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DI GIULIA BELARDELLI

Da tempo Pechino è uno dei due epicentri, assieme a Washington, di un mondo focalizzato nel Pacifico. Ma mai come in questi giorni Pechino è il luogo in cui tutto accade, e in particolare dove sta prendendo forma un futuro poco rassicurante destinato a incidere su tutto il pianeta. Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, non ha dubbi: "l'esito del XX Congresso del Partito comunista cinese segnerà il futuro del mondo in modo ancora più decisivo rispetto alla guerra in Ucraina", e questo spiega l'attenzione quasi spasmodica che i principali giornali internazionali occidentali – dal Wall Street Journal a Le Monde - stanno dedicando alla faccenda.

In ballo c'è molto più dello scontato terzo mandato che verrà consegnato al presidente cinese Xi Jinping, l'uomo più potente del mondo secondo il Time, elevato al di sopra di Mao dalla risoluzione approvata lo scorso novembre dal Comitato Centrale del Partito comunista. In ballo c'è l'incognita di come la Cina e il mondo reagiranno a un'implementazione a tempo indeterminato di quello che si è andato configurando come lo Xi-pensiero: un pensiero in cui simboli, valori e partito sono elementi che vengono prima di qualsiasi altro aspetto, inclusa l'economia. Una virata che va ad alterare un paradigma di sviluppo che, tutto sommato, ha garantito alla Cina - e di riflesso al mondo - di crescere in misura significativa.

Accanto alla dimensione economica, i motivi per cui il Congresso è così importante si collocano a metà strada tra geopolitica e sicurezza globale. "Innanzitutto, esso determinerà l'assetto futuro della seconda grande polarità del mondo: è come quando guardiamo alle elezioni per la Casa Bianca", osserva Noci. "Questo assetto influirà sull'equilibrio nel Pacifico, dove la priorità assoluta degli Usa è contenere le ambizioni della Cina. La questione di Taiwan è il punto di non ritorno di una dialettica tra Cina e Stati Uniti: su Taiwan e sull'ambiguità strategica degli americani si gioca il futuro, con annesso il rischio di una terza guerra mondiale".

La virata di Xi che minaccia la crescita cinese e mondiale

L'esito del Congresso è, prima di ogni altra cosa, un evento tellurico sul piano economico. "Dal mio punto di vista, la dimensione più delicata - al di là dell'incoronazione 'a vita' di Xi - è la possibile per non dire probabile virata del paradigma di sviluppo della Cina. In qualche misura, questo Congresso sembra sancire una discontinuità secondo cui tutto quello che era il paradigma denghista - un'economia in cui si lasciava libero spazio all'imprenditoria - viene a essere modificato: sostanzialmente, la 'nuova' Cina è una Cina che mette al centro simbologia, valori, partito, sicurezza, a discapito di una crescita quantitativa dell'economia".

Nella 'nuova' Cina di Xi, il partito è sopra le imprese e torna al centro dell'economia, le imprese di Stato sono significatamene più avvantaggiate rispetto ai privati, e c'è una grossa enfasi su tutti gli aspetti di politica interna e ringiovanimento della nazione. È la proiezione di una Cina che, dopo la grande umiliazione subita dal mondo occidentale e dal Giappone, vuole ritornare ad avere il posto che ritiene che la storia le abbia assegnato, cioè il centro (non a caso, si chiamava l'Impero di Centro).

