Gente d'Italia

L’impresa di Spalletti: uomini forti, destini forti in una Napoli nuova

Luciano Spalletti quando allenava il Napoli (Depositphotos)

di  Mimmo Carratelli

 

Ode, lode, 110 e lode, peana, elegia, poema, carme, canto libero, oro, incenso e mirra per Luciano Spalletti, Lucio del paese di Certaldo e della cipolla molto famosa di Certaldo, Lucio che dopo avere vagato per terre toscane, liguri, venete, friulane, marchigiane, romane, milanesi e baltiche giunge nella città di Napoli fra illusioni e delusioni, sogni e vieneme 'nzuonno, comm'è bella comm'è bella 'a città 'e Pulecenella, e sfuggendo a un ambiente tentacolare, a un presidente tentacolare e all'aria salmastra di Castelvolturno sta per piazzare il memorabile colpo della sua vita terrena, lo scudetto, sempre sfiorato e mai vinto, se si escludono le due vittorie lontane di San Pietroburgo lontana, eterno secondo in Italia, qualche volta quarto, e perciò vittima spesso di nervosismo intimo e di insofferenza palese. 

E Luciano Spalletti di Certaldo e della cipolla di Certaldo sta per compiere l'impresa a Napoli dove solo Maradona, Allodi e Ferlaino l'avevano confezionata nell'altro secolo in questa terra di pizziche e vase, 'o sole ppe' ccase, città negata a ogni vittoria se non in via eccezionale e oltre ogni congiunzione di astri e miracolo di San Gennaro, assente lo Spirito Santo come si evince dalle eterne vicende cittadine raramente accompagnate da benevoli accondiscendenze dall'Alto. 

Luciano Spalletti di Certaldo e della cipolla di Certaldo famosa nel mondo compie l'impresa col distacco dell'uomo toscano in una terra palpitante ma instabile e perciò al primo anno vola, vola, vola, ma poi si schianta e fallisce sull'esatto cammino di questa città prima nel mondo per bellezza e suggestione, ma ultima nel resto delle umane cose, e perciò negata ad ogni soddisfazione, conquista, vittoria, metropolitane che fuzionino, lavori in corso che corrano, funicolari che funiculino, scudetti, baretti, strummoli 'a tiriteppola e 'a funicella corta, cioè mai si viene a capo di niente. 

Ma al secondo anno Luciano Spalletti di Certaldo e della cipolla di Certaldo diventa vita da vita mia, comandante generale, Lucia' tu si' 'a canaria, pianta 'e stelle e famme chello che vuo', indifferentemente, nella città che tinge d'azzurro i palazzi, i Quartieri Spagnoli inventano la Scalinata Paradiso con lo scudetto e le sagome degli eroi invincibili, a Porta Capuana compare l'antico ciuccio, a Montecalvario un Vesuvio con lo scudetto, al Largo Rosario di Palazzo maglie azzurre stese da un albero all'altro, alla Sanità dodici stendardi con le immagini dei titolari del Napoli esposti lungo tutto un edificio di tre piani, alla Vicaria un chilometro di nastri bianchi e azzurri, e a Forcella sfornano sciarpe, bandiere e gagliardetti, magliette e maschere Osimhen, e appaiono ovunque le bancarelle della mercanzia cinese ispirata alla Grande Bellezza azzurra. 

Luciano Spalletti di Certaldo e della cipolla di Certaldo, mai piegandosi all'ingannevole folclore partenopeo, sempre attento a rimanere nelle sue sembianze di guru venuto da lontano, condottiero dantesco e mai e poi mai Masaniello abbascio 'o Mercato, inonda e sfonda in una stagione settebellezze, di quando i bambini fanno oh, e il presidente De Laurentiis fa oh, l'Italia con qualche rosicamento fa oh e l'Europa fa oh. Luciano Spalletti di Certaldo, e lasciamo stare la cipolla, passando dallo scetticismo di Dimaro senza più Koulibaly, Insigne, Mertens, Ghoulam, Ospina e Fabian Ruiz, abbiamo perso giocatori importanti, ma ritrovandosi con tre re magi essenziali, il Nigeriano, il Georgiano e il Coreano, Luciano Spalletti di Certaldo trasforma la squadra di prima, bella e futile sciantosa, in una Dark Lady che ha ammazzato il campionato. 

