di Giulia Berardelli

È toccato ancora una volta al generale Mark Milley, il militare più alto in grado degli Stati Uniti, il compito di esplicitare quello che appare come un orientamento abbastanza chiaro nell’amministrazione Biden: mentre si continua ad aiutare gli ucraini nella loro guerra difensiva, è opportuno individuare un percorso per “avviare una soluzione politica” in Ucraina. E l’obiettivo di riconquistare militarmente la Crimea, annessa illegalmente dalla Russia nel 2014, è qualcosa che allontana questa finestra temporale, spostandola forse troppo in là a fronte di elevati rischi di escalation e altrettanto elevati costi della guerra. Per quanto ufficialmente Washington ripeta che è Kiev e soltanto Kiev a dover decidere i termini di un’eventuale proposta negoziale, negli ultimi giorni e settimane – dopo la vittoria di Kherson – si sono moltiplicati i segnali di una spinta americana a sfruttare la stagione invernale – dove ci si aspetta un rallentamento dei combattimenti – per provare a gettare le basi per un cessate il fuoco.

Così, per la seconda volta nell’arco di una settimana, il generale Milley, capo degli Stati maggiori riuniti, è tornato a suggerire l’opportunità di cogliere “una finestra” per “l'inizio di colloqui per avviare una soluzione politica” in Ucraina. Durante una conferenza stampa al Pentagono, ha definito “militarmente non alta”, in tempi brevi, la probabilità di una piena vittoria militare ucraina, indicata come “l'espulsione dei russi da tutta l'Ucraina per includere quella che loro rivendicano come la Crimea”. Nella stessa conferenza stampa ha anche sottolineato il costante “fallimento” dei russi in tutti i loro obiettivi: “hanno perso strategicamente, hanno perso operativamente, hanno perso tatticamente. La riformulazione strategica dei loro obiettivi, dell'invasione illegale, è fallita, ogni volta". Ciò detto, il massimo generale Usa ha indicato che – se davvero l’inverno porterà a “un rallentamento nell'effettivo combattimento tattico” - potrebbe esserci “una finestra se non per una soluzione politica, almeno per l’inizio di colloqui per avviare una soluzione politica”. Il presidente Biden “e lo stesso presidente Zelensky” - ha sottolineato Milley – “hanno detto che alla fine ci sarà una soluzione politica”.

Dopo nove mesi di guerra, il rapporto tra l’Ucraina e gli Stati Uniti continua a essere strettissimo, come dimostrano le cifre record stanziate da Washington per la guerra in Ucraina: a marzo 13,6 miliardi di dollari, a maggio altri 40 miliardi, fino ai 37,7 miliardi richiesti da Biden a novembre. “Quei 91,3 miliardi di dollari sono il 33% in più della spesa militare totale della Russia per l'anno in corso”, fa notare il giornalista e fondatore di The Intercept Glenn Greenwald: “il doppio della spesa annuale media degli Stati Uniti per la propria guerra in Afghanistan”. Si capisce come gli Stati Uniti sentano di avere – e di fatto abbiano – voce in capitolo su quali siano delle “richieste realistiche” o meno da portare a un futuro tavolo delle trattative. Secondo il Wall Street Journal, durante la sua ultima visita a Kiev il consigliere per la Sicurezza Usa Jake Sullivan avrebbe esplicitamente invitato Zelensky a fare questo esercizio di realtà in vista di un eventuale negoziato. È una leva, quella di Washington su Kiev, che appare evidente anche a Mosca, che chiaramente la distorce a uso e consumo della propria propaganda. Washington "è in grado di esercitare un'influenza su Kiev, rendendola più flessibile, se lo desidera", ha sibilato oggi il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, dopo aver avuto l’ardire di dire che se gli ucraini sono senza elettricità è per la mancata volontà di Kiev di negoziare con Mosca.

Dietro al solito gioco delle parti, tuttavia, c’è una sostanza diversa: il desiderio del grandi del mondo – Joe Biden come Xi Jinping – di intravedere un endgame della guerra o almeno un suo congelamento. Per scongiurare il rischio di pericolose escalation come quella che sarebbe potuta originare da uno sconfinamento della guerra in Polonia. "L’uscita del generale Milley sembrerebbe collocarsi in un'attitudine dell'amministrazione americana nel suo complesso in base alla quale potrebbe essere giunto il momento di promuovere un cessate il fuoco”, commenta  il generale Leonardo Tricarico, già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare. “Questa lettura è plausibile soprattutto se consideriamo che Zelensky ha mostrato più volte la propensione a sottrarsi a una guida e a un indirizzo fuori dal suo ambito nazionale, suggerendo - forse - una scarsa flessibilità a declinare in maniera più precisa e più dettagliata quella che è la sua idea di andare fino in fondo. Richieste perentorie, purtroppo, non possono essere la soluzione al problema: serve una soluzione più creativa. L'ipotesi è che il concetto espresso dal generale Milley (ribadito ben due volte nel corso dell'ultima settimana, ndr), assieme a pareri analoghi emersi di recente negli Usa, sia un modo per gettare acqua sugli spiriti ormai troppo bollenti di Zelensky. La dichiarazione di Milley, in altre parole, potrebbe avere la funzione strumentale di assecondare una nuova probabile linea emergente degli Usa volta a individuare una conclusione o quanto meno un congelamento di questo scenario bellico".