È una sfida – osserva Noci - che apre punti interrogativi molto significativi, perché le condizioni non sembrano essere favorevoli a uno sviluppo che sia in grado di sostenere le difficoltà che la Cina deve affrontare, a cominciare dall'aver perso il suo dividendo demografico. Anziché in avanti, il balzo rischia di essere all'indietro. "Pechino – argomenta Noci - ha bisogno di una vitalità imprenditoriale molto rilevante, poiché le condizioni di funzionamento del sistema socioeconomico cinese stanno cambiando: la Cina è diventata un Paese in cui, in larga parte, non c'è più il lavoro a basso costo e occorre andare verso produzioni a valore aggiunto. Questo significa che deve cambiare il connotato delle avventure imprenditoriali delle imprese, quindi c'è bisogno di investimenti che siano caratterizzati da maggiore produttività: se lego il sistema alle imprese di Stato, non vado esattamente nella giusta direzione. Il sistema cinese, inoltre, è già in profondo disequilibrio: la bolla immobiliare sta presentando il conto. La Cina ha bisogno di una maggiore incidenza della domanda interna, ma questo richiede un'economia vitale, imprese private che crescono e quindi famiglie e individui che respirano un clima positivo (cosa che, complice la strategia zero Covid) assolutamente non sta avvenendo. Infine, il tentativo di imbrigliare il mondo della tecnologia ha ridotto la straordinaria vis imprenditoriale dei giovani. Tutte queste condizioni pongono degli interrogativi rispetto agli esiti della virata di Xi". Non a caso, nel sistema delle imprese è emerso un inedito sentimento di preoccupazione. Il mood delle imprese straniere in Cina è cambiato. Fino a pochissimo tempo fa, gli imprenditori occidentali presenti in Cina erano dei baluardi di difesa del paradigma di sviluppo cinese. Oggi vediamo i presidenti delle Camere di commercio delle imprese statunitensi ed europee in Cina esprimere, per la prima volta in trent'anni, delle perplessità sull'ingerenza del partito comunista nell'economia.

Le nuove nomine e il pericolo dell'onnipotenza

Non sappiamo cosa accade davvero dietro la teatralità di queste rappresentazioni che avvengono nella Grande Sala del Popolo. Verosimilmente, all'interno c'è una dialettica che da fuori non traspare. È probabile che la scelta di non pubblicare i dati economici per non intaccare l'immagine del timoniere inneschi un ulteriore dibattito. "Sono certo che dentro il Partito comunista le visioni non siano univoche e unitarie", afferma Noci. "Sarà interessante vedere, al termine del Congresso, soprattutto le nomine che verranno fatte nel Comitato Centrale e in quello Permanente del Politburo: vedere quanti saranno i fedeli di Xi ci darà la misura dell'entità del dibattito interno e del grado di libertà che Xi Jinping avrà. Non è scontato che le voci discordanti siano condannate a essere così irrilevanti, dal momento in cui si tratta di una deriva che porta la Cina completamente fuori da una traiettoria che ha condotto centinaia di milioni di persone fuori dalla povertà".

La Cina è meno monolitica di quello che appare, e i continui lockdown stanno avendo un impatto negativo sull'umore della popolazione. "Dobbiamo ricordare – sottolinea Noci - che il Partito Comunista si regge sul seguente patto sociale: io provvedo a migliorarti le condizioni di vita, tu ti adegui al sistema politico che c'è. Se l'economia si inceppa, questo patto sociale non è detto che regga: in una società di stampo confuciano, in cui c'è una visione molto paternalista dello Stato, se tu non provvedi a me, io non posso stare fermo".

In un Paese da un miliardo e mezzo di persone, il tema dei meccanismi che reggono la sopravvivenza del Partito comunista è enorme. E Xi – forte dei "miracoli" raggiunti dalla Cina sotto la sua guida – rischia di scivolare in quello che Le Monde chiama "il pericolo dell'onnipotenza".

Le conseguenze in un mondo interconnesso

È chiaro che se al XX Congresso prevarrà la linea del partito sopra a tutto, della sicurezza nazionale e di un relativo livello di chiusura rispetto all'esterno, la Cina rallenterà, e il rallentamento della Cina è un problema per il resto del mondo, perché molte imprese dipendono dal mercato cinese o si approvvigionano dalla Cina. La Cina ha contribuito negli ultimi anni per oltre un terzo della crescita del prodotto interno lordo mondiale. È il primo mercato al mondo per molteplici categorie merceologiche: è di gran lunga il più grande mercato automobilistico e copre il 50% della domanda di beni di lusso.

