Gente d'Italia

E c’e anche il business dei finti matrimoni con extracomunitari

 

 

 L'OSSERVATORIO ITALIANO

di Anonimo Napoletano

 

 

 

Nella malavita di Napoli Est, colpita nei giorni scorsi da un blitz delle forze dell'ordine che ha portato a 63 arresti, oltre al business delle case popolari  occupate e rivendute a chi non ne ha diritto, da diversi anni i clan di camorra hanno messo in piedi un altro giro d'affari inconsueto e redditizio: il mercato di finti matrimoni per far ottenere la cittadinanza italiana a immigrati extracomunitari. In cambio, ovviamente, di una cospicua tangente. Anche in questo tipo di business, come per quello degli alloggi popolari, sono le donne a fare da protagoniste. S

econdo il pentito Tommaso Schisa, sarebbe stata proprio una sua zia, Maria Piscopo, detta “Maria 'a nera”, oggi deceduta, a inventare lo stratagemma e a concludere i primi affari “matrimoniali”, nei primi anni del nuovo secolo. La tecnica si è poi affinata nel tempo e il passa parola ha fatto il resto. Oggi, sempre secondo le accuse del pentito Schisa, sono tre donne a coordinare il giro d'affari a Napoli Est: Luisa De Stefano, Vincenza Maione e Gabriella Onesto, soprannominate le “pazzignane”. 

Vincenza Maione

Il meccanismo è abbastanza semplice. L'extracomunitario che vorrebbe ottenere la cittadinanza si rivolge al clan, le donne procacciano la sposa o lo sposo consenziente e, naturalmente, libero da legami. L'immigrato versa diecimila euro alla cosca, ma solo una piccola parte va al coniuge italiano, la fetta più grossa resta nelle casse del clan. Si preparano i documenti e si celebra il matrimonio civile in Comune. Terminato il rito i due novelli “sposi”, che in realtà fino al giorno prima nemmeno si conoscevano, vanno ognuno per la propria strada. Dopo due anni di matrimonio, se residente in Italia (tre anni se risiede all'estero) l'extracomunitario può fare domanda per ottenere la cittadinanza e, una volta portato a casa il passaporto italiano, la finta coppia divorzia.

Sempre secondo il racconto del collaboratore di giustizia Tommaso Schisa, alcune volte il clan non si accontenta dell'unica tranche di pagamento. In caso di bisogno, infatti, gli emissari tornano a bussare alla porta dell'extracomunitario di turno e chiedono ulteriori pagamenti, questa volta di piccole somme, minacciando in caso di “insolvenza” una richiesta di divorzio da parte della finta sposa prima che sia concluso il periodo di tempo necessario per legge per ottenere la cittadinanza.

Le accuse del pentito Schisa sono state finora ritenute sufficientemente credibili da procura antimafia e gip che ha emesso l'ordinanza di custodia cautelare, ma le persone accusate sono sempre innocenti fino ad eventuale condanna definitiva, e le dichiarazioni del collaboratore di giustizia devono ora passare il vaglio del tribunale del Riesame e dei giudici di merito.

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