di Gabriella Cerami

Matteo Salvini fa la trottola, non solo su e giù per l'Italia cercando di salvare la sua Lega dal baratro del 10 per cento, ma è anche una trottola, per ora virtuale, tra un ministero e un altro. Tutti al momento virtuali, come è ovvio, visto che il centrodestra ancora non ha vinto le elezioni e soprattutto considerato che la Lega rischia una performance non soddisfacente, il che significherebbe per il leader non potersi scegliere poltrone di governo pesanti. Il suo eventuale reingresso al Viminale viene messo sempre più in dubbio sia in Fratelli d'Italia sia addirittura anche nella Lega. Giorgia Meloni ha detto, e ai leghisti suona come una minaccia, che "la squadra di governo si fa tenendo conto dei risultati elettorali. È la democrazia".

Tra i meloniani gira questa battuta: "Se davvero la Lega andrà male, come temono loro stessi, Salvini farà il ministro della Gioventù?". Se non fosse che in Forza Italia, che a sua volta non si sente tanto bene, circola quest'altra battuta: "Non è che Giorgia darà a Berlusconi il posto che lei aveva nel suo vecchio esecutivo, da ministro della Gioventù, nonostante abbia quasi 90 anni?". Il leader leghista, in quel metaverso che per ora è la politica post elettorale, viene continuamente traslocato da un dicastero all'altro. Appena sfiora un tema culturale, o fa una comparsata artistica come quella al Festival di Venezia con la compagna Francesca in qualità di produttrice audiovisiva, tutti a dire dentro e fuori il suo partito: "Beh, al posto di Franceschini, Matteo ci starebbe benissimo". Oppure si trasferirà a Trastevere al ministero dell'Istruzione?

Al di là delle previsioni, delle malignità o delle scommesse, c'è il fatto che Meloni – esattamente in linea con il metodo Draghi – nel suo governo amerebbe dare posti di rilievo, se i numeri lo consentono, a Giorgetti e ai giorgettiani, più che a Salvini e ai salviniani. Ma soprattutto, e in Fratelli d'Italia ne parlano già da tre mesi, la grande operazione meloniana sarebbe quella di affidare all'alleato–rivale la presidenza del Senato.

Ipotesi che Salvini, per ora, come raccontano i suoi più stretti interlocutori, non sta prendendo in considerazione in quanto la sua opzione A resta assolutamente quella del ritorno al Viminale, che significa nuove crociate contro gli immigrati e speranze di grande visibilità e di centralità anche internazionale (i summit dei ministri dell'Interno europei sono un appuntamento rilevante dell'agenda continentale). Ma i rapporti con la Polizia e con i sindacati di polizia non sono più quelli di un tempo e le divise da poliziotto, se indossate di nuovo, rischieranno di non fare più tutta quell'impressione che fecero quando il leader leghista se ne appropriò a uso e consumo della propria propaganda.

Ma se la Lega scende sotto il 10 per cento, il Viminale non finirà di certo a Salvini, oltretutto che Meloni non glielo vuole dare. L'opzione Palazzo Madama consentirebbe al leader di Fratelli d'Italia di neutralizzare il collega issandolo su un altare repubblicano di assoluto prestigio ma di scarsa incidenza politica quotidiana nella nuova stagione della destra al potere. I precedenti di questo tipo di neutralizzazione vengono compulsati in via della Scrofa con particolare convinzione. Berlusconi fece eleggere il suo competitor Gianfranco Fini a presidente della Camera proprio per liberarsi di una presenza ingombrante, la cui attività già gli aveva dato fastidio ai tempi in cui, insieme a Marco Follini, il leader di An era stato vicepremier (nel governo 2001-2006). Poi il strategia non funzionò, visto che, da presidente della Camera, Fini promosse la scissione di Futuro e Libertà, ma l'esito non dissuade Meloni dal riprovarci con Salvini. Del resto è un classico delle rivalità tra leader alleati spedire quello minore, ma insidioso, al vertice delle istituzioni. Lo fece Romano Prodi con Fausto Bertinotti. E senza andare troppo lontano abbiamo un esempio in casa M5s, con Luigi Di Maio, allora capo politico grillino, che fece eleggere l'antagonista di sinistra Roberto Fico presidente della Camera.

Guidare Palazzo Madama significa pur sempre essere la seconda carica dello Stato e questo potrebbe ingolosire in prospettiva Salvini anche se la sua priorità resta il Viminale, o quello che viene scherzosamente soprannominato il viminalino o il viminaletto, ovvero il ministero delle Infrastrutture, che sovraintende le dogane e dunque avrebbe ancora una forma di controllo sulla questione immigrazione. Guarda caso proprio quella poltrona Salvini l'ha già prenotata per la Lega dicendo di volerci mettere Edoardo Rixi, ma adesso come è evidente è tutto molto fluido e da vedersi all'indomani del verdetto, dopo il 25 settembre, proprio come ha appena ricordato Meloni. La quale sembra orientata a scartare lo schema più classico, quello dei due leader alleati che farebbero da vicepremier. Schema che sarebbe il massimo per Salvini, sul quale però grava il pericolo di poter prendere il minimo nelle urne di domenica prossima.