Gente d'Italia

A Napoli la bande del bitcoin, valigette di denaro a disposizione in cambio di password e codici telematici per effettuare prelievi

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Franco Esposito

La banda del bitcoin ha operato a lungo tra  vicoli del Rione Sanità. Nelle viuzze care al principe della risata, il nobile Antonio de Curtis, in arte Totò, si annidava l'ingegnosa combriccola che riciclava "soldi sospetti". Individuate sei persone, il cuore dell'organizzazione truffaldina, ora indagate. Il blitz dei carabinieri ha sgomentato l'organizzazione che "ripuliva i soldi delle attività illecite". Scoperta una rete di prestanome. Le valute elettroniche venivano intestate a immigrati.

Tout court, una banca d'affari agiva nel cuore del Rione Sanità. Un intero nucleo familiare in grado di convertire soldi veri, proventi di attività illecite, evasione fiscale e truffa, in moneta elettronica. I bitcoin. La truffa era finalizzata a un doppio risultato: il riciclaggio di denaro ritenuto sporco e la possibilità di spenderlo subito in ogni momento e in ogni parte del mondo. Il tutto attraverso una semplice banale operazione via computer o attraverso il proprio cellulare.

Le operazioni erano normalmente al riparo da ogni possibile verifica. La restituzione del denaro è infatti un passaggio impossibile da tracciare. La cosiddetta ingegnosa banca di affari è finita sotto la lente d'ingrandimento delle verifiche dei carabinieri coordinati da un pool di inquirenti specializzato in reati telematici. Valigette di denaro venivano messe a disposizione del gruppo delinquenziale in cambio di password e codici telematici. Lo scambio fondamentale per effettuare i prelievi. Sotto la guida del procuratore aggiunto Vincenzo Piattelli, in un pool composto dai pm Capasso e Cozza, il pm Claudio Onorati ha sequestrato cellulari e computer di alcuni indagati. É ora al vaglio degli inquirenti la posizione di Giuseppe De Rosa, 33 anni, e dei suoi genitori, entrambi di 58 anni. Indagati come presunti prestanome appartenenti alla stessa famiglia e alcuni soggetti insospettabili.

Il gruppo degli indagati avrebbe veicolato i propri risparmi in un'abitazione del Rione Sanità. Il denaro sarebbe stato poi collocato in un luogo segreto, sicuro, inattaccabile. La Procura avrebbe ricostruito il seguente scenario: il gruppo avrebbe posto in essere una serie di portafogli elettronici, i wallet, con tanto di codici, le cosiddette credenziali ad appannaggio esclusivo dei clienti. Il tutto portato avanti in assoluta sicurezza.

Questi ingegneri della truffa avrebbero dato vita, in definitiva, a una sorta di "materasso elettronico" in cui nascondere "il frutto di attività illecite, in particolare truffe, frodi bancarie". E non si escludono altri canali illegali su cui sono ovviamente in corso le indagini.

I carabinieri hanno effettuato per mesi appostamenti finalizzati al controllo delle attività dei De Rosa. Monitorati gli incontri con potenziali clienti. I meeting avvenivano nei pressi delle loro abitazioni, evidentemente possibili depositi di denaro. Prese in esame anche le utenze riconducibili ad alcuni esponenti della famiglia. E qui sono venute fuori alcune sorprese: "dai tabulati telefonici è emerso che alcune utenze ricevono una consistente attività di messaggistica sms compatibile con l'invio di Otp, one time password, e codici dispositivi anche di banche estere".

Il gruppo del bitcoin alla napoletana si esprimeva con un preciso concetto. Le banche internazionali inviano a Napoli token e sequenze numeriche per consentire di prelevare o gestire i conti correnti. Gli inquirenti napoletani sono riusciti a spiegare i contorni di questa frontiera particolare e possibile: "Dalle attività di pedinamento e osservazione è emerso che Giuseppe De Rosa intratteneva rapporti con numerosi clienti che consegnavano allo stesso o al padre Antonio denaro contante per ricaricare i wallet di criptovalute, utilizzando come modalità preferenziali le consegne dirette in strada o ulteriori modalità che garantissero anonimato e non tracciabilità dell'operazione".  Le ricostruzioni andranno ora completate con le versioni dei singoli indagati.

Gli inquirenti hanno già completato l'analisi dei beni riconducibili ai reggenti dell'associazione delinquenziale. Conseguito un primo risultato: Giuseppe De Rosa dispone di auto noleggio con le quali si recava a Torre del Greco e in altri comuni vesuviani. Indicato come "mente di una banca di affari clandestina", l'accusato dice di essere pronto a difendersi in tutte le sedi. Il suo difensore è l'avvocato Luigi Pezzullo, penalista napoletano. Il legale ha chiesto un incidente probatorio, atto irripetibile, finalizzato a "cristallizzare il contenuto dei cellulari e dei computer finiti sotto sequestro".

La difesa tende a dimostrare la correttezza delle operazioni finanziarie che "avvengono su scala internazionale e che, in sintesi, non ci sarebbe la consapevolezza della provenienza illecita del denaro, da parte di chi svolge l'attività di imprenditore finanziario".

Secondo il legale della mente di questo bitcoin alla napoletana o biscotto alla partenopea, chi gestisce strumenti di questo tipo "non è tenuto a conoscere l'origine dei beni".   E c'è dell'altro, a mo' di eventuale usufruibile escamotage: i bitcoin, sostiene la difesa dei De Rosa, sono usati in tutto il mondo come "un semplice strumento di pagamento, di fronte a uno scenario segnato da un evidente vuoto normativo".

In definitiva, una legge non c'è. Che dire? Andiamo avanti così...

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