Foto di repertorio (Depositphotos)

di Franco Manzitti

Eravamo appesi ogni giorno a quell'appuntamento pomeridiano che annunciava i numeri del Covid. Nei mesi durissimi del lock down era come aspettare una sentenza che ci riguardava sempre più da vicino. Il numero dei contagiati, la curva dei ricoveri ordinari, la curva delle terapie intensive e infine quel numero agghiacciante dei morti che saliva, saliva.  Per molti mesi c'era la conferenza stampa che sembrava una specie di rito (funebre). Il capo della Protezione Civile, sobrio non rassicurante, che dirigeva lo speach e quando diceva, per ultimo, il numero dei morti aggiungeva un avverbio, tutte le volte: "purtroppo" anche oggi ci sono......vittime. 

Poi parlavano gli esperti, una volta per uno e ci aggrappavamo a quelle parole per scovare uno spiraglio di speranza in giornate lunghe, pesanti, chiusi in casa, unica libertà il giro del palazzo, il cane da portare fuori se ce lo avevi. Il supermercato con le file fuori, le farmacie uniche aperte. 

Poi i Tg non solo il nostro, tutti quelli di tutto il mondo. Una notte tra lo sfinimento e la paura passai in rassegna tutti i tg del mondo, perfino quelli cinesi, arabi, australiani, in ogni lingua del pianeta. La pandemia era l'unica notizia ovunque. 

Faceva mancare il respiro. Sentivi un'oppressione sempre più forte, ogni giorno barricato in casa con quell'appuntamento delle 18, preceduto se volevi da quello della Regione Lombardia dove c'era l'epicentro interplanetario della pandemia e già da quei numeri capivi come andava. 

Andava sempre peggio per marzo, per aprile. Aspettavi che arrivassimo al "plateau", così dicevano gli esperti, il plateau della pandemia, dopo il quale doveva incominciare la discesa.

Quanto era lungo quel plateau, con i casi fermi o in salita, i ricoveri sempre in salita che si giustificavano spiegando che "per forza": sono l'effetto dei casi di quindici giorni fa.

Poi a maggio è incominciata la discesa, lenta, ma costante. Sempre annunciata alle 18 e abbiamo incominciato a respirare. Era il maggio 2020, appena sfiorata la fine del mondo. 

Piano, piano siamo usciti, abbiamo trovato le mascherine che prime erano un genere sconosciuto. Chirurgiche o FP2 o FP3.  Ma l'appuntamento continuava alle 18, facce più distese, spiegazioni quasi trionfanti, il presidente del Consiglio Conte che compariva meno di notte a annunciare catastrofi, il ministro della Salute Speranza un po' meno invitato  nei talk show, dove l'ossessione Covid raggiungeva il diapason con quella sua faccia un po' patibolare, la barba semilunga, lo stile finto rassicurante, le raccomandazioni accorate.

E questo è stato il clou, poi sono incominciate le ondate mentre arrivava la prima notizia del vaccino, l'annuncio della Grande Liberazione, la riscossa dell'Umanità, i tempi stretti, l'annuncio che già prima della fine dell'anno si incominciava  a inoculare, verbo diventato il passe partout della speranza. 

Ma c'erano sempre i numeri delle 18, i grafici e il Natale più brutto della nostra generazione di scampati a guerre, sciagure globali, fruitori del più lungo periodo di pace dell'Umanità alle nostre latitudini.

Ma l'incubo Covid continuava più strisciante per tutto il 2021, con le ondate invernali, i picchi di nuovo in salita, malgrado i vaccini. Era come una compagnia meno pesante, ma costante, marchiata dalla mascherina, dallo smart working, dai bambini e ragazzi tornati a scuola, ma a singhiozzo, da un nuovo modo di affrontare non solo il morbo e la paura. 

Poi sono arrivati i no vax, la polemica dura, spesso incomprensibile dopo quelle restrizioni infinite. Quel numero delle vittime non ci lasciava, sempre alto, seppure non come durante la prima ondata. 

Prima, seconda, terza, quarta vaccinazione, per qualcuno già la quinta, emendizzazione del Covid 19, varianti di tutti i tipi. La pandemia è scivolata così per tutto il 2021 e per questo pezzo quasi finito del 2022. 

Virologi sempre più assenti e comunque polemici quando li consultano, ogni tanto un annuncio tragico, ma la vita va avanti, la pandemia è strisciata via dai nostri incubi, anche se ogni tanto apprendi che un amico è morto, anche se conosci chi da allora è barricato in casa e non esce più terrorizzato. 

E infine quel bollettino quotidiano, che ritmava le giornate e la paura, è scomparso, diventando settimanale che è come se non ci fosse. Puff, volato via il problema. 

