(foto depositphotos)

di Fabio Martini

L'ultima è sempre la campagna elettorale più brutta, ogni generazione ne è convinta, ma quella in corso un primato lo ha già conquistato: mai come stavolta si è allungata la distanza tra politici eccitati nell'invettiva ed elettori freddissimi. Disillusi. E in diversi casi – ecco la novità che potrebbe rappresentare la vera cifra della competizione – molto risentiti verso tutta la classe politica e non solo verso una parte. E dunque pochissima partecipazione attorno ai leader e alle loro peregrinazioni per le strade d'Italia. La controprova finale di cotanto disprezzo si avrà nelle prossime ore: le principali forze politiche hanno rinunciato a chiudere le rispettive campagne elettorali nella più piazza più grande della Capitale, la piazza per definizione, la piazza delle grandi passioni, delle commozioni di sinistra e di destra: piazza San Giovanni.

La piazza di Enrico Berlinguer ma anche di Silvio Berlusconi, dei sindacati ma anche dei Girotondi resterà vuota: accarezzata e vagheggiata nelle settimane scorse, alla fine la spianata di San Giovanni è stata "scaricata" nel silenzio delle segrete stanze. Il centro-destra (oggi) e il Pd (domani) hanno optato per una piazza sicuramente più bella, scenograficamente e architettonicamente, piazza del Popolo. Uno spazio ampio, che può contenere fino a 60mila persone ma che - ben mascherata- può consentire una discreta figura con 6-8 mila persone. Il capo dei Cinque stelle Giuseppe Conte ha scelto per la sua chiusura piazza Santi Apostoli, che oltre ad essere lo spazio dell'Ulivo vincente è soprattutto una piazza che si riempie con tremila persone. Carlo Calenda oggi farà il suo ultimo comizio dal colle del Gianicolo, sotto la statua di Garibaldi, luogo simbolo del Risorgimento con un vago sapore anticlericale, mentre Verdi e Sinistra Italiana domani saranno ai Fori Imperiali.

Per la chiusura dei leader sarà dunque una sfida che si consumerà tra piccole piazze, anche perché sono restate chiuse anche le altre grandi piazze italiane. Niente comizi a piazza San Carlo a Torino, a piazza Maggiore a Bologna, a piazza della Signoria a Firenze, a piazza Plebiscito a Napoli e su piazza Duomo a Milano il coraggioso tentativo di Giorgia Meloni ha dato un risultato non molto gratificante, sconsigliando a tutti gli altri ulteriori esperimenti.

Dunque, resteranno deserte tutte le piazze che nel corso dei decenni hanno fatto da fondale ai comizi appassionati non soltanto di De Gasperi, Togliatti, Nenni e Almirante ma anche di Berlusconi, Bossi, Fini, Prodi e D'Alema. Certo, già da qualche anno le campagne elettorali erano in gran parte televisive, ma questa volta lo scarto è stato brusco: sono scomparsi del tutto i manifesti sui tabelloni e i comizi si sono fatti più per dovere che per piacere agli elettori. Ma è soltanto virtualità sempre più diffusa o c'è anche altro? "Attenzione – avverte Roberto Weber, già fondatore di Swg e sondaggista di "prima generazione" – il sentimento prevalente è il disincanto, in giro non c'è passione, non c'è il trasporto che ad esempio accompagnò il successo dei Cinque stelle quattro anni fa. E non c'è passione neppure per Meloni, che è destinata a vincere. Gli altri sono tutti vecchi, lei appare soprattutto come l'unica nuova".

Un umore di fondo che può riservare ulteriori sorprese la sera del 25 settembre, ma che ha già rarefatto presenze a pathos attorno ai leader. Certo, nelle prossime ore, i pullman e le mobilitazioni consentiranno a tutti i capi-partito di avere davanti folle moltiplicate dall'effetto ottico delle inquadrature televisive e dagli annunci autopromozionali: "Siamo tanti!". Ma quella del 2022 è giù entrata nella storia come l'estate nella quale si allentò ancora un po' quel rapporto primordiale, fisico, diretto tra i cittadini e i loro rappresentanti, quel legame che dalla agorà greca è arrivato a noi, ancora dura e non è detto che prima o poi non torni a rinsaldarsi.