Immigrazione e morte. La spiaggia di Crotone. Sembrano tratte da un film di guerra di Spielberg le immagini della spiaggia di Cutro. Come a Omaha beach, resti di barche, morti in mare, affogati a pochi metri dalla riva.

Un’immagine devastante sulla sabbia di una civiltà, quella Europea, quella italiana, indefinibile come civile. “C’era troppo mare, le condizioni meteo non ci hanno consentito il salvataggio” il freddo comunicato delle autorità militari impegnate su quel braccio di mare.
Quando poi vediamo i film americani con Kevin Kostner, sulla guardia costiera che si lancia in mari in tempesta, ci sentiamo italietta.  Una rotta senza Ong, ma senza altri mezzi di salvataggio o monitoraggio, dove aumentano progressivamente da mesi gli sbarchi. “Non dovevano partire” la semplice idea per un problema complesso che promana dal Viminale. Sa tutto di banalità e mediocrità questa frase.
Di uomini senza qualità, di burocrazia senza visione e sentimento politico. Come la politica militare non si può lasciarla fare ai generali, così gli Interni, uno dei ministeri più politici, non si possono delegare a funzionari. È la morte della politica una scelta del genere. Vi immaginate Andreotti o Spadolini dire una banalità del genere?  La verità è che i flussi della immigrazione non smettono a seconda del funzionario che ci metti.
Il flusso è inarrestabile in queste condizioni, non è un problema di scafisti o ONG, è un problema di guerre, carestie, cambiamenti climatici e disastri naturali. Come l’acqua trova sempre nuovi canali di scolo ed entrata, in un mediterraneo ferito da faglie geologiche e terremoti politici.
Pensare di arginare il mare con uno scoglio va bene per Battisti, non per statisti. Ma qui di statisti non si vede che l’ombra di nani nella notte. Una notte di morti, di bambini annegati per scappare ad altre morti ed altri annegamenti: è la tragedia della immigrazione disperata. Quando la tua casa è distrutta da cannoni o cataclismi, quando la tua etnia è perseguitata, quando la tua terra è bruciata dalla siccità, quando la tua fame ha scavato i solchi nel tuo intestino, prova a pensare che non dovevi partire.
O parti o muori dove sei. È un calcolo di probabilità, e con il fatalismo, orientale o africano, la morte è un destino probabile contro uno quasi certo. Fa sconcerto, sconforto, ed anche ribrezzo per noi stessi quella spiaggia di lenzuoli bianchi. Il tutto si tradurrà in calcoli prefettizi di morti e dispersi, di sopravvissuto carico, questo si residuo, rispetto a quello funebre.
Crotone ci riporta ad altre guerre, a tragedie antiche, a coefore che piangono i defunti. Ma nel tempo odierno le lacrime sono sostituite dai selfie e dai tweet. La cultura greca a cui Crotone è ascritta aveva sia il senso del fato che quella della morte. Quella di oggi ha solo il senso della banalità dell’impotenza.