DI ZACCARIA TREVI

Nel giorno della fiducia, Giorgia Meloni nel suo discorso alla Camera ha citato – tra le altre cose – e ringraziato ogni donna italiana che le ha permesso di "rompere il tetto di cristallo". Tra queste, spicca una figura che da molti potrebbe essere considerata di secondo piano: Alfonsina Strada. Protagonista di una delle pagine più importanti della cronaca sportiva italiana, una pioniera della parificazione tra sport maschile e femminile.

Nata sul concludersi del secolo lungo (il 16 marzo 1891) a Castelfranco Emilia da Carlo Morini e Virgini aMarchesini, due braccianti che lavoravano nelle campagne emiliane. Seconda di dieci figli, cresce insieme a tanti altri ragazzi e ragazze, prelevati e custoditi dagli orfanotrofi del vicinato, in cambio di un sussidio. La prima bicicletta – se così si può chiamare il "catorcio" comprato da papà Carlo – entra in casa nel 1901, e per Alfonsina, si tratta di un vero e proprio colpo di fulmine. Impara velocemente a pedalare e, all'età di 14 anni, già partecipa a diverse gare su due ruote, di nascosto dai genitori. A mamma e papà, la giovane corritrice, dice di andare a messa, mentre in realtà sfreccia in sella del "bolide" di famiglia. Si dice che alla sua prima competizione, a Reggio Emilia, l'atleta abbia vinto un maiale vivo.

Quando la madre scopre le "bravate" della ormai giovane donna, le impone un aut aut: o la bici o la famiglia. Così, Alfonsina, 24 anni, sposa, a Milano, Luigi Strada – da qui il cognome – e chiede come regalo di nozze una vera bici da corsa. Nel 1917 l'atleta si presenta alla redazione della Gazzetta dello Sport con un piano: partecipare al Giro di Lombardia. Visto che nessun regolamento lo impedisce, Armando Cougnet (leggenda del ciclismo) accetta l'iscrizione della Strada. È la prima volta che Alfonsina – o una donna – gareggia contro gli uomini.

Un po' per il senso di sfida, un po' per necessità (il marito è stato ricoverato in un manicomio, dal quale non uscirà più), la "regina della pedivella" domanda di iscriversi alla gara più importante dello Stivale: il Giro d'Italia. Nella storia dello sport in genere, le svolte epocali avvengono per un mix di fortuna, tempi maturi e – perché no – destino. Questo, è uno di quei momenti.

Si da il caso che gli organizzatori del Giro, Emilio Colombo e Armando Cougnet, non abbiano concesso – come richiesto dai team più prestigiosi – ricompense in denaro per la partecipazione. Così, con l'assenza di campioni del calibro di Costante Girardengo, Giovanni Brunero e Ottavio Bottecchia, la gara rischia di diventare un totale flop. Poi, l'occasione della vita: far partecipare – per la prima volta – una donna al Giro d'Italia. Emilio e Armando naturalmente, colgono la palla al balzo.

É inutile dire che per Alfonsina Strada sarà difficile tenere il passo dei suoi colleghi, e infatti terminerà diverse tappe con ore di ritardo, riuscendo sempre però a tagliare il traguardo. Inoltre, all'arrivo, una folla in festa è sempre pronta ad accoglierla con fiori, doni, bande musicali e striscioni d'incoraggiamento. Il maschilismoimperante degli anni successivi non le permetterà di partecipare ad altre edizioni del Giro d'Italia, ma la Strada vincerà altre 36 gare contro atleti maschi, guadagnandosi l'ammirazione di campioni del ciclismo – tra cui Girardengo – e un posto nell'Olimpo degli atleti, dove non esistono discriminazioni di genere.