di James Hansen

Nell’ottobre del 2002, sei mesi prima dell’invasione americana dell’Iraq, il Vice-Presidente iracheno, Taha Yassin Ramadan, propose in un’intervista a un’agenzia di stampa che Saddam Hussein e il Presidente degli Usa, George W. Bush, si battessero in duello  per risolvere i contrasti tra i rispettivi paesi.

“Il Presidente americano dovrebbe scegliere un suo piccolo gruppo—spiegò l’iracheno—noi faremmo altrettanto e stabiliremmo un campo neutro con Kofi Annan (allora Segretario Generale dell’Onu) come arbitro. Useremmo una sola arma con un presidente che affronta in duello il suo omologo, poi un vice-presidente contro un vice-presidente e un ministro contro un ministro”.

Per certi versi, è un peccato che la sfida non sia stata accettata: ne sarebbe uscito un evento mediatico senza pari. Il fatto però è che la ‘singolar tenzone’ tra politici contendenti è da tempo un genere estinto. Le ultime contese di questo tipo, dimenticate al giorno d'oggi, ma una volta famose, furono italiane: i duelli all’arma bianca di Benito Mussolini, che ne avrebbe combattuti una mezza dozzina.

Il più noto degli incontri fu quello con il giornalista Claudio Treves. I due contendenti, all’epoca entrambi ‘giornalisti socialisti’, dopo una lunga serie di articoli contenenti reciproche accuse di incompetenza e insulti personali, combatterono in un lungo—ben 25 minuti—e violento scontro con la sciabola alla Bicocca di Niguarda nel pomeriggio del 29 marzo 1915. Al termine dell'ottavo assalto, viste le ferite riportate da entrambe le parti, i ‘padrini' dei due decisero di porre fine al combattimento.

Non si usa più ovviamente, e dal 1999 i duelli sono definitivamente fuorilegge in Italia. Non è detto però che non si possa almeno ‘sfidare’ qualcuno a un duello d’onore, come nel caso del molto discusso ‘scandalo del prendisole’ del luglio 1950 che coinvolse il futuro Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.

Il politico, mangiando in un ristorante romano, vide una signora a un altro tavolo che si era tolta il ‘bolerino’, scoprendosi le spalle per via della calura estiva. Secondo i testimoni, Scalfaro sarebbe scattato in piedi gridando: “È uno schifo, una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto ai presenti, se è vestita così è una donna poco onesta!”, intimandole poi di rivestirsi subito. Al suo rifiuto, l’allora Onorevole democristiano chiamò la polizia e cominciarono a volare le querele.

Andò a finire che sia il padre della donna, un Colonnello dell’Aeronautica a riposo, sia il marito, un Capitano della stessa Arma, sfidarono Scalfaro a duello. Lui non accolse la sfida perché, disse, la sua fede non glielo permetteva. La giustificazione fece imbufalire il ‘Principe’ Antonio De Curtis—in arte Totò—che in una lettera aperta replicò: “La motivazione del rifiuto di battersi da Lei adottata, cioè quella dei princìpi cristiani, ammetterà che è speciosa e infondata. Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una Signora rispettabilissima”.