La vicenda del giornale diretto da Mimmo Porpiglia, "La Gente d'Italia", sta assumendo sempre più contorni kafkiani. Di fatto, a parere del Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio, il giornale non ha più i requisiti richiesti dalla legge per accedere ai contributi (dopo 22 anni in cui li ha regolarmente percepiti) a causa dei pareri negativi dell'Ambasciatore in Uruguay e del Comites locale. In pratica, ad avviso dell'autorità consolare e dell'organo rappresentativo degli italiani nel Paese, il giornale non avrebbe nessuna utilità per la comunità locale. Un'affermazione del genere rientrerebbe, chiaramente, nell'ambito di un legittimo parere, di un'opinione personale, condivisibile o meno, che è più o meno quanto genericamente indicato dalla legge. Ma dalla lettura di questi pareri emergono ulteriori considerazioni, il riferimento diretto appare essere piuttosto la linea editoriale del giornale, come se una legge potesse attribuire a dei soggetti un giudizio di valore su un organo di informazione. 

Il sistema di sostegno pubblico all'editoria si basa, invece, sul presupposto opposto, ossia sull'osservanza delle prescrizioni di una legge, i requisiti oggettivi e soggettivi prevalgono su qualsiasi arbitraria valutazione dei contenuti. La logica sta nella stessa funzione della libertà di stampa, basta immaginare l'ipotesi in cui un Governo di destra possa giudicare sotto il profilo valoriale un giornale di sinistra, o viceversa. E vale per ogni ambito della generale attività d'informazione, in cui un qualsiasi collegamento tra condivisione dei contenuti e finanziamento pubblico, diretto o indiretto, lederebbe alla base il principio di autonomia editoriale e libertà di stampa. 

Un giornale soggetto alla valutazione di un membro delle istituzioni non avrebbe alcuna possibilità di essere libero. Dovrebbe soggiacere alle imposizioni dell'istituzioni, non potrebbe portare posizioni contrarie, non potrebbe fare inchieste, non potrebbe fare, insomma, informazione libera. La storia non è nuova. Basti pensare che ai tempi del regime fascista, quando il finanziamento pubblico avveniva esclusivamente sulla base di valutazioni arbitrarie, l'ambasciatore d'Italia a Bruxelles, Vannutelli Rey, scriveva peste e corna al ministero degli Esteri contro l'agenzia di stampa Stefani, chiedendo la revoca dei finanziamenti pubblici e il licenziamento di un giornalista, il conte Renzo Cardelli Rinaldini. Erano tempi diversi e lo stato di diritto era niente più che un auspicio. Il ministero della Cultura Popolare finanziava i giornali che voleva sulla base di amicizie, raccomandazioni, opportunismi politici. 

Oggi invece c'è una Costituzione che sancisce e tutela la libertà di stampa. E poiché l'ostracismo di alcuni esponenti delle istituzioni nei confronti dell'informazione libera, informazione che presuppone un giudizio autonomo e indipendente sull'operato delle istituzioni stesse, è purtroppo sempre vivo e sempre lo sarà, occorre, semplicemente, rivedere la norma nella parte in cui demanda ad un soggetto che dovrebbe essere controllato dalla libera stampa il diritto di emettere un giudizio arbitrario sul proprio controllore. Troppo comodo. E forse anche contrario alla Costituzione.

Roberto Paolo

presidente della FILE

Federazione Italiana Liberi Editori