatto interprete esclusivo di quel malcostume. Ecco perchè è giunto il momento di finirla con la denuncia dei sistemi elettorali. Ogni capo partito è responsabile delle scelte che ha fatto e dei candidati che ha premiato e di quelli che ha punito. Tutto il resto sono chiacchiere al vento e narrazioni utili da raccontare ai "creduloni" e ai cosiddetti "balubba" che pensano, ingenuamente e genuinamente, che le scelte fatte dai loro capi sono state dettate dal ricambio generazionale, dal rispetto delle regole interne al partito, dalla rappresentanza dei territori, dalle istanze arrivate dalla base, dalla meritocrazia, dalla competenza dei candidati e via discorrendo. Verrebbe da dire, una volta fatte le candidature, evitiamo almeno di continuare a prendere in giro l’elettorato e ridicolizzare la pubblica opinione. Il tutto per evitare di far crescere ancor di più l’astensionismo e squalificare la qualità della nostra democrazia.