DI MATTEO FORCINITI

A un anno dal suo inizio, ognuno di noi si è fatto un'idea sulla guerra in Ucraina che si trascina amaramente senza trovare ancora una possibile via di pace. Al di là delle complesse motivazioni di un conflitto su cui non entriamo nel merito, sorprende vedere l'improvviso attivismo dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo che ha scelto di entrare nel tema prendendo posizione per una delle due parti seguendo, logicamente, la linea politica del governo italiano che è molto chiara al riguardo nonostante alcune voci critiche interne. 

"Ucrania: en las raíces de la guerra" è il nome dell'evento che si svolgerà nei prossimi giorni a Montevideo e che vedrà la partecipazione del giornalista esperto del tema Giovanni Catelli che presenterà il suo libro dialogando con il giornalista uruguaiano Sergio Israel. Al dibattito seguirà la presentazione del documentario "Kordon" della regista Alice Tomassini sulle volontarie ucraine al confine con l'Ungheria. 

Tralasciamo le ragioni di questa tragedia, evitiamo di entrare in ragionamenti geopolitici complessi e concentriamoci invece sulla realtà locale, sul nostro Uruguay con una semplicissima domanda: eventi del genere servono per promuovere la cultura italiana oppure la politica estera promossa da un governo? E poi soprattutto, che interesse c'è in Uruguay per il conflitto tra Ucraina e Russia?

Molto diversa è infatti la percezione e la sensibilità di questa guerra tra Italia e Uruguay, tra Europa e Sud America. Nel primo caso c'è un coinvolgimento quasi diretto con l'invio di armi a favore degli ucraini accompagnata anche da una copertura mediatica costante e un dibattito profondo, nel secondo caso invece esiste prevalentemente una linea neutrale a favore della pace e anche un certo distacco vista la distanza. Lo stesso governo uruguaiano, per esempio, si è pronunciato contrario all'invasione russa condannandola ma ha evitato di imporre sanzioni alla Russia per ragioni economiche e commerciali sì ma anche per quel pizzico di lucidità necessaria per cercare di evitare la terza guerra mondiale come qualcuno vorrebbe. Come abbiamo già raccontato, la guerra in Uruguay delle conseguenze significative in Uruguay le ha già avute sull'inflazione con l'aumento dei prezzi, tra cui il grano, la benzina oppure i fertilizzanti che ha rappresentato un duro colpo sulla ripresa di un'economia post Covid che era già di per sé compromessa. Eppure, nonostante un aumento dei prezzi che è diventato l'abitudine, la tematica del conflitto qui non sembra essere molto sentita dall'opinione pubblica: secondo un sondaggio realizzato lo scorso maggio dall'istituto Equipos Consultores, la metà degli uruguaiani pensa che la guerra avrà conseguenze scarse o nulle per il proprio paese. Per quanto riguarda le conseguenze a livello familiare o personale, più dei due terzi degli intervistati (il 66%) ha dichiarato di non percepire alcun effetto diretto.

Ben vengano i dibatti e i confronti tra i idee diverse ma qui sorge una riflessione sul ruolo degli istituti italiani nel mondo: servono a promuovere la cultura italiana oppure a giustificare le scelte di un governo che invia armi in un conflitto che speriamo possa finire al più presto?