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Franco Esposito

L’impennata dei prezzi spinge il boom dell’export. Il made in Italy si eleva a livello di record. Le stime indicano una torta gigantesca, qualcosa come 600 miliardi di euro. L’export italiano non conosce la parola crisi. E il volo continua, più 10,3% quest’anno rispetto al 2021. I miliardi dell’export italiano erano 480 nel 2019, con un calo nel 2020, per complessivi 437 miliardi. Il segnale di ripresa certificato da 516 miliardi nel 2021. Entusiasmante senza dubbio alcuno, il dato da record è certificato dal rapporto Export 2022 di Sace. La società controllata del Mef specializzata nel settore assicurativo-finanziario. 

Una roba da stropicciarsi gli occhi. Presentato mercoledì, il documento fotografo in maniera chiara e inequivocabile l’andamento delle esportazioni del made in Italy e analizza il probabile trend futuro. Ma che cosa emerge dal report? É presto detto: il +10,3% atteso nell’export italiano di beni è dovuto appunto all’aumento dei prezzi, laddove i volumi di affari cresceranno a un ritmo più contenuto, +2,6%. 

Oltre all’export di beni, questo 2022 registrerà anche una forte crescita delle esportazioni di servizi. Soprattutto grazie al turismo che rappresenta il 9,1% del Pil italiano, quest’anno verrà raggiunto un +19,9%. Si tratta pari pari del ritorno al periodo pre Covid. Gli analisti prevedono nel 2013, al contrario, un +9,8%. Numeri che permetteranno all’Italia di conservare la sua quota di mercato a livello globale pari al 2,7%: Siamo l’ottavo Paese esportativo nel mondo. 

Il boom dei prezzi sta favorendo le esportazioni dei cosiddetti “beni intermedi”, come chimica e metalli. Mentre l’inflazione, chiaramente erosiva del potere d’acquisto, ha il suo peso sui beni di consumo. Gioielli e prodotti di pelle in particolare. Bene anche l’agroalimentare, + 9,2%, spinto in alto dalla ripartenza del canale dell’ospitalità. 

L’analisi prende in esame anche l’andamento dell’export italiano nelle singole regioni. Nel primo trimestre dell’anno la Lombardia è la prima regione del Paese per esportazioni: oltre 38 miliardi di euro, +23,6% rispetto allo stesso periodo del 2021. Seguono Emilia Romagna, 20,6 miliardi e un +24%  e Veneto, 19,2 miliardi, +19,8%. Quarto il Piemonte, 13,4 miliardi e +17,7%. La Toscana è al quinto posto, 12,3 miliardi e +11,7%. Un boom vero e proprio, e di proporzioni notevoli, è quello registrato dalle Marche: +39,8% sul 2021, a sfiorare i quattro miliardi. 

Letti e pesati i numeri da record dell’export del Made in Italy, fanno cronaca e punto, e neppure di qualità passabile, polemiche e pettegolezzi che caratterizzano questi giorni che introducono alle elezioni del 25 settembre. La bufera social che si è scatenata intorno a Laura Pausini che non ha cantato “Bella Ciao”, e l’intervento a gamba tesa sul tema di lana caprina di Matteo Salvini: “non è un reietto chi non l’intona”. A mo’ di replica il pensiero della Pausini: “Non voglio essere usata per la propaganda politica”. Oppure il puro colore, del  tutto scarsamente significativo, della Garbatella, quartiere romano storicamente “rosso” che tifa Giorgia Meloni. “é cresciuta qui, ha sempre lottato”. 

Tornando a bomba, a fonte dei grandi numeri dell’export italiano appare evidente il disagio del resto del mondo. Palese e certificata, l’incertezza a denunciare il problema. Tutta colpa della guerra e dell’inflazione. 

La Sace ha analizzato due scenari per così dire alternativi. Il primo prevede l’intensificazione del conflitto ucraino e  porterebbe quest’anno l’export italiano a una crescita del 9,1%, calcolabile in 1,2 punti percentuali rispetto allo scenario base. L’incremento previsto è di poco superiore allo zero nel 2023. Decisamente più ottimista l’altro scenario, con una risoluzione della guerra in tempi brevi. In questo caso, l’export riceverebbe una spinta dell’11% nell’anno in corso e a un +8,3% nel 2023. 

Segnali di un’incertezza ancora più robusta arrivano da Fitch. L’agenzia di rafting ha tagliato le stime di crescita per il 2022 e il 2023. Le sue previsioni e i suoi calcoli prevedono che il Pil mondiale salirà quest’anno del 2,4%, quindi meno 0,5 punti percentuali rispetto alle previsioni di giugno. E di un appena risibile 1,7%  nel 2023. Un punto percentuale in meno. 

La recessione è un rischio e una minaccia. Entrambi fortemente presenti nel futuro dei Paesi dell’Eurozona e nel Regno Unito. Potrebbero entrare in recessione già nel 2022.  Agli Stati Uniti toccherebbe a metà del 2023. E qui siamo secondi, che male non è e non fa.