Per dare un'idea di quanto un battito d'ali a Pechino generi un tornado a Milano, Noci fa un piccolo esempio: rallentamenti importanti della domanda di immatricolazioni di auto si riverberano sulle case automobilistiche tedesche; il rallentamento tedesco diventa un improvviso rallentamento della manifattura bresciana, bergamasca, veneta e piemontese che sostiene le case automobilistiche della Baviera. Questo significa che il livello di interconnessione raggiunto è tale per cui - vista la rilevanza economica della Cina - un eventuale cambio di traiettoria di sviluppo economico della Cina è un cambiamento che impatta sull'intero pianeta. Il disaccoppiamento di cui tanto si parla "è impossibile in tempi brevi", risponde Noci. "A seconda della piega che prenderà la politica cinese, ci potranno essere delle traiettorie evolutive in questo senso, ma i tempi non possono che essere lunghi". Per ora – e per molto tempo ancora – la verità è che il mondo occidentale ha bisogno della Cina, e la Cina ha bisogno di noi.

Le incognite – e la necessità – di un dialogo Usa-Cina

Il futuro dipenderà dalla capacità dei due veri contendenti - Stati Uniti e Cina - di mettere in piedi un dialogo che sia anche molto duro, ma dove c'è la comune volontà di non superare i punti di non ritorno. Se da entrambe le parti - o da una delle due parti - prevale un atteggiamento di presunta superiorità soverchiante, l'ipotesi di una terza guerra mondiale è tutt'altro che secondaria.

"Siamo in un contesto mondiale che ha nei suoi vertici due polarità deboli", osserva Noci: "sia Stati Uniti che Cina, per motivazioni quasi opposte, sono nel periodo di massima debolezza degli ultimi 20-30 anni. Queste due debolezze rischiano di diventare un enorme problema per il mondo". Da questo punto di vista, sarebbe quanto mai cruciale il ruolo di un'Europa che potrebbe tornare a essere centrale. "Purtroppo, la drammatica situazione in cui versa l'UE - incapace di maturare una vera coesione politica, come dimostra lo stallo sulla questione energia - fa sì che l'Europa sia destinata nei prossimi decenni alla totale irrilevanza. La logica conseguenza è che potrebbe avvenire un processo di frammentazione dell'Europa e ricomposizione di brandelli d'Europa in una delle due polarità. E attenzione: non è detto che la polarità sia quella americana. La stessa Germania ha già una dipendenza pazzesca rispetto alla Cina".

Lo scenario di un GX dei Paesi autarchici

Nei mesi scorsi si è parlato molto del progetto di una nuova valuta alternativa al dollaro a cui starebbe lavorando il gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). La Cina è la leader indiscussa del gruppo, così come lo è della Shanghai Cooperation Organisation. La SCO è nata vent'anni fa con un obiettivo di gestione della sicurezza nell'area euroasiatica. Nella realtà, se guardiamo all'ultima riunione, ha assunto connotati economici e ci sono stati degli invitati come la Turchia e l'Arabia Saudita. "L'organizzazione comincia, in nuce, ad avere il sapore di una sorta di GX dei Paesi autarchici", osserva Noci, secondo cui questi Paesi "potrebbero avere la naturale propensione a cercare di introdurre una moneta alternativa alla riserva valutaria del mondo che è il dollaro. La Cina in verità ci sta provando da molto tempo, ma gli esiti non sono positivi a causa di fattori strutturali".

Una variabile fondamentale è quella indiana: non sappiamo che partita giocherà Nuova Delhi. L'India somiglia sempre meno a una democrazia ed è a tutti gli effetti un terzo incomodo nella contesa tra sistemi democratici e autoritari. Secondo Noci, il tema della perdita di fascino dei sistemi democratici agli occhi dei Paesi non occidentali è una questione enorme di cui intravediamo solo la punta dell'iceberg. "Non escludo che dietro l'assertività cinese e l'azzardo russo in Ucraina ci sia la percezione di un Occidente al suo punto di massima debolezza", commenta. "La crisi finanziaria del 2008 è stata uno spartiacque emotivo, in Cina e non solo. Dal 2008 si è rafforzata nei Paesi non occidentali l'idea di una presunta superiorità di modelli autarchici come quello cinese. I giovani cinesi, in particolare, sono cresciuti in un'economia in ascesa, che guardava dall'alto in basso quasi tutti i Paesi occidentali perché tutti dovevano scendere a patti e andare a baciare la pantofola a Pechino - lo hanno fatto tutti, da Merkel a Macron". La conseguenza è che ora siamo tutti qui, a cercare di leggere tra le righe del XX Congresso quanto Pechino, domani, voglia e possa fare a meno di noi.