E questo è stato possibile per l'alto magistero dell'Uomo di Certaldo e della cipolla di Certaldo, un magistero guardingo, vigile, mai dedito ai sollazzi, mai distratto dalle beatitudini terrene, un 5-1 alla Juventus, un 6-1 all'Ajax, un 4-1 al Liverpool, ma cistercense severo e frate trappista di fronte a noi peccatori seriali, facili agli entusiasmi momentanei, romantici di strada, sarracini. Luciano di Certaldo, invece, sempre attento e determinato, uomini forti, destini forti, ci vengono addosso, bisogna andarli a prendere lì, la vena del collo, la tigna, la pinta e la santa maria, il drago a due teste, non ci si deve fermare mai, bisogna andarci a mettere quella roba lì, e si va tutti da quella parte lì, le gambe sono pulite e le gambe viaggiano, occhi di tigre, occhi puntati alle stelle, piedi per terra, il sassolino nelle scarpe più una passeggera concessione alla cazzimma locale. 

È stata la stagione delle stimmate di Spalletti, le cinque precisissime righe-rughe sulla fronte ampia come un diagramma musicale esposto alle geroglifiche conferenze-stampa negli atrii muschiosi degli stadi cadenti, quando a domanda Luciano di Certaldo non risponde, ma espone, divaga, erudisce, sillaba, eccepisce e focalizza, e discorre contorcendosi nel lessico e nella persona sotto il peso del pensiero forte, della spiegazione arzigogolata, degli anacoluti e delle metafore. 

Impaludato nella tuta di lavoro, Luciano di Certaldo davanti ai giornalisti allertati e allarmati corruga la fronte, abbassa le sopracciglia, si piega, rialza le sopracciglia, volge gli occhi al cielo, esita, tormenta la biro nella mano destra e, agitando le braccia, si articola in un si bemolle della scala cromatica toscana trascinando gli ascoltatori, disposti al collasso, a vagare in tutte le zone del campo e dello scibile pallonaro, non escludendo un qualche gergo contadino della Val d'Elsa per far capire che se 'un si va all'Arno, 'un si vede l'Arno. Questo abbiamo visto e sentito, tenuti a distanza da questo Socrate fiorentino e Cicerone toscano, ridotti a discepoli della sua eloquenza acrobatica. 

Alla fine di questa splendida avventura, noi del Regno azzurro sapremo mai chi è veramente Luciano Spalletti di Certaldo, così ben protetto dall'abbronzatura esagerata, il suo schermo termico che rimbalza al mittente ogni curiosità e domanda sottile, tenendo a bada ogni frenesia napoletana, incurante di lisciarci e sfidandoci a singolar tenzone? 

È un catechista assoluto, un oratore circonflesso, un demonio terrestre, un maestro supremo sui campi di calcio o, semplicemente, il saggio contadino che sa che vanga piatta non attacca, amico delle galline del Cioni, dello struzzo Blackino e dell'alpaca Gaetano nei suoi possedimenti toscani, loro sì che conoscono il vero Luciano Spalletti di Certaldo come non è stato concesso a noi del Golfo azzurro regalandoci uno scudetto senza mandolini e triccheballacche, senza numeri al lotto, uno scudetto così perentorio, chiaro, assoluto, ineluttabile, asciutto e scientifico da farci credere che Napoli può essere una città matematica, una nordica metropoli del fare, un posto in cui non bisogna più credere all'uovo di Virigilio che se si rompe finisce tutto, la Napoli del Napoli di Spalletti, una cosa seria, uomini forti, destini forti. 

Si sta apparecchiando una festa per tornare pazziarielli, strafatti di felicità, sciamando per strade azzurre con automobili azzurre e bandiere azzurre, e il mondo dirà ecco Napoli, sempre la stessa, non cambierà mai. 

Invece, siamo cambiati con questo scudetto matematico senza le delizie e i languori del pibe, senza gli affanni di trentatre anni fa, l'ultima Napoli ribelle e piedigrottesca con Diego, un secolo fa, passione popolare di un popolo incredibile che non c'è più, di quando 'o ssaje comme fa 'o core. 

Uno scudetto nuovo per una Napoli nuova.

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