di Dafne Carletti

 

In gran parte della propria politica estera, e particolarmente nelle istituzioni multilaterali, l’Italia gioca un ruolo da gregario rispetto ad altri paesi. Questo è stato dimostrato da recenti studi della Agency for Peacebuilding, ma appare anche evidente dai diversi programmi politici circolati nell’ultimo mese di campagna elettorale. Il Partito Democratico auspicava “un ruolo autorevole e da protagonisti” con UE, NATO e ONU. La Lega affermava che “l’Italia può e deve tornare a essere protagonista della politica internazionale”. Il Movimento 5 Stelle confermava l’adesione a NATO e UE, “ma con un atteggiamento proattivo e non fideistico, che renda l’Italia protagonista”. Per il programma di Fratelli d’Italia basta evocare il venticinquesimo ed ultimo punto: “Italia protagonista in Europa e nel mondo”.

L’azione estera italiana ed europea quest’anno è stata fortemente incentrata verso la guerra in Ucraina, e questo potrebbe essere il momento opportuno per elaborare un rinnovato approccio verso la Russia di Putin. Con l’annuncio del Cremlino della parziale mobilitazione di trecentomila riservisti, molti russi stanno scendendo in piazza per protestare contro la guerra. La chiamata sembra riguardare solamente alcune specifiche categorie: chi ha prestato servizio nelle forze armate e ha un'esperienza militare rilevante. Al momento si tratta quindi di uomini con un addestramento militare alle spalle o che hanno vestito la divisa. Ma in futuro? Nonostante lo svantaggio militare russo non sia una questione quantitativa, quanto piuttosto qualitativa (l’esercito ucraino è dotato di armamenti e tecnologie avanzate fornite dai paesi NATO), non è da escludere che Putin intenda allargare il bacino di persone da mobilitare. Inoltre, ricordando che il servizio di leva in Russia è obbligatorio, Putin ha inasprito le pene per chi si sottrae agli obblighi militari (renitenti e insubordinati) fino a 15 anni di carcere. In molti si trovano quindi improvvisamente a temere di essere chiamati al fronte, coinvolti in prima persona in guerra cruenta. Questo timore sta portando anche chi, fino ad ora, era rimasto silente osservatore ad esporsi, protestare, resistere.

Rimane quindi cruciale distinguere la popolazione russa dalla classe dirigente del Cremlino. Le società non sono monolitiche e, soprattutto, non possono essere assimilate in toto all’élite che le governa. Questa distinzione rimane di non sempre immediata lettura e ed è spesso stata al centro del dibattito tra “colpa” e “responsabilità collettiva” di un popolo. Ci sono movimenti esplosivi e articolati in Russia che si oppongono all’autorità centrale di Putin, come la Feminist Anti-War Resistance (FAR), un gruppo auto-organizzato e decentralizzato di circa 45 organizzazioni femministe costituitosi in febbraio dopo l’invasione dell’Ucraina. Alcune persone agiscono dall’interno, altre da un forzato auto-esilio, come nel caso di Maria “Masha” Aljokhina, attivista del gruppo Pussy Riot scappata dal paese a maggio travestita da rider. Se vorranno sottrarsi alla guerra, è possibile che anche i neo-mobilitati alle armi dovranno immaginare escamotage altrettanto creativi, visto il divieto per i riservisti di lasciare la loro residenza senza previa autorizzazione.

In un momento di debolezza e potenziale instabilità del regime putiniano, attaccato e isolato sia all’esterno che all’interno, sarebbe opportuno impostare una politica estera italiana ed europea che tenga conto di chi non vuole prendere parte alla guerra d’invasione in Ucraina. Dopo il trionfo di Fratelli d’Italia alle politiche, il nuovo governo sarà con ogni probabilità di destra-centro, e ci si chiede: come svilupperà l’azione estera per abbandonare la funzione gregaria ed assumere protagonismo in Europa e nel mondo? In attesa di scoprirlo, si osserva però che nel programma congiunto della coalizione, fatta eccezione per “pace fiscale”, non c’è alcun riferimento alla pace.