Secondo il generale Domenico Rossi, già sottocapo di stato maggiore dell’Esercito e sottosegretario alla Difesa, “si può ipotizzare, tenendo conto dell'arrivo dell'inverno, una stabilizzazione della linea di confine. Tanto più che ci troviamo in una situazione in cui nessuno dei due contendenti ha la forza di poter andare avanti conquistando o riconquistando territori. Queste condizioni - argomenta il generale - aprono la finestra di cui parla Milley. Tutti sappiamo che le comunicazioni sotterranee tra Washington, Kiev e Mosca, ma anche con la Cina, in verità non si sono mai interrotte. Questa finestra offre l'opportunità di ragionare più apertamente su un'analisi politica della situazione dei territori contesi prima dell'invasione del 24 febbraio".

Il documento finale del G20, firmato anche dalla Cina, contiene una condanna all'aggressione della Russia. "Nel momento in cui il G20 si esprime in una certa maniera, e contestualmente c'è un'apertura così importante da parte di Washington, ecco che abbiamo le condizioni essenziali per un tavolo negoziale”, sostiene Rossi, convinto che “gli ucraini e i russi non si siederanno mai a un tavolo negoziale, fermo restando che ognuno tratterà poi le condizioni. Credo però che la spinta per creare quel tavolo negoziale non possa che venire dagli Stati Uniti e dalla Cina. Gli Stati Uniti mi sembra abbiano fatto un'apertura, anche attraverso Milley, che metterei in relazione con la prudenza americana sui missili caduti in terra polacca. Tenendo conto della posizione cinese, penso che il tavolo negoziale sia, in questo momento, se non altro una possibile via d'uscita per due contendenti che non hanno la forza di raggiungere i loro obiettivi massimalisti (che per gli ucraini sono quelli di respingere la Russia oltre i confini del 2014). Gli ucraini sanno che la loro capacità di resistenza dipende dal sostegno occidentale e soprattutto statunitense: sono consapevoli di doversi confrontare con la possibilità che questi aiuti non siano illimitati e possano anche diminuire. Dietro alle esternazioni politiche di forza, sono in corso valutazioni molto serie".

È la questione della Crimea, in particolare, a rappresentare una sorta di linea rossa tra una guerra difensiva (in risposta all’aggressione del 24 febbraio) e qualcosa di più grande (e quindi anche di più pericoloso). Nella notte sono state registrate delle esplosioni a Dzhankoy, in Crimea. Secondo Ukrinform, potrebbe essersi trattato di un attacco contro un aeroporto militare russo nei pressi di Dzhankoy. I media russi parlano invece di un attacco con un drone alla sottostazione elettrica di Kafa. L'esercito di Kiev, per ora, non ha commentato pubblicamente.

Dopo le tensioni delle ultime ore per la vicenda dei missili caduti in territorio polacco - con Zelensky che continua a esprimere dubbi sulla conclusione della Nato e a chiedere la partecipazione di Kiev a un’indagine sull’accaduto – oggi si sono sentiti al telefono il segretario di Stato americano Antony Blinken e il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. “Condividiamo l'opinione che la Russia abbia la piena responsabilità del suo terrorismo missilistico e delle sue conseguenze sul territorio di Ucraina, Polonia e Moldavia", ha scritto quest’ultimo su Twitter. "Ho ringraziato gli Stati Uniti per la loro fondamentale assistenza alla difesa e ho sottolineato che le consegne di sistemi di difesa aerea all'Ucraina devono essere accelerate. I Nasams hanno già dimostrato la loro efficienza. Sono anche convinto che sia giunto il momento dei 'Patriot'", ha aggiunto Kuleba.

Quella che sembra una richiesta perentoria è in realtà la semplice constatazione di un bisogno. I Patriot – sottolinea Tricarico - sono "l'unico tipo di armamento sul quale non ci deve essere discussione perché sono armi prettamente difensive: qualunque cosa l'Ucraina chieda per difendersi, bisogna dargliela. Forse va dato anche qualcosa di meglio dei Patriot, che sono armi efficienti ma ce ne sono anche altre".

“Quando gli ucraini hanno colpito il ponte di Kerch era logico pensare a un cambio di strategia russa, tenuto conto che il fronte era più o meno fermo e non avevano la capacità di andare oltre con l'offensiva”, osserva il generale Rossi. “Questa valutazione strategica ha portato la Russia a colpire con tutto il volume di fuoco possibile i due punti di forza degli ucraini: la volontà della popolazione a resistere e tutto ciò che può essere di supporto allo sforzo bellico. È chiaro che per contrastare questo volume di fuoco missilistico agli ucraini servono dei sistemi di difesa contraerea. Che siano i Patriot o altri sistemi, è evidente che questa esigenza esiste. Nel momento in cui si sta parlando di sistemi di difesa contraerea, credo sia doveroso darli". È anche per questo che, alla fine, è negli interessi di Kiev tenere a bada qualsiasi incomprensione o attrito con Washington e gli alleati. Cosa che nelle ultime ore non sta riuscendo per niente bene al governo ucraino. “Gli ucraini stanno distruggendo la [nostra] fiducia in loro. Nessuno sta incolpando l'Ucraina e stanno apertamente mentendo. Questo è più distruttivo del missile”, ha detto un diplomatico occidentale a Kiev al Financial Times, commentando la posizione di Kiev sullo “sfortunato incidente”. Come si vede, il margine di manovra degli ucraini è nei fatti molto più limitato di quanto sia Washington che Kiev siano disposte ad ammettere.