Matteo Salvini (foto depositphotos)

di sara Gentile

Da oggi abbiamo il nuovo governo, un governo di destra e non di centrodestra come molti si ostinano a definirlo. Del resto l'intitolazione di molti dei ministeri e dei ministri che ne sono titolari, è già eloquente ed è in certo modo un "casse-tête" linguistico e politico.

Il Ministero della sovranità alimentare che adombra una inclinazione autarchica, ad esempio, è preso di peso dalla dicitura da pochi mesi adottata in Francia (dove si è prima sempre chiamato Ministère de l'Agriculture et de la peche) e non per caso, dalla primo ministro Elisabeth Borne. Ed anche il Ministero di pari opportunità, famiglia e natalità che esibisce una forma in rima, ma ha suono stridente ed evoca con "famiglia e natalità" una diade precisa.

Ora sul concetto di sovranità è bene fare chiarezza per quanto qui possibile. Nel tempo si è molto discusso su cosa indichi e cosa sia la sovranità; sia nella scienza politica che nel diritto internazionale vi sono differenti concezioni di sovranità, nazione e dintorni in un dibattito che ancora continua. La sovranità, così come concepita dal XIX secolo, indica i poteri supremi di uno Stato nell'insieme dei suoi poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e la sua indipendenza da altri Stati, quindi nei rapporti internazionali. L'800 appunto fu il secolo delle nazioni, le nazioni romantiche, come recita il titolo di un bel saggio di Jean Plumyéne (1982), della loro costituzione come "finzioni creatrici" in una fase particolare della storia europea che aveva bisogno di ancorarsi ad identità forti.

Oggi la sovranità è stata rivisitata alla luce di evoluzioni nella dottrina e di fatto nelle realtà politiche contemporanee. Uno degli elementi costitutivi dell'Unione europea è stato appunto la cessione di una parte della loro sovranità, da parte degli Stati che ne entravano a fare parte, a una unità sovraordinata in un patto che garantisse entrambi i contraenti, sia pure non privo di tensioni e prezzi da pagare. Anche la Francia da sempre gelosa del proprio primato sovrano, fra contraddizioni e lacerazioni, si è dovuta piegare a questo principio, nel tempo, riportando i suoi binari nell'alveo dell'europeismo, già con la abile intuizione del presidente Mitterrand che disse di dover sacrificare "le socialisme à la française" alla "maison commune européenne"; e poi facendosene negli ultimi anni, con Macron, uno dei pilastri portanti nel complesso scenario globale.

Anche l'identità non ha una definizione univoca, non può averla e l'identità di un popolo, di un paese, come di una persona non può definirsi ed essere se non nel riconoscimento pieno di identità altre. Un bambino di pochi mesi si identifica con la madre, il viso materno,ma poi comincia a crescere e costruisce una sua identità quando si scopre altro dalla identità materna, si riconosce cioè come individuo quando riconosce una identità altra da sé e si confronta con essa. Così è per i popoli, per gli Stati, così è avvenuto nella storia, poiché chi erige barriere e si rinserra in una cittadella incontaminata e isolata non possiede una propria identità, quella che tanto strombazza, da mettere insieme ad altre per disegnare l'avvenire.

Sarkozy che era destra non estrema, in Francia da presidente istituì il Ministero dell'immigrazione e dell'identità nazionale, titolo sciagurato per lui che gli creò molti problemi, tanto da fargli affermare qualche mese dopo "obtorto collo" che anche la Francia era un paese di "metissage", di meticciato e che bisognava pur riconoscerlo.

Ora se diamo uno sguardo ai nomi di alcuni ministri di questo nostro governo essi hanno stampo e curriculum inadeguati a rispondere alle esigenze di una società aperta nei mutamenti che l'attraversano: Daniela Santanché ha in passato e recidivamente strombazzato che "gli immigrati vanno presi a calci nel sedere"; Matteo Salvini ha fatto da ministro dell'Interno nel governo con i 5Stelle, il capitan Fracassa, volendo chiudere i porti, con lo spauracchio della sicurezza in pericolo, in linea del resto con la linea antica della Lega xenofoba per tradizione; Lorenzo Fontana, presidente della Camera, non ha perso occasione per esibire un clericalismo fondamentalista, difensore di un cristianesimo bolso ed integralista a uso e consumo della sua parte politica, non della cristianità. Ci si chiede quindi quali risposte si potranno dare ai problemi urgenti del nostro paese, quale spazio avranno diritti acquisiti e nuovi diritti che emergono e bussano alle nostre porte, quale idea di cittadinanza si potrà articolare con queste premesse.

Inoltre i ministri nominati quasi tutti sono vecchie facce: Raffaele Fitto, inquisito varie volte, Roberto Calderoli, veterano leghista, Elisabetta Casellati disposta a dichiarare l'insostenibile, anni fa, in omaggio al suo capo Berlusconi impigliato in varie vicende giudiziarie. Insomma un nuovo non nuovo con un po' di belletto malmesso "pour épater la bourgeoisie", si diceva una volta oggi, parafrasando, "pour épater le peuple".

E ancora il profilo di questi ministri è davvero deludente quanto a competenze, un criterio del tutto assente tanto che possono essere spostati da un ministero ad un altro, come è in effetti accaduto in extremis per due ministeri. Alto profilo, si è detto e ripetuto; ma tutto è relativo, dipende da dove si situano l'alto e il basso in una scala che non sia arbitraria, ma consapevole di ciò che le misure designano. Infine ritengo avventata e fuorviante la retorica che plaude a una donna per prima arrivata in Italia a capo del governo, poiché in politica il genere conta poco e le leggi del potere valgono indistintamente e ferreamente per uomini e donne. Non ci resta che vedere all'opera questo governo e non rinunciare ad una opposizione decisa e chiara secondo la prassi democratica tutte le volte che la rotta vada corretta.