Giorgia Meloni (Depositphotos)

di Lucio Fero

Occorre stare ai fatti: la Legge di Bilancio 2023 è congrua alla realtà. Occorre riconoscere a Giorgia Meloni premier prudenza e calibro nell'impostare e scrivere un Bilancio di Stato così e poi farlo diventare legge. La Legge di Bilancio 2023 non alza il deficit pubblico secondo volontà e misure "nazional-popolari". Tiene il Bilancio pubblico italiano dentro le compatibilità europee, consente alla Ue, ai mercati e alla Bce varie forme di assistenza e accompagnamento al nostro sistema socio economico. Occorre stare ai fatti: la Legge di Bilancio di Meloni premier non è, come pure era possibile dato il personale e le istanze politiche fattesi governo tramite elezioni, una legge sfascia conti e arraffa a debito.

Nella Legge di Bilancio Meloni leader della Destra ha fiscalmente favorito i "suoi" elettori e cioè i lavoratori autonomi e ha simmetricamente punito i lavoratori dipendenti. Da leader della Destra ha incartato la legge i carta/confezione non priva di brand ideologici: i 5000 euro invece di 1000 come pagamento i contanti consentito, la faccia (alla fine solo la faccia) cattiva al Pos. Infine a margine della Legge Bilancio la stessa ideologica postura verso il Mes (meccanismo europeo salva Stati), il "non lo prenderemo mai" perché sarebbe un laccio al collo, ma l'Italia lo ratificherà perché ratificarlo non significa prenderlo e ratificarlo evita di fare la figura in Ue di quelli che fanno ostruzionismo a prescindere. Realismo, misura, ceti sociali chi proprio figli e chi figliastri, spruzzata ma non farcita di ideologia di Destra, tenuta asciutta dal possibile bagno-immersione nell'ecosovranista populismo finanziario. Meloni premier con la sua Legge Bilancio non sfascia nulla, tiene a galla e scusate se è poco.

Ragionier Meloni infila invece in Legge Bilancio una collana di vorrei ma non posso. Le multe, i due miliardi di multe da azzerare perché poi alla fine tanto nessuno le paga? E come si fa, I Comuni quegli incassi impossibili li hanno messi in Bilancio, se togli ai Comuni quelle poste finanziarie sia pur finte tocca dare ai Comuni due miliardi. E dove le trova due miliardi ragionier Meloni? Le multe restano lì dove erano. E App 18, i 500 euro a tutti i diciottenni che giustamente Meloni voleva far diventare 1000 euro ma solo ai diciottenni non abbienti e con ottimi voti a scuola, adesso non si può.

Anche per il 2023 500 euro a tutti, dal 2024 se ne riparla. Macchia lenta quella della Pubblica Amministrazione e della legislazione concorrente e convergente, non le puoi mica chiedere di fare i un mese, ci vuole almeno un anno a ti fanno u favore a sbrigarsi così tanto. E lo smart working per i fragili e solo per loro? Facile a dirsi, anzi neanche quello: e chi sono i fragili? E se un prof i cattedra risulta fragile come si fa a sostituirlo nella messa in cattedra? Ripassare dopo ulteriori tavoli di consultazione, compensazione...

E l'ottima, ovvia, sacrosanta intenzione di legare il permanere dell'assegno di Reddito Cittadinanza all'accettazione di una offerta di lavoro? Il Reddito Cittadinanza così com'era diceva che il percettore poteva rifiutare offerta lavoro se non la giudicava "congrua". Rifiutare il lavoro e mantenere l'assegno. Congruo voleva dire non oltre gli 80 chilometri dalle residenza e anche non diversa da aspettative e inclinazioni. Il primo requisito era sacrosanto, doveroso e realistico. Gli altri servivano a legittimare, mascherare la scelta eventuale di preferire il Reddito ad ogni offerta di lavoro. Nella Legge di Bilancio il "congruo" doveva sparire e quindi se rifiuti lavoro stop assegno. E il congruo è sparito, dall'articolo x. Ma poiché l'articolo x (come da orrenda prassi nelle leggi italiane) rimanda all'articolo y e nell'articolo y il congruo rimane...Congruo c'è e non c'è.

Gran discutere di stampa e di talk su quanto detto da un ministro: niente meno che se un percettore di Reddito di cittadinanza, magari laureato, riceve offerta di lavoro da cameriere, quella offerta libero di rifiutarla ma allora perde l'assegno. A qualcuno è sembrato blasfemo e offensivo. E già intristisce vedere questa accorata difesa del diritto (naturale e inalienabile?) al sussidio di Stato. Ancor più avvilisce il raffronto tra la realtà e la rappresentazione: nessuno offrirà mai quel lavoro di barista al suddetto laureato.

Non nel Sud dove ogni occupazione, anche quelle precarie, viaggiano per vie parentali e dove centri per l'impiego e cose varie del genere non trovano un posto di lavoro a nessuno mai. E neanche nel resto d'Italia dove Comuni e Regioni fanno la guerra alle iniziative private per raccordare offerta e domanda di lavoro, fanno loro la guerra perché vogliono mantenere la competenza e soprattutto il monopolio e i finanziamenti della formazione lavoro e dintorni. La parabola del laureato e del cameriere narra soprattutto della impredicabilità (non si può neanche predicare, figurarsi praticare) di un welfare connesso con sviluppo. Il welfare è nella coscienza e cultura pubbliche assistenza e sussidio e tale resta.