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Voleva mettersi alla prova, avrebbe voluto fare l'esame di maturità ma la sua scuola non gliel'ha permesso. È la vicenda di cui è stata protagonista, suo malgrado, una ragazza di 19 anni con la sindrome di Down.

Nina Rosa Sorrentino, avrebbe voluto provare a sostenere l'esame di Stato in un liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna, ma non le sarà possibile. Così, si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta.

Nonostante la famiglia dall'inizio del triennio avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Piano educativo individualizzato della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati, che alla fine del quinquennio fa ottenere solo un attestato di competenze, a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l'ammissione al vero e proprio esame di maturità, il liceo Sabin non ha ritenuto di assecondare la richiesta. Era favorevole invece il parere della neuropsichiatra infantile del gruppo di lavoro. La vicenda è stata riportata oggi sul Corriere di Bologna.

Il ritiro è stata l'unica soluzione che la famiglia ha trovato per non far perdere alla figlia la possibilità di riprovarci l'anno prossimo a essere ammessa all'esame di Stato. "Non è certo l'esempio della scuola dell'inclusione alla quale ci ispiriamo - ha detto Paola Frassinetti, sottosegretaria all'Istruzione e al Merito - Portare una studentessa con disabilità a cambiare scuola è un episodio grave. La scuola deve utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per permettere ai ragazzi diversamente abili di poter realizzare il proprio percorso scolastico, nonché di poter crescere e formarsi".

Il diniego definitivo del consiglio di classe è arrivato i primi di marzo: "Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci", sottolinea la mamma. Se la ragazza non fosse stata ritirata da scuola entro il 15 marzo, a fine anno avrebbe ricevuto l'attestato di competenze e per cimentarsi nell'esame di maturità avrebbe dovuto ricominciare daccapo, a settembre, dalla prima superiore. La scuola non ha cambiato idea, preoccupata che per Nina fosse un obiettivo troppo stressante.

"È una possibilità che le è stata negata - commenta al Corriere Giovanni Lacoppola, referente scuola per l'associazione CoorDown - Sono tanti i casi. Si dovrebbe lavorare di più tutti insieme per un'inclusione vera che deve proprio partire dalla scuola. Senza un diploma questi ragazzi fanno fatica a essere poi inseriti a livello lavorativo".

Ora i genitori cercheranno un'altra scuola da settembre disposta a sostenere la figlia in una programmazione personalizzata verso l'esame di maturità. "È importante che su queste tematiche si faccia un passo avanti - commentano - non solo per Nina, ma per tutta la società".

Intanto alcune scuole superiori della città hanno preso contatti con la famiglia, disponibili a un incontro per capire la situazione. Anche il sindaco Matteo Lepore e l'assessore comunale alla Scuola Daniele Ara stanno seguendo la vicenda e sono in contatto con la scuola e con la famiglia.