Gente d'Italia

Giorgia Meloni è ‘il’ presidente del Consiglio, e non ‘la’

Giorgia Meloni (Depositphotos)

È la scelta della nuova premier - quindi del nuovo primo ministro - per quanto riguarda la comunicazione istituzionale. Una scelta anticipata nei giorni scorsi, non senza qualche polemica, ma adesso ufficializzata dalla nota che Palazzo Chigi ha diffuso. "A tutti i ministeri", recita la circolare inviata dal nuovo segretario generale Carlo Deodato, "Per opportuna informazione si comunica che l'appellativo da utilizzare per il Presidente del Consiglio dei Ministri è: Il Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni". Questa è la formula che userà il neo premier nelle comunicazioni ufficiali e dovrà essere utilizzata anche da tutti i Ministeri. La circolare è nata dalla richiesta arrivata dal Senato e dalla Camera ai fini del resoconto stenografico. Hanno chiesto una risposta ufficiale. Del resto è la prima volta che c'è un presidente del Consiglio donna e questo tema in passato non si era mai posto. Palazzo Chigi, sia nei comunicati dei giorni scorsi sia sui suoi profili social, ha già utilizzato il maschile non marcato per riferirsi a Meloni, all'inizio non concordando aggettivi e participi, adesso concordando anche questi al maschile.

Il Presidente, peccato che sia donna.....

di Manginobrioches

Il presidente è andato dritto allo scopo e ha chiesto di essere chiamato "il presidente", come d'altronde si legge nei comunicati del suo ufficio. Peccato che sia donna, la prima donna a occupare quel posto al vertice del Paese. Peccato che "la presidente" sia una delle parole declinate al femminile nel modo più ormai pacifico e condiviso (assai prima e più di "ministra" o "assessora" o altri termini oggetto di battaglie alquanto recenti e non ancora concluse). Sottotesto: non ci frega nulla di queste questioni, non esistono nemmeno. Ovvero, c'è un incarico, un ruolo, lo abbiamo conquistato, non stiamo lì a spaccare il capello, a fare i radical chic (di sinistra, si capisce) o i nerd o (sublime paradosso) i grammarnazi.

Giorgia Meloni è diventata premier perché se lo è meritato, la questione femminile nemmeno si pone: tu merita, e quella si annullerà da sola. Il resto è fuffa, pensiamo alle bollette Giusto per chiarire che se, davvero, l'incarico a una donna è una conquista e obiettivamente una tappa storica, non dobbiamo dimenticarci che la donna in questione appartiene a uno schieramento ultraconservatore, antiprogressista e che ha un profondo dna maschilista che non intende assolutamente mettere in discussione. Ricordiamoci che quando, solo pochi mesi fa, il Senato ha respinto la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta, la destra ha motivato la sua opposizione proprio con questi argomenti: "non ci interessano le norme-manifesto ideologiche"; "l'evoluzione del linguaggio non si fa per legge o regolamento"; "le donne si difendono con il criterio del merito, con adeguati sostegni a chi le assume, con città sicure dove possono uscire da sole, con attenzione a donne e uomini che si occupano della famiglia", e tanti saluti (e qui si potrebbe pure obiettare che, tra l'altro, ad aprile proprio il partito della presidente Meloni aveva votato in Europa contro una direttiva per ridurre le disparità di retribuzione tra uomini e donne, quindi magari i conti nemmeno tornano su questi sostegni...).

Per fortuna è vero, l'evoluzione del linguaggio non si fa per legge, o per comunicato stampa, e almeno fino a qui – a usare "la presidente", appunto, per una presidente donna – quell'evoluzione ci ha portati ("portati", maschile sovraesteso secondo norma grammaticale in uso), quindi nessun presidente donna può chiedermi di chiamarla "il presidente" (e verosimilmente declinare tutto il resto al maschile: "Il presidente Giorgia Meloni è andato a ricevere il presidente Macron e si è complimentato". Il che risulta, assieme, contro la grammatica e contro il senso comune). Anche perché questo, invece, sarebbe un enorme passo indietro, proprio quando il linguaggio sta sperimentando (che vuol dire inventando, dibattendo, cercando soluzioni, interrogandosi) una inclusività che prima era impensabile. E se questo momento così magmatico è di obiettivo fermento, di accesa discussione, vuol dire che qualcosa è accaduto, qualcosa sta accadendo, qualcosa accadrà. E non è estranea a questo nemmeno la nomina della presidente Meloni, che certo dipende da oggettivi e indiscutibili suoi meriti, ma non si sarebbe mai verificata se a monte non ci fossero anni e anni di lotte, anche linguistiche, per fare spazio al femminile e alle donne (pensate, persino alle donne senza merito, uguali a milioni di uomini senza merito...). L'impianto della nostra lingua è maschilista, come tutta la nostra società fino a pochissimo tempo fa (e tuttora, in tantissime aree e zone grigie), la lingua ne è sempre stata fedele specchio.

Ora è cambiata, sta cambiando. Non porsi il problema è legittimo, ma non farlo per non concedere nulla "all'ideologia" è francamente un po' comico. Non porsi il problema, zittirlo e ignorarlo quando si ha un'enorme responsabilità di governo, di esempio, di direzione del Paese è davvero discutibile, e sembra, curiosamente, andare nella direzione opposta a quella della grande conquista che è stata fatta. Come affermarla coi fatti ma negarla con le parole: la parità non è sparire nell'indistinto, ignorare il genere, la parità è marcare la differenza, sostenerla. Le bambine di oggi – parlo di quelle del mio cerchio di affetti, Clementina, Luna, Francesca, Elisabetta, Carlotta, che posso osservare, ma vale per tutte – stanno trovando un ambiente linguistico assai più ampio e inclusivo di quello che ho trovato io, con cui ho combattuto io, e se sono le parole a costruire il mondo, il loro è già per questo migliore di quello che avevo trovato io. Non è vero che non c'è differenza, la differenza abbiamo bisogno di poterla anzitutto riconoscere e nominare. La differenza la dobbiamo tutelare: io non voglio essere il presidente, ambisco a essere la presidente. Non esiste un ruolo asettico, incidentalmente maschile, e indifferente al genere di chi lo occupa. C'è un mondo di differenza. Per le future presidenti Clementina, Luna, Francesca, Elisabetta, Carlotta, e per tutti gli altri, in un mondo più corretto, più grande.

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