Putin
Vladimir Putin (foto: Depositphotos)

di GABRIELE MINOTTI

Sono momenti convulsi sul fronte del conflitto in Ucraina, giunto ormai al 232esimo giorno. Dopo l'esplosione del ponte di Kerĉ, in Crimea, infrastruttura di importanza strategica per la Russia, nonché uno dei principali collegamenti con la regione ucraina occupata dal 2014, Mosca torna a bombardare – prendendo di mira soprattutto obbiettivi civili – le città dell'Ovest, a cominciare da Kiev. Nel frattempo, il conflitto rischia di allargarsi dopo l'annuncio del dittatore bielorusso, Aljaksandr Lukashenko, di voler inviare dei reparti dell'esercito a sostegno delle truppe russe.

Si riunisce il G7, al quale partecipa anche il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che chiede uno "scudo aereo" sul suo Paese, vale a dire un sistema di contraerea più avanzato, capace di mettere in sicurezza i cieli ucraini dai droni e dai bombardieri russi. I Paesi del G7, dal canto loro, convengono sulla necessità di continuare a sostenere Kiev fino alla fine, proseguendo a fornire all'Ucraina supporto militare, finanziario e umanitario. Viene rinnovata la condanna nei confronti delle operazioni russe, che vengono definite per quello che sono: crimini contro l'umanità dei quali Vladimir Putin sarà chiamato a rispondere. A ciò si aggiunge la decisione degli Stati Uniti – fino a oggi procrastinata – di fornire agli ucraini dei sistemi missilistici a lunga gittata e l'inizio di un'esercitazione nucleare delle forze Nato la settimana prossima: la qual cosa sembra una risposta alle minacce russe. Mosca – che già aveva definito la decisione di inviare a Kiev missili a lungo raggio come un "punto di non ritorno" – per bocca di Dmitrij Medvedev dice che questa scelta da parte dell'Occidente è un passo avanti verso lo scoppio di una guerra mondiale.

Tuttavia, la nomenklatura russa non sembra essere dello stesso avviso dell'ex "delfino" di Putin – ormai degradato a giullare – col pallino dell'atomica. Sebbene il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, abbia ribadito che la Russia userà armi nucleari nei casi previsti dalla sua dottrina, in previsione del G20 in Indonesia lo stesso Lavrov fa sapere che Putin sarebbe pronto a incontrare il presidente degli Usa, Joe Biden, per discutere della situazione e trovare un accordo. La notizia è stata immediatamente accolta con soddisfazione e con speranza: alcuni l'hanno percepita come un ulteriore segnale di debolezza da parte del Cremlino che, consapevole di essere rimasto impantanato e di non poter vincere questa guerra, sta cercando di uscirne con dignità.

Ora, che Putin sia in evidente difficoltà è fin troppo chiaro: sta perdendo la guerra e lo sa. L'eventuale uso – comunque improbabile – di testate nucleari tattiche contro l'Ucraina non servirebbe a rovesciare le sorti del conflitto a favore di Mosca, perché questo innescherebbe l'immediata reazione degli Stati Uniti e dei suoi alleati e finanche della stessa Cina, che a quel punto non potrebbe più mantenersi equidistante come fatto finora. E sarebbe costretta a riconoscere la pericolosità del regime russo. Persino i referendum che si sono tenuti nelle regioni occupate si sono rivelati una gigantesca farsa: la resistenza ucraina ha già liberato intere città in quelle regioni e dopo aver riconquistato l'area di Kherson si dirige verso Donetsk e Lugansk, dove tutto è cominciato. Putin si ritrova così ad aver "annesso" territori sui quali non ha alcun controllo. Nel frattempo, in Russia cresce l'insofferenza nei confronti dell'autocrate: al netto delle adunate nelle piazze moscovite e pietroburghesi – in perfetto stile italo-tedesco anni Trenta, insomma – si susseguono le proteste, prontamente represse dalle forze di sicurezza e censurate dai media, e monta il malcontento. Persino all'interno della dirigenza russa sarebbero sempre di più i "big" desiderosi di mettere fine alla guerra prima possibile, al punto che si parla di un vero e proprio scontro, all'interno della cerchia di Putin, tra "dialoganti" propensi ad accettare una "onorevole resa" e "falchi" che invece sostengono la necessità di mettere mano all'arsenale nucleare, indipendentemente dalle conseguenze che questo potrebbe avere.

Nello specifico, la prima fazione – secondo quanto riferito dall'analista e commentatrice russa, esperta di Cremlino, Tatyana Stonyanova – sarebbe più realista e, percependo l'avvicinarsi della sconfitta, vorrebbe scendere a patti con l'Ucraina e con l'Occidente. Sanno che la disfatta determinerebbe il crollo del regime – e quindi anche la fine del loro prestigio personale – e che l'uso di armi nucleari metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa della Russia. Di conseguenza, non vedono altra via d'uscita che non sia quella di una maggiore accondiscendenza con l'Occidente e con l'Ucraina.

Forse, il fatto che i portavoce del Cremlino abbiano dichiarato la disponibilità di Putin a incontrare Biden al G20 è segno che questo orientamento si sta facendo prevalente all'interno del regime di Mosca. O forse è solo l'ennesimo inganno. Lo stesso autocrate russo, infatti, ha prima smentito di voler incontrare Biden, salvo poi correggere il tiro e dire che tutto dipenderà "dalle condizioni", senza specificare cosa significhi. Probabilmente Putin – che non ha alcuna intenzione di mettere fine alla guerra e di negoziare onestamente – si presenterà in Indonesia con la solita retorica allucinata sulla Russia minacciata dall'Ucraina "nazista e asservita agli Usa" e con le usuali richieste irricevibili, come lo smembramento dell'Ucraina e la limitazione della sua sovranità: cose che sa benissimo né Kiev né le cancellerie occidentali potrebbero accettare. Nonostante tutto suggerisca il contrario e la disfatta di Mosca sia ormai inevitabile, forse Putin, nella sua psicosi, è ancora convinto di potercela fare. Non tanto con le atomiche o coi raid su Kiev, ma prolungando il conflitto, lasciandolo volontariamente in una fase di stallo per "stancare" le democrazie occidentali, per esasperare i cittadini americani ed europei già gravati dalle conseguenze economiche della guerra, in maniera tale che l'Occidente rinunci ad aiutare l'Ucraina a resistere e che quest'ultima, senza più l'appoggio dei partner, finisca per soccombere.

Ecco perché provvedimenti per temperare i costi economici della guerra sono una necessità irrinunciabile, una priorità assoluta: è il corollario del sostegno che giustamente viene offerto all'Ucraina ed è l'unico modo che abbiamo per far fallire anche quest'ultima disperata strategia di Putin.