di MIMMO CARRATELLI

Quattrocento film e appena due David di Donatello. Col Napoli campione d'Italia è il calcio che assegna l'Oscar ad Aurelio De Laurentiis che ora punta al Nobel perché vuole vincere la Champions.  Aurelio come te non c'è nessuno, sei unico al mondo. L'omaggio di Rita Pavone è ovvio. Aurelio, immenso io ti vedo ovunque il guardo giro. Nell'opre tue t'ammiro, suggerisce Pietro Metastasio. Famme chello che vuo' indifferentemente. 

Aurelio De Laurentiis, sovrano incontrastato di Castelvolturno ma vincitore a Napoli, è il personaggio dell'anno, più di Harrison Ford a Cannes, più di Nikita Pelizon al Grande Fratello, più di Elon Musk che vuole portarci nello spazio. 

Nato sotto il segno dei Gemelli non ammette gemello che si chiami Giuntoli o Spalletti, un po' gemello il solo Andrea Chiavelli, gemello-ombra, gemello fidato della gemella Filmauro. 

Aurelio vuole comandare da solo, temuto e incontrastato, individualista supremo del ventunesimo secolo, monarca illuminato da se stesso, martire mai, semmai santo, al limite uno e trino. 

Non avrai nessuno all'infuori di me, via Ventura, via Reja, via Donadoni, via Mazzarri, via Benitez, via Sarri, via Ancelotti, via Gattuso e, ora, via Spalletti, uno stillicidio direbbe Allegri, ma tutti peccatori in orgoglio e protagonismo, sfruttatori della luce presidenziale e capitani di ventura mentre Aurelio da Los Angeles è Captain America, impavido contro tutti. 

Non c'è mai pace tra gli ulivi di Castelvolturno, come è successo nei giorni di questo scudetto, giorni che dovevano essere di letizia e buona fortuna, con palco o senza in Piazza Plebiscito per la festa grande, invece è stata tutta un'angustia, una Pec, un gelo, un silenzio, un'opzione fallita, una quaresima che hanno preceduto la rivelazione finale e l'allenatore di resurrezione, Aurelio con l'energia suprema che move il sole e l'altre stelle, e move allenatori e calciatori imprigionandoli in contratti di trecento pagine, incatenandoli al diritto di immagine, sospendendoli a un destino incerto. 

Che cosa rende Aurelio fremente di barba, fulminante d'occhi, sospettoso d'orecchi, irrequieto, capzioso, irritabile, i neuroni sempre accesi, il sistema nervoso simpatico in agitazione, le fibre muscolari tese. No non è la gelosia, ma è la passione mia. 

Geloso, Aurelio? Forse, ma anche tradito. I tradimenti di Mazzarri, Benitez, Sarri, altrettanti drammi della gelosia, ultimo Spalletti, cavaliere errante. Aurelio De Laurentiis come il giovane Werther tradito da Lotte e il vecchio Bovary tradito da Emma. 

Esperienze, nel calcio, che hanno reso De Laurentiis un lupo solitario, diffidente e assolutista, master e commander, furbo, ombroso, sospettoso, padrone impassibile, dirigente a sangue freddo. 

Pizziche, screzi e vase con Mazzarri che Aurelio definì "l'innominabile" per marcare un distacco sdegnato e feroce. Lo storico scontro dopo che Aurelio aveva ingaggiato Marco Verratti dal Pescara di Zeman e Mazzarri urlò "no, no, no, o io o lui", e Verratti andò al Paris Saint Germain, e Mazzarri prese Goran Pandev, "è vecchio" disse Aurelio. 

Poi, il colpo a tradimento quando Mazzarri se ne andò all'Inter ("Si è venduto allo scornacchiato" disse De Laurentiis). Walter piantò un ingrato coltello nel cuore orgoglioso di Aurelio che si trasformò da Cangrande del Vesuvio, scaltro e generoso, in Ugolino della Gherardesca, l'originale mangiava i figli, la copia aureliana mangia gli allenatori di cui non c'è da fidarsi. 

Il tradimento di Mazzarri e, poi, il tradimento di Benitez che volle andarsene ad allenare il Real Madrid, il tradimento di Sarri che al Napoli prendeva 1,3 milioni di euro all'anno, voleva più soldi e andò a prendersi 6,4 milioni di euro al Chelsea da Roman Abramovic, l'uomo più ricco d'Israele, cittadino e magnate russo.  Ed ora Luciano Spalletti, nelle vesti di Celestino V, che per comodità ha fatto il gran rifiuto. 

Così si è indurito il cuore di Aurelio, amante tradito, amante vendicativo. Negli ultimi cinque anni ha dato una accelerazione al suo centro di gravità incostante facendogli cambiare idea sugli allenatori, sulla gente, quattro allenatori cambiati in cinque anni. 

Frennesia che voglia 'e te lascia'. La crisi del secondo anno con cui, scaduto il biennio di te voglio bene assaje, ha allontanato Ancelotti, Gattuso, Spalletti. 

Da apprendista stregone, quando stava imparando il calcio e il mondo del calcio, aveva tenuto il gentiluomo Reja per quattro anni e lo scamiciato Mazzari per altri quattro, pur cercando di mettere le mani addosso al primo, che era il suo Clint Eastwood, e definendo il secondo un fedifrago. 

Il calcio non è il cinema con i lieti fini e le baldorie dei cinepanettoni. Il calcio è un mondo crudele che Aurelio De Laurentiis ha imparato a conoscere, contestare e disprezzare, con l'unica possibilità di mangiare l'altro prima di essere mangiato, il cannibalismo del pallone fra troppi furbi, fedifraghi vari, contratti stracciati, bilanci truccati. 

Si è indurito il cuore di Aurelio, presidente ch'a nulla amato, odio perdona, come è successo di recente con gli ultras più contestatori. 

Nella confusione che regna sovrana sotto il cielo di Castelvolturno, l'unica cosa certa del nuovo Napoli campione d'Italia in gran movimento per l'operazione porte aperte, chi va e chi viene, ali e stivali, è che Aurelio De Laurentiis resta. 

Si ha una sola seconda certezza: il ritiro precampionato a Dimaro. Su questi due capisaldi si regge il Napoli campione d'Italia in una città dove tutto è provvisorio e contraddittorio, sotto tenite 'o zuccaro e 'ncoppa amara site, neanche il sangue di san Gennaro dà certezze, si scioglie, non si scioglie, è il sangue di san Gennaro? 

Intanto, si sta sciogliendo il sangue di Aurelio che bolle e ribolle. 

Ha detto una volta Reja: "De Laurentiis è un incantatore, se ti dà del tu non goderne, perché l'attimo dopo può darti dello stronzo". 

E il figlio Luigi ha chiarito: "Quando Aurelio manda qualcuno a fare in culo si realizza". 

Sono tempi di va fa' 'nculo a Napoli. Aurelio De Laurentiis comanda e gode.