Gente d'Italia

Come sta il premierato di Giorgia Meloni? Non bene, ha la febbre alta e nemmeno gli antibiotici riescono a farla scendere, i dubbi di 40 costituzionalisti, ricordando il fascismo e il deprecato ventennio

di BRUNO TUCCI

Come sta il premierato di Giorgia Meloni? Non bene, ha la febbre alta e nemmeno gli antibiotici riescono a farla scendere. 

A sinistra le accuse non risparmiano la madre di tutte le riforme; ma anche a destra qualcuno storce la bocca e non è in sintonia con la premier.

Un vecchio democristiano come Cirino Pomicinoesclama: “Altro che terza repubblica, io mi tengo stretta la prima”! In parole semplici, non c’è più la grande solidarietà di un tempo, le belle parole e il plauso che nessuno metteva in dubbio.

Una volta approvata – si commentava – non ci saranno più crisi a ripetizione. Il governo rimarrà in carica cinque anni e saranno vietati gli inciuci di una volta che permettevano “rivoluzioni” a dispetto della volontà del popolo.

Che cosa è successo che ha permesso questa parziale retromarcia? Se provi a chiederlo a qualcuno degli esponenti dell’attuale maggioranza o non avrai risposta; oppure un sorrisetto chiuderà la conversazione.

Invece, l’influenza c’è eccome. Nasconderla sarebbe un errore imperdonabile. I primi scricchiolii si sono avuti quando dall’elezione diretta del capo dello Stato si è passati al voto popolare per il presidente del Consiglio.

Giorgia non aveva mai fatto mistero della sua convinzione: se in futuro al Colle andrà un uomo scelto dagli italiani e non dal Parlamento in seduta comune sarà un bene per il nostro Paese. Si guardava con un certo rispetto non tanto agli Stati Uniti quanto alla Francia di Macron, cioè a un semipresidenzialismo che avrebbe dato al Paese una maggiore sicurezza per la tanto invocata stabilità dell’esecutivo.

Pian piano, questa idea si è andata appannando, le critiche erano tante, lo spauracchio di una quasi dittatura aveva cominciato a serpeggiare non solo nei Palazzi della politica, ma anche tra la gente a cui l’opposizione si rivolgeva ricordando il fascismo e il deprecato ventennio.

La madre di tutte le riforme (così’ la definiva la Meloni) diventava una “riformina”, che non voleva significare nulla o quasi? Per carità: in specie i Fratelli d’Italia insorsero contro questa convinzione della sinistra e si chiamò a raccolta tutto il partito per evitare che si tornasse indietro, un grande smacco per la maggioranza, ma soprattutto per Giorgia.

A questo punto si virò sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, il premierato e su tale riforma Palazzo Chigi non ammetteva repliche. Presto se ne sarebbe discusso in Parlamento e nessuno aveva dubbi sull’eventuale vittoria del probabile referendum popolare.

Però, la goccia che scava la pietra non smise di cadere e in specie la sinistra- sinistra, diretta da Elly Schlein, non si fermò un attimo per dare battaglia. Ancora una volta si mise in campo lo spauracchio della “fine” del Quirinale e per questo ci si avvalse dell’aiuto di una quarantina di costituzionalisti che puntarono il dito (e lo puntano ancora) contro il premierato, mettendo in risalto quelle che loro ritenevano una bestia nera.

Come andrà a finire? Per il momento è tutto fermo e regna la calma, però il fuoco cova sotto la cenere e le polemiche si riaccenderanno a gennaio quando la manovra sarà finalmente legge e nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama si tornerà a parlare della prestigiosa poltrona di Palazzo Chigi. Vinceranno la Meloni e la sua caparbietà?

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