Il mondo ha altre paure, nuove ansie. Ogni tanto qualche allarme rispunta, come una spia rossa che si riaccende, l'ammonimento di qualche scienziato, la notizia di un amico, colpito ancora dal virus dopo la quarta dose, che non ce l'ha fatta......Ma la coscienza collettiva oramai è distratta.

 Cosa doveva succedere dopo e durante la pandemia che terrorizzava il mondo intero?

Da febbraio siamo tornati a  vivere l'incubo della guerra: la Russia che invade l'Ucraina davvero. 

Immagini e notizie incredibili per quella stessa generazione dei boomer, quella precedente e quelle successive. La guerra nel cuore dell'Europa a due passi dall'Italia, due ore di volo, tre e mezzo di automobile. 

Per giorni e giorni siamo rimasti incollati davanti alle scene dei carri armati, dei bombardamenti delle macerie, delle fughe di cittadini ucraini inermi, delle code alle frontiere, davanti ai reportages di giornali e tv che lanciavano i propri inviati in zone di guerra.  Non a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, non in Vietnam, in Afghanistan, in Siria, ma lì, a due passi.

Poi i giorni sono diventati mesi e l'incubo si è allargato fino a far pensare che potesse coinvolgerci tutti in un delirio generale, mentre la geografia cui eravamo abituati si è come capovolta, disegnando nuovi equilibri politici mondiali, che inevitabilmente schiacciavano la nostra Europa, balbettante. 

Eppure eravamo in guerra anche noi, fornitori di armi, di mezzi e strutture che aiutassero il popolo invaso, diventato eroico con quel presidente -attore sempre collegato nella sua divisa da soldato. 

Poi è spuntato anche l'incubo nucleare, con il calcolo terrificante dei potenziali  danni di una bomba cento volte più grande di quella di Hiroshima o Nagasaki, l'immagine sconvolgente che ha segnato   le nostre infanzie come un monito sulla guerra che non può più esistere.

Invece esisteva eccome alle porte di casa e proponeva violenze intollerabili e morte e distruzione quotidiana. Mai nessuna generazione prima delle nostre aveva assistito a una guerra metro per metro come è accaduto a noi tra il febbraio scorso e oggi, le città distrutte e svuotate, le mamme con i bambini in braccio in fuga, il racconto in diretta dai rifugi , l'esodo continuo. E anche l'arrivo dei profughi nelle nostre città, la solidarietà, la pena , i soccorsi. Tutto martellante, insistente, coinvolgente.

Ma anche questo incubo piano piano, a partire dall'estate 2022, ha incominciato un po' a rallentare nella pressione sulle nostre vite. Assuefazione? Non solo, ma anche una comunicazione che, come aveva frenato sul Covid, ha incominciato a farlo anche con la guerra. 

Come se i generali e i ministri russi, decifrati fino alle virgole nelle loro minacce, fossero diventati meno spaventevoli, come se la guerra si fosse allontanata anche fisicamente dal nostro territorio. Non era così, ma la guerra era cambiata e noi anche.

Da quando si è incominciato a capire che l'Ucraina stava vincendo la sua battaglia sul terreno, che non solo tanti generali russi venivano colpiti a morte, ma che le avanzate diventavano delle ritirate, quel senso di angoscia che per tante notti dell'inverno scorso ci aveva attanagliato ha incominciato a attutirsi.

E così come il Covid, la pandemia, anche il conflitto ha incominciato a sfuocare dalle nostre paure.

Qui era diventato più importante la ignobile campagna elettorale dell'estate, la terza estate con il Covid oramai strisciante, la prima con i fuochi della guerra all'orizzonte. E poi la novità di un governo italiano di destra-destra, di Giorgia Meloni, "sono Giorgia, sono italiana, sono una donna", ha sganciato completamente o quasi l'attenzione dalle due emergenze che hanno ritmato la nostra vita oramai per anni, modificando molto nei nostri equilibri di cittadini del Terzo Millennio. 

Oggi è come se il Covid fosse sparito, affondato dalle prime decisioni del nuovo governo e la guerra ridotta di potenza spaventevole dal fatto che la nuova politica estera, malgrado i proclami, sembra diversa da quella precedente. 

Siamo in un modo larvato e anche inconfessabile più putiniani di prima? Bisognerebbe chiederlo a leader come Salvini e Berlusconi, protagonisti diversi tra loro del potere cavalcante oggi. Ma sicuramente il clima è cambiato.

Andiamo a dormire con l'incubo della bolletta triplicata, non più con l'immagine di chi muore in rianimazione con una maschera di ossigeno insufficiente o dei carri armati che sparano cannonate sugli asili pieni di bambini inermi. Eppure il Covid striscia ancora e Putin, con il suo arsenale atomico e non innescato, è incontrollabile come prima.